Uno tsunami di 120.000 tonnellate di neve
ha sepolto l’albergo di Rigopiano
29 i morti, 11 salvati dai vigili del fuoco
Si poteva evitare?
di Giuseppe Prunai
Uno tsunami di neve e ghiaccio
quello che a metà pomeriggio del 18 gennaio scorso si è abbattuto sommergendolo
sull'hotel di Rigopiano, nel territorio del comune di Farindola, nel bel mezzo
del parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga.
L'equivalente di 4.000 tir di neve e ghiaccio,
una valanga di 120.000 tonnellate con un fronte largo circa
500 metri, lungo 250 e dello spessore di 2 metri e mezzo, alla velocità
di 100 chilometri all'ora ha
spazzato un bosco e poi l'albergo. In totale sono franati tra i 200 è i 300.000
metri cubi di neve del peso di 200 kg per metro cubo.
Si stima che all'origine la valanga pesasse tra le 40 e le 60 tonnellate
ma rotolando a valle ha inglobato altra neve,
ghiaccio, alberi e detriti vari fino a raggiungere le dimensioni che
abbiamo indicato. Inutile
descrivere gli effetti avuti su quella costruzione che non avrebbe dovuto
trovarsi in quel posto al fondo della valle, nella zona dove altre frane e altre
valanghe si erano in passato abbattute.
Tutti abbiamo visto le
agghiaccianti immagini televisive,
tutti conosciamo il triste bilancio: 29 morti e solo 11 persone estratte vive da
sotto le macerie.
Cos'è
una valanga?
Quando uno strato di neve fresca, caduto di recente, non si salda con gli
strati sottostanti, vuoi perché la
temperatura si è rialzata, vuoi per altre cause,
l'equilibrio di questo strato nevoso è estremamente precario.
E' praticamente in bilico,
in equilibrio e basta un nonnulla
per romperlo e far precipitare a valle, la massa nevosa.
Basta un frullo d'ali - ha detto qualcuno -
un debole tremore per rompere questo equilibrio e causare la catastrofe.
E di tremori in Italia
centrale se ne sono avvertiti anche troppi: una serie infinita di scosse di
terremoto che dal 24 agosto sono
state quasi 50.000, al netto di quelle
strumentali, cioè quelle che non
vengono avvertite dalla popolazione perché troppo deboli ma registrate dai
sismografi.
La domanda sulla bocca di tutti è: si poteva evitare? Con la scienza del poi si
potrebbe rispondere che non sarebbe accaduto nulla se l'albergo non fosse stato
costruito in quel punto. Ma
l'albergo aveva le carte in regola,
aveva ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie.
Adesso toccherà alla magistratura stabilire eventuali responsabilità.
Sotto accusa anche e la macchina dei soccorsi. Non i vigili del fuoco che hanno
lavorato al meglio, generosamente come sempre recuperando 11 persone sepolte
vive sotto la massa nevosa e le macerie dell'albergo.
Ma i vigili sono stati allertati con alcune ore di ritardo perché le
drammatiche telefonate alle centrali operative di chi chiedeva aiuto
non sono state credute. Anche di questo si
occuperà la magistratura. Un
fascicolo contro ignoti è già stato aperto.
A questo proposito è necessario una
riflessione sull’attuale organizzazione della Protezione Civile. L’attuale
modello che affida ai comuni la gestione sul territorio ha delle pecche, non
sempre dovute a incuria o incapacità degli addetti. Ad esempio: l’allerta
valanghe era stato diramato una settimana prima, ma le relative e mail e telefax
non erano stati letti perché in molti uffici mancava l’energia elettrica e PC e
fax erano spenti. Perché allora non inviare allora questi messaggi d’allarme
alle Questure e ai comandi dei Carabinieri le cui sale operative sono dotate di
gruppi elettrogeni? Queste strutture si incaricherebbero di notificare gli
allarmi agli enti interessati con il mezzo ritenuto, al momento, più opportuno.
Perché non tornare al vecchio modello di una Protezione Civile centralizzata,
come la creò Giuseppe Zamberletti, che si
avvale anche della collaborazione di squadre locali?
All'origine delle scosse di terremoto del 18 gennaio e dei giorni successivi ci
sarebbe un fenomeno cosiddetto di contagio sismico tra faglie.
Lo sostiene Andrea Billi ricercatore dell'Istituto
di geologia ambientale e geoingegneria del Cnr (Igag-Cnr).
In un comunicato afferma
che: "è probabile che
si sia trattato di un fenomeno di ‘contagio sismico’ tra faglie
adiacenti, anche detto effetto ‘domino’ o ‘a cascata’, un fenomeno al quale
assistiamo già da alcuni mesi in Centro Italia con gli eventi di agosto-ottobre
2016 ad Amatrice, Visso, Norcia e Castelsantangelo sul Nera. Quando una faglia
genera un terremoto, la faglia stessa si libera dello stress al quale era
sottoposta immediatamente prima del terremo e trasferisce parte di tale stress
ai segmenti di faglia adiacenti, che in un lasso di tempo imprevedibile (ore,
giorni, mesi, anni) possono a loro volta generare terremoti e di nuovo
‘contagiare’ le faglie adiacenti. Tali terremoti saranno sicuramente seguiti
nelle prossime ore da uno sciame di repliche sismiche la cui intensità è
difficilmente prevedibile”.(
Le scosse hanno interessato anche la zona del lago artificiale di Campotosto
e c'è qualche preoccupazione per la tenuta della diga che adesso è
continuamente monitorata. Il lago di Campotosto è uno dei bacini più grandi
d'Europa. Il crollo della diga
avrebbe effetti indescrivibili.
All'indomani delle scosse del 18 gennaio
il presidente della Commissione Grandi Rischi, Sergio Bertolucci, aveva
detto di temere un effetto Vajont,
cioè frane di materiali vari
dalle montagne circostanti che finendo nel lago lo avrebbero fatto tracimare.
E’ stato detto successivamente che si è trattato di una preoccupazione
eccessiva perché questo rischio non
sussisterebbe ma le polemiche che
ne sono seguite hanno per così dire terremotato la Commissione stessa il cui
vicepresidente Gabriele Scarascia Mugnozza ha rassegnato le dimissioni in segno
di protesta.
Ma se “un effetto Vajont” è
improbabile (lo dicono gli esperti e speriamo che abbiano ragione) ciò che
preoccupa, adesso è l’imminente disgelo di una massa nevosa di dimensioni
insolite ed eccessivamente abbondante. L’acqua del disgelo farà certamente
gonfiare eccessivamente torrenti, fiumi ed invasi artificiali con conseguenze
facilmente immaginabili. E’ su questo che gli esperti stanno ora lavorando.