il Processo di Norimberga
I principi di diritto penale internazionale, sanciti durante il processo ai
criminali nazisti hanno gettato le basi per costituire in tempi più moderni dei
tribunali internazionali penali
di Magali Prunai
Il Tribunale di Norimberga
Norimberga è una graziosa città della Baviera, tipicamente medioevale è
circondata da mura, lastricata in sanpietrini e dominata da un castello.
Le sue tipiche case a graticcio e mattoni sono state testimoni di numerosi
raduni nazisti esaltanti il regime e la figura di Hitler. Proprio per questo suo
passato strettamente legato al terzo Reich il giudice federale Robert H.
Jackson, nominato primo Pubblico Ministero americano, propose ed ottenne di
eleggere la città a sede del tribunale contro i criminali nazisti.
Le ragioni non furono solo simboliche, ma anche pratiche. La città era l’unica con un tribunale ancora agibile e con un carcere vicino. L’udienza di apertura del processo più famoso della storia si svolse presso la corte d’appello di Berlino a novembre del 1945, per poi continuare e concludersi in modo definitivo a Norimberga nell’ottobre del 1946.
A Norimberga vennero processati 24 fra i
principali criminali di guerra, nonostante le numerose perplessità di giuristi
che non credevano nella validità di un tribunale internazionale composto dalle
forze vincitrici, quali Kelsen, e per le stesse asserzioni dell’avvocato di
Goering, che affermò il principio, o per lo meno tentò di affermarlo, “nullum
crimen, nulla poena sine praevia lege poenali”. Alla fine vennero emessi quattro
capi di accusa:
1.
Congiura contro la pace mondiale;
2.
Progettazione, provocazione e svolgimento di una guerra d’aggressione;
3.
Crimini e violazioni contro il diritto bellico;
4.
Crimini contro l’umanità.
La conclusione del processo è ben nota, fra condanne a morte e pene detentive.
Ciò che invece è meno conosciuto è come i principi di diritto penale
internazionale sanciti durante questa lunga serie di processi abbiano dato
l’avvio alle basi per costituire in tempi più moderni dei tribunali
internazionali penali.
Interrogatesi se confermare in modo assoluto quanto stabilito a conclusione del
processo, le Nazioni Uniti decisero di sancire in maniera universale sette
principi di diritto internazionale penale per confermare che a Norimberga non si
era messa in scena una dimostrazione di forza da parte dei vincitori sui vinti,
ma si erano sancite regole universali per impedire che altre atrocità simili
potessero riaccadere.
1.
La responsabilità
penale internazionale è
individuale. Chiunque commetta un atto costituente crimine di diritto
internazionale è di questo responsabile e passibile di condanna. Resta la
responsabilità internazionale dello Stato se questo organizza e viola i suoi
doveri di prevenzione e repressione.
2.
I crimini
internazionali sono
indipendenti dal diritto
interno dello
Stato.
3.
Il fatto che un soggetto abbia commesso crimine
internazionale agendo
in qualità di Capo
di Stato o alto
funzionario non
lo esime dalla responsabilità
penale internazionale personale.
4.
Il fatto che un soggetto abbia agito in esecuzione di un ordine non lo esime
dalla propria personale responsabilità
penale internazionale.
Parallelamente il subordinato ha il dovere di sottrarsi dall'eseguire ordini
riguardanti atti criminali.
5.
Il soggetto imputato di crimine internazionale ha diritto ad un equo
processo imparziale
e rispettoso dei principi generalmente riconosciuti.
6.
I crimini che costituiscono crimine internazionale sono i crimini
contro la pace,
i crimini
di guerra e
i crimini
contro l'umanità.
I crimini contro l'umanità sono strettamente connessi alle precedenti categorie.
7.
La complicità costituisce
crimine di diritto
internazionale.
Su una delle porte di accesso all’aula i simboli delle fonti del diritto tedesco
Questi principi, riarrangiati e rivisitati, hanno trovato un posto di primaria
importanza in molte convenzioni europee e non solo, estendendo a qualsiasi
categoria giuridica responsabilità e diritti. In termini penali hanno fatto sì
che potesse essere costituita la Corte Penale Internazionale, con sede all’Aja,
con la competenza a giudicare crimini ben specifici quali il genocidio, crimini
contro l’umanità e i crimini di guerra (“crimina iuris gentium”). Non ha ancora
la capacità di occuparsi del crimine di aggressione, come si potrebbe desumere
da uno dei capi di accusa di Norimberga per cui molti gerarchi nazisti furono
considerati colpevoli, anche se si è discusso dell’argomento. La Corte, da non
confondere con la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite sempre
con sede all’Aja, agisce solo se gli Stati di appartenenza non vogliono
intervenire o non possono agire per punire i crimini internazionali. Si tratta
di un giudice terzo, con poteri sovranazionali, composto da 18 giudici nominati
dall’assemblea degli Stati parte.
Oltre a questo organo permanente, si è reso necessario in alcune situazioni
costituire dei tribunali speciali: il Tribunale Penale Internazionale per la
ex-Jugoslavia, chiamato a indagare sul genocidio, sulla violazione della
Convenzione di Ginevra e sulle gravi violazioni delle leggi sulla guerra; e il
Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda, creato per giudicare il genocidio
ruandese e le gravi violazioni dei diritti umani commesse nel territorio dello
Stato e nei territori confinanti.
Modellino dell’aula del processo
Il Tribunale speciale per la ex-Jugoslavia ha dovuto stabilire, come in
precedenza era accaduto a Norimberga, quali norme penali dover seguire. Si è
scelto un ibrido fra diritto anglosassone e diritto continentale, preferendo
però, come a Norimberga, dal punto di vista processuale quello anglosassone,
mettendo su uno stesso piano accusa e difesa che espongono a una giuria
impaziale le proprie ragioni attraverso documenti e testimonianze. Esattamente
come per il Tribunale di Norimberga, le accuse sulla legittimità di questo
tribunale sono state molte. In primis, ora come all’ora, la problematica della
retroattività di certe norme. Le colpe che si imputavano non erano punite,
all’epoca dei fatti, in Serbia, come nella Germania di Hitler, da leggi vigenti
sul territorio dello Stato e, per tanto, un tribunale internazionale di tal
genere metterebbe in dubbio la certezza del diritto. Sia in questo caso, che per
Norimberga, le atrocità commesse erano tali anche solo da un punto di vista
morale che la teoria della retroattività non è stata considerata.
Diverso è il caso del Tribunale speciale per il Rwanda, creato nel 1994, e ad
oggi non ha ancora visto una vera conclusione dati i numerosi latitanti. Ma
ciononostante le condanne nei confronti di capi militari, politici e media che
hanno contribuito a fomentare l’odio e a istigare la popolazione a commettere
crimini aberranti sono state numerose ed esemplari. Nel corso di tali
procedimenti penali si è stabilito per la prima volta che lo stupro di gruppo è
genocidio quando è mirato a voler distruggere un’intera etnia.
L’aula del processo vista dall’alto
“ Possono esserci pochi dubbi che
una corte internazionale sia molto più adatta per questo compito che una corte
nazionale civile o militare. Solo una corte costituita da un trattato
internazionale del quale non solo i vincitori ma anche gli stati sconfitti siano
parti contraenti non incontrerà quelle difficoltà con cui dovrà confrontarsi una
corte nazionale”. Con queste parole Hans Kelsen, un giurista e filosofo
austriaco fra i più importanti teorici del diritto del Novecento, ancora oggi
studiato nelle facoltà di diritto, esprimeva le sue perplessità sulla validità
di un tribunale come quello che poi si è costituito a Norimberga. Chissà se
sottoposto anche lui ai bombardamenti di immagini che abbiamo ora, con la
possibilità di vivere in diretta qualsiasi avvenimento, assistendo all’esodo
infinito dei cittadini di Aleppo che cercano di abbandonare la propria città
ormai ridotta una maceria così come erano ridotte molte città europee 70 anni
fa, non chiederebbe anche lui a gran voce un tribunale sovranazionale con
condanne esemplari come monito perché ogni tot anni non si ripetano atti
atroci sempre uguali gli uni agli altri.