A inizi dicembre
Il 4 dicembre prossimo, gli elettori italiani saranno chiamati alle urne per il
referendum conservativo previsto dall’articolo 138 della Costituzione sulla
legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo
paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi
di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del
titolo V della parte II della Costituzione” approvata dal Parlamento e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016.
Fac-simile della scheda di votazione. Per approvare la riforma, tracciare una croce sul SI; per bocciarla, tracciare una croce sul NO
Questi i punti salienti della riforma.
Il nuovo Senato
Il testo approvato configura il Senato come un organo elettivo di secondo grado
rappresentativo degli enti territoriali e composto, al massimo, da cento membri.
Novantacinque senatori sono eletti dai Consigli regionali e dai Consigli delle
Province autonome (74 tra i propri componenti e 21 fra i sindaci dei Comuni dei
rispettivi territori). Nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La
durata del mandato dei senatori coincide con quella dei Consigli Regionali dai
quali sono stati eletti. L'elezione dei senatori avverrà secondo modalità
stabilite da una legge bicamerale e dovrà avvenire in conformità con le scelte
espresse dagli elettori per i candidati consiglieri regionali in occasione del
rinnovo dei medesimi organi.
Fino a 5 senatori possono essere nominati dal Presidente della Repubblica per un
mandato di sette anni non rinnovabile. Ai senatori non spetta alcuna indennità
per l’esercizio del mandato ed hanno le stesse prerogative dei deputati.
Funzioni del Senato
Il nuovo Senato rappresenta le istituzioni
territoriali e svolge funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti
costitutivi della Repubblica e l’Unione europea, funzioni per la valutazione
delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni, per
la verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori
nonché per l’espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo e per
la verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato.
Diversamente dalla Camera dei Deputati, il nuovo Senato non è legato al Governo
da un rapporto di fiducia.
Su ogni progetto di atto normativo o documento all’esame della Camera dei
deputati, il Senato può svolgere attività conoscitive e formulare osservazioni
e, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta, chiedere alla Camera di
procedere all’esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera è tenuta a
pronunciarsi entro sei mesi dalla data della deliberazione del Senato. Al Senato
spetta anche il potere di inchiesta, che il rinnovato art. 82 della Costituzione
circoscrive a materie di pubblico interesse riguardanti le autonomie
territoriali.
Procedimento legislativo: superamento del bicameralismo paritario
L'esame dei progetti di legge è avviato dalla Camera
dei deputati
ed è trasmesso al Senato che, entro dieci giorni, su richiesta di un
terzo dei suoi componenti, può
disporre di esaminarlo. Una
volta effettuata tale deliberazione, l’esame può concludersi con l’approvazione
di proposte di modifiche, che la Camera dei deputati potrà valutare se
accogliere o meno in sede di approvazione definitiva. Il bicameralismo paritario
resta in un ambito disciplinato dal nuovo art. 70 della Costituzione. La
funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere solo per
alcune leggi espressamente indicate, quali le leggi di revisione costituzionale
e quelle costituzionali, nonché alcune leggi ordinarie aventi un contenuto
proprio, del tutto tipico, per le quali l’intervento del Senato trova uno
specifico fondamento nella sua natura e nella sua composizione.
L'istituto del "voto a data certa"
La riforma introduce criteri per avere tempi certi di approvazione delle leggi.
Tra questi, quello che stabilisce che il Governo può chiedere un “voto a data
certa” per far votare in massimo 70 giorni disegni di legge essenziali per
l’attuazione del suo programma. Sono escluse da questo procedimento le leggi
bicamerali, le leggi elettorali, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei
trattati internazionali, le leggi che richiedono maggioranze qualificate (artt.
79 e 81, comma sesto, Cost.).
Titolo V della Costituzione
Vengono eliminate le competenze concorrenti tra Stato e Regioni. Lo Stato
diventa responsabile esclusivo di materie quali:
*
il coordinamento della finanza pubblica;
*
le politiche attive del lavoro;
*
promozione della concorrenza
*
le infrastrutture strategiche;
*
le politiche energetiche;
*
l’ambiente.
La nuova ripartizione tiene conto anche dell’orientamento espresso dalla
giurisprudenza costituzionale in occasione dei conflitti fra stato e regioni
degli ultimi anni. Viene eliminata la competenza legislativa “concorrente”
attualmente ripartita tra Stato e Regioni, considerando i problemi
interpretativi dopo la riforma del 2001. Resta ferma la “clausola di
residualità” che attribuisce alle Regioni la competenza legislativa in materie
non riservate alla competenza esclusiva dello Stato indicate in via
esemplificativa. La flessibilità delle competenze tra Stato e Regioni è
garantita dalla "clausola di salvaguardia" (la possibilità che una legge dello
statale intervenga anche in materie di competenza regionale per la tutela
dell'interesse nazionale) e dal procedimento previsto dal novellato art.116
Cost. che attribuisce forme di autonomia differenziate alle Regioni a statuto
ordinario, purché le stesse siano in condizione di equilibrio tra le entrate e
le spese del proprio bilancio.
Elezione del Capo dello Stato
È il Parlamento in seduta comune che elegge il Capo dello Stato, senza
l’integrazione della composizione con delegati regionali, ma i quorum per
l’elezione sono così modificati: viene eletto dal Parlamento in seduta comune a
maggioranza dei due terzi, dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei
tre quinti e dal settimo scrutinio quella dei tre quinti dei votanti.
Istituti di democrazia diretta e strumenti di partecipazione
Le firme necessarie per la richiesta di referendum restano 500mila, con il
quorum di partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto. Viene abbassato
il quorum per la validità del referendum abrogativo: se richiesto da almeno
800.000 firmatari, è fissato alla maggioranza dei votanti alle elezioni
politiche precedenti.
Si introduce inoltre nell’ordinamento, per la prima volta a livello nazionale,
la possibilità di prevedere forme di referendum propositivo e d’indirizzo, la
cui disciplina è rinviata ad una legge costituzionale successiva.
Vengono aumentate a 150.000 le firme necessarie per la presentazione di un
progetto di iniziativa popolare e introdotte garanzie procedurali per
assicurarne il successivo esame e l’effettiva decisione parlamentare.
Soppressione di enti
Si prevede la soppressione del CNEL e delle Province come enti costitutivi della
Repubblica.
Riduzione di costi
Specifiche riduzioni di spese conseguono alla previsione della gratuità del
mandato dei senatori, all’equiparazione dell’importo degli emolumenti dei
consiglieri regionali a quello del sindaco del capoluogo di regione e, infine,
dal divieto di erogazione di rimborsi o analoghi trasferimenti monetari con
oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei
Consigli regionali.
Fonte:
Dipartimento per le riforme istituzionali
Questo il fac-simile della scheda di voto.
Per
approvare la riforma si dovrà tracciare una croce sul SI, per bocciarla si dovrà
tracciare una croce sul NO.
Per qualsiasi altra informazione, consultare il sito www.interno.gov.it
Pur rimanendo neutrale, Il Galileo ha raccolto due pareri. Quello per il SI è
del prof. Giuseppe Nisticò, Direttore Generale dell’European Brain Research
Institute, Rita Levi Montalcini Foundation, di Roma; quello per il NO è
dell’architetto Roberto Biscardini, docente universitario e uno dei leader
socialisti milanesi.
IL REFERENDUM SULLA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE, UNA PIETRA MILIARE PER IL FUTURO
DEL NOSTRO PAESE
di GIUSEPPE NISTICÒ
Direttore Generale dell’European Brain Research Institute, Rita Levi Montalcini
Foundation, Rome
Giuseppe Nisticò
In un momento veramente delicato e difficile della vita politica in Italia,
specie dopo i risultati delle elezioni amministrative la gente comune chiede
chiarezza politica e si aspetta finalmente dopo decenni di delusioni
l'approvazione della riforma della Costituzione, che semplifica le procedure e
riduce drasticamente il numero dei politici.
Mi sono schierato apertamente a favore del Sì al referendum e insieme con l’ex
sottosegretario Carmelo Puija abbiamo costituito un apposito Comitato a livello
della Regione Calabria e a livello nazionale. Va detto immediatamente che il
voto sul referendum non è un voto a favore o contro il Governo Matteo Renzi
bensì un voto per affrontare e risolvere il problema delle Riforme
costituzionali dopo decenni di lunghe, estenuanti ed inutili discussioni.
Un voto cioè per migliorare e semplificare alcuni aspetti dell’assetto delle
Istituzioni e da cui derivano benefici per i cittadini. È assolutamente
sbagliato pensare che votando No si voti contro Renzi; in realtà, si fa un danno
al Paese e a se stessi e non si consente di fare una Riforma di cui c’è enorme
bisogno mantenendo lo status quo e cioè conservando ancora lo stesso numero di
parlamentari e continuando a essere impaludati nelle lunghe procedure per fare
nuove leggi, con uno sterile ping-pong fra Camera e Senato che rende il sistema
pesante, inefficiente e a volte paralizzante.
Accompagnato dalla parlamentare del Pd Stefania Covello, carissima mia amica,
sono stato ad illustrare al
ministro delle Riforme Maria Elena Boschi il progetto politico che intendiamo
portare avanti con l’On. Puija.
Sono rimasto impressionato favorevolmente dal ministro Boschi che non avevo
avuto il privilegio di conoscere prima, impressionato perché è una donna giovane
e brillante, di grande onestà intellettuale e morale e di una determinazione non
comune.
Il Ministro ha voluto approfondire alcuni aspetti relativi al significato della
riforma della Costituzione e ne ha analizzato le prospettive e l'impatto a
livello europeo. Il sottoscritto anche a nome dell’Onorevole Pujia e dei membri
del direttivo dei movimenti popolari da loro fondati ormai da anni, ha
confermato al Ministro di essere motivato
ed impegnato a promuovere sul territorio una serie di riunioni ed eventi
volti a sottolineare l'importanza della riforma della Costituzione per il nostro
Paese. Bisogna profondere tutte le energie per coinvolgere nel processo
riformatore uomini di valore del mondo scientifico e della ricerca e personalità
di alto spessore culturale. È giunto il momento in cui i cittadini devono
scendere direttamente in campo per difendere i loro sacrosanti diritti, non
essere più presi in giro ed agire per approvare le riforme ormai troppo a lungo
rinviate, dissipando così con il loro voto la confusione generata di proposito
da tutti i partiti politici, che vogliono conservare lo stato attuale temendo di
perdere il potere e i privilegi di cui finora hanno goduto. Soltanto con
l'approvazione delle riforme e mantenendo gli impegni assunti dal governo e dal
Parlamento i cittadini potranno riconfermare la loro fiducia nei partiti
tradizionali e nelle istituzioni. Inoltre la riforma consente con l’esistenza di
una sola Camera di approvare le leggi in tempi più rapidi e con maggiore
efficienza.
Secondo Pujia, oltre al "laboratorio Calabria", volto alla costituzione di una
rete di sindaci, di liste civiche e dell'area di centro-destra, ci si propone di
estendere la rete in altre Regioni d'Italia attraverso l'inserimento nei
circuiti di personalità di alto prestigio, che sono convinte della validità
delle ragioni a favore del referendum. Finalmente con la riforma costituzionale
molte persone morbosamente attaccate alle poltrone dovranno rassegnarsi a
rinunciare che il nuovo Senato sarà costituito solo da 100 senatori invece dei
315 attuali. Ciò consentirà un enorme risparmio di risorse pubbliche che
potranno essere indirizzate a creare nuovi posti di lavoro specie nel campo
della ricerca scientifica.
È necessario infatti in questo momento di particolare crisi potenziare le
Università e la Ricerca scientifica che si sta conducendo in Italia in
qualificati Istituti sia pubblici che privati che sono accreditati da anni a
livello internazionale. Il ministro Boschi ha confermato il suo massimo impegno
a valorizzare il patrimonio umano dei nostri giovani e gradualmente incrementare
la percentuale di PIL per la ricerca scientifica. Infatti ancora oggi il nostro
Paese rimane in Europa una delle cenerentole e gli investimenti in ricerca sono
significativamente inferiori a quelli di altri Paesi come Svezia, Inghilterra e
Francia. Il ministro Boschi ha ribadito che il governo riconosce come priorità
del suo programma gli investimenti sull’ innovazione e sulla ricerca e sulle
tecnologie avanzate i cui risultati ci consentono di essere competitivi a
livello internazionale. Ma per fare tutto questo è necessario a mio avviso
mantenere un quadro di stabilità politica in Italia.
Difatti, come di recente ha ribadito la stessa Confindustria la stabilità
politica è essenziale per la ripresa economica dal momento che il nostro Paese a
partire dal 2008 ha subito una contrazione della produzione industriale del 20%.
Ed è naturale che la crisi economica colpisca innanzitutto le classi più deboli
dei cittadini. Non va sottovalutato il fatto che in caso di malaugurata vittoria
dei No sul referendum ci sarebbe in Italia una situazione di caos politico e
l’impossibilità di formare un nuovo
governo porterebbe ad elezioni anticipate il cui esito non è assolutamente
scontato a favore dei partiti tradizionali.
Con nuove elezioni ci sarebbero spese enormi per il nostro Paese con il rischio
di riportare l’Italia in recessione, verrebbe meno la credibilità in Europa e
chiaramente non ci sarebbe più la forza con cui il Presidente Renzi sta
lavorando per modificare le strategie economiche e finanziarie dell’Europa
chiedendo maggiore flessibilità e investimenti per la crescita, lo sviluppo e il
lavoro.
Soltanto la vittoria del Sì alla riforma conferirà maggiore stabilità al quadro
politico del nostro Paese e consentirà di dare maggiore forza e incisività al
ruolo che il nostro governo dovrà svolgere in Europa.
Il sottoscritto si augura che anche Forza Italia, sotto la guida di Gianni
Letta, sappia riprendere il ruolo di protagonista del processo riformatore e che
il presidente Berlusconi possa gradualmente uscire dalla vita politica “a testa
alta” e cioè da padre nobile della Patria. La nuova Forza Italia dovrà
finalmente ricollocarsi sulle posizioni originarie di centro e cioè di un centro
moderato nel contempo cattolico e liberale, ben lontano dalle posizioni
demagogiche, aggressive e xenofobe della Lega di Salvini, di Marine Lepen e di
Donald Trump. Dopo l'approvazione del referendum, mi auguro anche con l'appoggio
di Fi, Berlusconi potrà incidere per migliorare la legge elettorale e per far
assumere a Matteo Renzi l'impegno di modificare in tempi brevi la riforma
costituzionale, inserendo l'elezione diretta del Presidente della Repubblica.
È una sfida questa del referendum, ha detto il ministro Boschi, che dobbiamo
assolutamente vincere ed è per questo che faccio un appello a tutti gli uomini e
alle donne, giovani e anziani di buona volontà, che hanno a cuore il destino
delle nuove generazioni e la credibilità del nostro Paese a livello
internazionale di scendere in campo con tutte le loro energie a favore del Sì.
di Roberto Biscardini,
architetto, docente universitario e leader socialista milanese, esponente del
Comitato Nazionale Socialisti per il NO
Ci sono ragioni di fondo che mi hanno fatto decidere subito per il NO rispetto a
questa brutta controriforma della nostra Costituzione.
Nel merito tre questioni.
Primo.
Il dibattito si concentra di solito sui poteri demiurgici che dovrebbe aver
questo nuovo Senato, mentre è solo un letterale pasticcio, un ibrido.
Non elimina il bicameralismo paritario e rimane in piedi con poteri
legislativi propri. Ancorché composto da consiglieri regionali e sindaci non
eletti direttamente dai cittadini, avrà la possibilità di legiferare su materie
assolutamente importanti quali le
leggi di revisione costituzionale, i referendum popolari, le leggi elettorali,
quelle riguardanti gli enti locali e soprattutto quelle relative alla
partecipazione dell’Italia alle politiche dell’Unione Europea. Oggi circa l’80%
delle leggi che approva il parlamento riguardano questa materia. Quindi per
tutte queste leggi la cosiddetta “navetta” rimane esattamente in piedi come ora
e i tempi di formazione delle leggi non solo non saranno ridotti ma potrebbero
persino allungarsi per effetto di conflitti di competenza tra le due Camere.
Insomma i tempi non si ridurranno.
Delle due l’una, se si voleva abolire drasticamente il bicameralismo paritario
si doveva avere il coraggio di abolire il Senato tout court. Se invece si voleva
come obiettivo ridurre il numero dei parlamentari, regolamentando pur in modo
diverso il funzionamento delle due Camere, meglio ridurre da 630 a 400 i
Deputati e da 315 a 150 i Senatori, con un risultato più marcato di quello
previsto da questa riforma.
Secondo.
Si dice: ma abbiamo fatto il Senato delle Regioni. E non è vero neanche questo.
Il Senato delle Regioni dovrebbe avere come propri rappresentanti non
consiglieri sostanzialmente nominati dai partiti, ma rappresentanti dei governi
regionali in carica come sul modello del Bundesrat tedesco. E poi si dice: ma
noi con la riforma rafforziamo i poteri regionali. Ed invece per assurdo è vero
esattamente il contrario. Con la riforma aumentano le competenze esclusive dello
Stato e addirittura su proposta del Governo lo Stato può esercitare una
“clausola di supremazia” degli interessi nazionali sulle competenze delle
Regioni. Siamo ritornati al centralismo statale ante 1970, e ogni ipotesi
federalista o regionalista è messa ormai totalmente in discussione.
Contemporaneamente rimangono totalmente in piedi le Regioni a statuto speciale,
che rappresentano insieme un vecchio anacronismo e uno dei fattori di spesa più
alti della finanza pubblica.
Terzo.
Il tema della cosiddetta estensione della partecipazione popolare, questione
vera, aperta dalla fine degli anni ’60, e che giustificherebbe una seria e
meditata revisione costituzionale. Anche qui siamo al paradosso. L’esatto
contrario di quello che si dice di voler fare. I cittadini per presentare delle
proposte di legge di iniziativa popolare dovranno raccogliere 150.000 firme
contro le 50.000 attuali e la procedura per i referendum è diventata
assolutamente bizantina.
Ma arriviamo ai punti politici.
Il primo riguarda il metodo con il quale si è arrivati a questa riforma. Contro
il parere e lo spirito dei padri costituenti si è introdotto il principio che
una maggioranza parlamentare, eletta col sistema maggioritario e con legge oggi
giudicata incostituzionale, senza la ricerca di un consenso largo nel
parlamento, possa cambiare da sola 47 articoli della Costituzione, sostenendo
demagogicamente che il referendum confermativo farà giustizia di questa
anomalia. Siamo così ormai nel solco insidioso del populismo di Stato
soprattutto perché il SI o il NO secco non consente al cittadino un giudizio
sulle singole questioni poste in gioco. Da questo punto di vista è assolutamente
ragionevole il ricorso avanzato dal Prof. Onida a favore dello spacchettamento
del quesito.
Secondo: le Carte Costituzionali dovrebbero essere scritte per le nuove
generazioni e non per soddisfare o per ottenere una conferma più o meno
plebiscitaria delle maggioranze parlamentari e dei governi in carica.
L’attivismo dell’attuale Presidente del Consiglio e lo stesso fatto che la
proposta di riforma sia stata avanzata dal Governo e non dal Parlamento,
conferma l’anomalia di questa proposta. Ricordiamoci Calamandrei che invitava il
governo a stare a casa quando il Parlamento discuteva la riforma costituzionale
e persino De Gasperi, Presidente del Consiglio,
che intervenne allora dai banchi del parlamento per non compromettere la
sua indipendenza rispetto a quella dell’esecutivo.
Terzo: nella propaganda del SI viene invocato “il nuovo contro il vecchio”: ma
chi ha mai detto che di per sé le cose nuove siano sempre meglio delle cose
vecchie? Anche il fascismo lo era rispetto alla fase precedente.
Viene invocato “il cambiamento” come un valore di per sé. Anche qui verrebbe da
dire: negli ultime vent’anni in Italia e anche nel resto del mondo è cambiato
pressoché tutto ma non in meglio. Non abbiamo più le preferenze, non abbiamo più
i partiti, non abbiamo più le istituzioni, lo Stato è come si voleva, debole e
leggero, l’economia e la finanza contano sopra la politica. Tutti cambiamenti di
cui oggi potremmo pentirci. I cambiamenti non sono sempre positivi.
Si invoca la stabilità dei governi, tema che i cittadini hanno capito benissimo
che non dipende dalla riforma costituzionale o dalle leggi elettorali ma dalla
politica infatti la prima
repubblica, con i suoi circa 60 governi, è considerata da tutta la storiografia
del mondo come il periodo più stabile del nostro paese.
Infine si invoca “la velocità” come valore, anche questo un termine molto
futurista e del tutto astratto rispetto al tema della efficienza. Non è
assolutamente detto che l’efficienza marci insieme alla velocità.
Per finire: i sostenitori del SI chiedono il voto per evitare “salti nel buio”.
L’esatto contrario. Con il SI si avvia una fase interminabile in cui qualunque
maggioranza, anche quella più strampalata, frutto di una legge elettorale
assolutamente non democratica come il Porcellum o l’Italicum per esempio, potrà
a colpi di maggioranza piegare la Costituzione a sua immagine e somiglianza,
fino alla sua totale abrogazione. Non dimentichiamoci che questo è stato
l’obiettivo, persino non tanto nascosto, della destra storica, dallo Statuto
Albertino sotto sotto fino ad oggi.
Dopo la vittoria del NO, invece, si dovrà eleggere e convocare inevitabilmente
una Assemblea Costituente per ridare
senso unitario alla nostra Costituzione e per impedire i continui
rimaneggiamenti e ritocchi che già in parte l’hanno resa irriconoscibile. Non
dimentichiamoci l’obbrobrio del pareggio di bilancio e dei vincoli europei già
costituzionalizzati.
Dopo i fallimenti delle bicamerali e con dei parlamenti eletti con il sistema
maggioritario non ci sarà alternativa, se si vuole veramente cambiare la
Costituzione, ad eleggere direttamente e con sistema proporzionale una nuova
Assemblea Costituente indipendente dalla maggioranza parlamentare e dal governo
in carica. Essa dovrà affrontare almeno due temi cruciali assolutamente
necessari ed attuali, che questa riforma non affronta.
La necessità di riequilibrare gli strumenti di democrazia diretta con quelli
della rappresentanza; come e con quali regole cedere sovranità nazionali senza
distruggere la nostra storia, cultura e identità, contemporaneamente difendendo
i principi fondamentali della nostra Costituzione.
Tutti coloro che dichiarano di votare SI devono sapere che con quel voto il
“salto nel buio” è garantito. Si apre la strada alla soppressione di fatto della
prima parte della Costituzione, si accettano politiche economiche e sociali
imposte all’Italia dal vincolo estero anche per il futuro, il potere
parlamentare e quindi del popolo sarà sempre più irrilevante. Il potere
legislativo sarà sempre più unificato al potere dell’esecutivo.
La battaglia per il NO è quindi una battaglia consapevole per il bene
dell’Italia e del suo futuro, perché non è vero che “una riforma qualsiasi è
meglio di niente” e non è assolutamente vero che “piuttost che nient, l’è mei
piuttost” quando il “piuttost” è una porcheria.