Se son rose….
sul clima globale di MarraKech
di Bartolomeo Buscema
La conferenza mondiale sul clima globale si è chiusa con l’approvazione
della “Marrakech Action
Proclamation”.Un documento sintetico e ben articolato
teso a segnare il passo verso una nuova era di implementazione e azione
sul clima e lo sviluppo sostenibile”.
Un documento di poche pagine che afferma ancora una volta il non
procrastinamento di misure energiche, sia politiche sia finanziarie, per frenare
la corsa al rialzo delle temperature medie globali che da qualche anno fanno
sentire i loro nefasti effetti specialmente nei Paesi più poveri della Terra.
Un messaggio chiaro che sembra avere un interlocutore ben individuato: il
presidente eletto degli Stati Uniti d’America che insieme al suo “Transition
Team” dovrà pronunciarsi sui contenuti dell’Accordo di Parigi.
Bisogna dire che gli Stati uniti non possano formalmente uscire dall’Accordo di
Parigi prima del 4 novembre 2020; tranne se il nuovo governo americano non
decida di stracciare il trattato istitutivo della Convenzione UNFCCC, la
convenzione quadra delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, all’interno
del quale si colloca l’Accordo di
Parigi.
Un’eventualità, purtroppo probabile, che potrebbe avere ripercussioni negative
di trascinamento di altre nazioni tra cui la Cina, l’India e la Russia.
Uno scenario ,non certamente roseo, stemperato
da alcune frasi contenute nella Marrakech Action Proclamation, che si
possono così sintetizzare:andremo comunque avanti anche senza gli Stati Uniti
perché “le nostre economie richiedono il raggiungimento degli obiettivi
dell’accordo di Parigi che
rappresentano anche un’opportunità per incrementare prosperità e sviluppo
sostenibile”.
Una posizione decisa alla quale hanno fatto
eco le parole del segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry.“La
comunità mondiale è unita. Nessuno dovrebbe dubitare che la stragrande
maggioranza dei cittadini statunitensi sono determinati per mantenere gli
impegni presi a Parigi e sa che i cambiamenti climatici sono reali e che negli
Stati Uniti le energie rinnovabili sono cresciute a un ritmo insperato fino a
pochi anni fa, tanto che il numero di occupati del settore nel 2015 ha superato
gli addetti nell’industria delle fonti fossili. Il settore è così fiorente che
pare impossibile bloccarlo”. Staremo a vedere,aggiunge Kerry,
palesando una recente posizione del Pentagono che definisce il
cambiamento climatico globale “un
moltiplicatore del rischio”. Ricorda ancora Kerry, che, nel 2015, lo stesso
Pentagono ha diffuso un allarmante documento sui rischi alla sicurezza interna
legati ai cambiamenti climatici che, tra i tanti aspetti
negativi, annovera gli effetti nefasti dell’intensità e della frequenza
di uragani che, ormai, con regolarità e virulenza inaudita, flagellano il suolo
americano e l’incremento dei costi per la produzione agroalimentare.
Uno scenario, comunque, delicato e complesso sul quale non conviene azzardare
alcuna previsione, ma è doveroso rilevare che, oggi, quasi un terzo dell’energia
mondiale è prodotta ancora con il carbone e che molte nazioni, tra cui l’Italia,
finanziano ancora l’industria dei combustibili fossili. Secondo il recente
dossier di Legambiente, l’Italia è, tra i Paesi del G7, quella con i maggiori
sussidi diretti o indiretti alle fonti fossili, in rapporto al PIL. Spende
l’esorbitante somma 14,8 miliardi di euro l’anno.