No: in quel paese la popolazione vive serenamente, è stata raggiunta la completa
parità di genere, non si briga per l’ultimo modello di cellulare, non si istiga
all’odio di classe
di Magali Prunai
La Sirenetta di Copenaghen
“C’è del marcio in Danimarca”, diceva Amleto per intendere situazioni losche e
poco chiare ordite ai suoi danni per farlo risultare pazzo. Niente di più
sbagliato se riferito a un paese proprio come la Danimarca.
Aria pulita, poco inquinamento, popolazione felice, spensierata e rilassata. Un
senso civico diffuso su larga scala, tanto che secondo gli ultimi studi
effettuati la parità di genere, in Danimarca, è stata quasi del tutto raggiunta.
Negli ultimi anni gli uomini vichinghi hanno tagliato le loro tipiche trecce,
appeso l’elmo al chiodo e sono entrati in casa per svolgere quasi il 50% dei
lavori domestici (dati OCSE), chiedono il permesso paternità per stare a casa
con la prole neonata, lasciano spazio in ambito lavorativo alle loro compagne
che eccellono negli studi e nella carriera.
Non esiste, o comunque si tratta di un fenomeno marginale, disparità di
trattamento retributivo nel mondo del lavoro. Gli studi dell’Unione Europea, che
a novembre ci manda sempre a dire che da quel momento fino al 31/12 le donne è
come se non lavorassero visti gli stipendi notevolmente più bassi rispetto ai
loro colleghi maschi, non riguardano minimamente lo stato della Sirenetta e di
Andersen. Nel paese di tante fanciulle deboli e infelici, che passano il loro
tempo in attesa di essere salvate dal principe azzurro, paese che celebra
l’ideatore di queste favole con strade e statue nella sua capitale, non poteva
essere più diverso in questa epoca moderna che vede, in gran parte del mondo, un
progressivo regresso rispetto a quei diritti conquistati a fatica.
H.C.Andersen Boulevard nel centro di Copenaghen
La vita di tutti i giorni di un uomo e di una donna è caratterizzata da numerosi
piccoli e insignificanti aspetti che contribuiscono a creare un universo
parallelo, perfetto o comunque ideale per quell’individuo. Il lavoro, lo
stipendio, la credibilità nel percorso di istruzione e nel mondo del lavoro,
politiche che permettano a una famiglia di nascere e consolidarsi, la perfetta
interscambiabilità di madre e padre negli affari di gestione della casa, dei
figli. Tanti piccoli aspetti fra loro legati che contribuiscono a due soggetti
di avere meno preoccupazioni e a vivere più semplicemente secondo quei vecchi
ideali, tanto osteggiati oggi, cui si dovrebbe cercare di aspirare nuovamente.
E’ normalissimo girare per la capitale danese e incontrare giovani padri che
portano a passeggio figli nelle carrozzine, con bambini per mano con lo zaino
che parlano fra loro e giovani donne con valigette che presumibilmente corrono a
lavoro. Un’inversione di ruoli tanto temuta da alcuni individui evidentemente
profondamente misogeni, che sentono la loro virilità minacciata dalla bravura e
dalla competenza di un’altra persona, specialmente se donna.
Ma la vita di tutti i giorni è fatta anche da aspetti più futili, espressione di
come sia possibile vivere più tranquilli e felici, tanto da passeggiare per la
strada sorridendo, cercando sempre una parola gentile e cortese da rivolgere,
cantando per la strada come se fosse la normalità e senza che nessuno prenda per
pazzo il cantante, senza cercare una costante gloria di se stessi. Se si vuole
essere giudicati per come si cammina, per cosa si indossa, per il proprio
sorriso o perché ci si è lasciati trasportare dalla musica che si sta
ascoltando, per incontrare gente poco cortese e aggressiva senza alcuna ragione
apparente bisogna recarsi all’aeroporto di Copenaghen, al gate da dove partono o
arrivano gli aerei per l’Italia.
Statua di Andersen nella via a lui dedicata a Copenaghen
I grossi problemi del bel paese, ultimamente, sono diventati quanto bello o
brutto fosse il maglione che indossava la moglie del presidente del consiglio
durante il discorso delle sue dimissioni, l’ex premier che fa la spesa la
settimana prima di Natale, le mutande di marca che vanno messe in mostra
altrimenti non le si possiede, taggarsi nel locale più alla moda e costoso della
propria città, poco importa se poi per permettersi di bere una bottiglietta
d’acqua in quel bar si deve chiedere un prestito a una finanziaria. Gli italiani
ultimamente sono convinti che sia assolutamente necessario possedere l’ultimo
modello di cellulare di moda, a costo di chiedere prestiti o di pagarli con
abbonamenti ai propri gestori telefonici di 3-4 anni finché non esce il modello
nuovo del giocattolino elettronico che se non si possiede si è una nullità. E’
assolutamente necessario andare, anche solo per due ore, in posti lontanissimi e
scomodissimi da raggiungere in giornata dalla propria città di residenza perché
di moda. Possedere certi gadget, fare certe vacanze, mostrare tutto sui canali
social è necessario per apparire vivi e ricchi. Il tutto, ovviamente, condito
con una certa ignoranza e arroganza. Dimostrazioni di un carattere
particolarmente confuso e scontento dei propri risultati, della propria
esistenza. Invece di migliorarsi si tende a inventare qualcosa che non si è e, a
forza di raccontare storie favolose e a glorificarsi, si crede che sia tutto
vero.
La parola d’ordine dovrebbe essere semplicità, ma quando semplicità viene
confusa con povertà e la povertà viene vissuta come una vergogna è evidente che
ci sia un problema e anche grave. La competizione nel vedere chi possiede di più
è talmente diffusa che ormai non risparmia neanche i bambini. Se già a 7 anni
facciamo i conti in tasca ai nostri amici e alle loro famiglie, a 18 e 30 anni
cosa faremo? L’analisi è sempre la stessa, è necessario riscoprire i valori di
un tempo. Riazzerare la società e ripartire da capo con le nuove generazioni
attraverso l’educazione e l’istruzione, operazione complicata se dopo 8 ore di
scuola i bambini tornano a casa e vengono indottrinati all’odio e l’invidia da
famiglie e tv.