Venti milioni di morti causati da un virus allora sconosciuto
Anche quest’inverno siamo minacciati da un virus molto aggressivo. Secondo i
medici, la soluzione migliore è il vaccino
di Luisa Monini
Estate 1918. Prima settimana di Agosto. 70.000 soldati americani chiamati in
guerra a dar manforte agli alleati europei sbarcarono sulle coste francesi
portando con loro armi, munizioni, viveri ed un virus sconosciuto e letale che
fece tre volte le vittime causate dalla prima guerra mondiale. La più grave
pandemia influenzale del XX secolo causò venti milioni di morti e fu denominata
“spagnola” ed il virus responsabile, codificato come HSW1N1 (A0). Da allora il
sistema immunitario umano è stato sorpreso ancora numerose volte dalle mutazioni
antigeniche dei virus responsabili delle ondate epidemiche e pandemiche ma mai
più in modo così drammatico e questo grazie anche alla scoperta degli
antibiotici che dagli anni ‘40 in poi del secolo scorso hanno permesso di
combattere le complicanze dovute alle sovrainfezioni batteriche, soprattutto
quelle a carico dell’apparato respiratorio.
Ma se, grazie a Fleming ed alla sua penicillina, la storia dell’influenza con le
sue complicanze è stata in qualche modo mitigata e contrastata, nessuno
scienziato ha potuto né potrà mai prevedere le bizzarre mutazioni degli antigeni
di superficie che i virus compiono periodicamente quasi in una sfida
intelligente fra il loro RNA ed il DNA umano.
La emoagglutinina (H) e la neuroaminidasi (N) (questo è il loro nome
scientifico) sono le proteine virali responsabili della risposta immunitaria
nell’uomo e quindi delle manifestazioni cliniche più o meno gravi.
E così, periodicamente, ogni tre o quattro anni in seguito a mutazioni minori
degli antigeni suddetti, si sviluppano le epidemie; mentre ogni 20 anni circa,
in seguito a variazioni maggiori che comportano addirittura la sostituzione
antigenica, si hanno le pandemie che possono colpire il mondo intero.
Il virus della spagnola ricostruito in laboratorio
Come la “asiatica” del 1957 con 40.000 morti in tutto il mondo. Nonostante si
fosse già in era antibiotica. Questi gravi episodi del passato vanno tenuti vivi
nella memoria collettiva per far sì che oggi non si sottovalutino i potenziali
rischi dei nuovi virus influenzali; soprattutto di quelli che non sono mai
venuti in contatto con il nostro sistema immunitario come nel caso del virus
specie A/ sottotipo H3 isolato a fine agosto in un bambino proveniente dalla
Libia. Anche i due virus A/Hong Kong (H3N2) e B/Brisbane, hanno subito delle
piccole mutazioni che predispongono a una maggiore circolazione dell'influenza
stagionale 2016-2017. Sono queste le novità dell’ influenza in arrivo che
minaccia di mettere a letto oltre 6 milioni di italiani con un ricco corteo
sintomatologico, dal mal di gola al mal di testa con tosse e dolori alle ossa e
alle articolazioni. Per non parlare delle complicanze broncopolmonari tipiche
negli anziani. Purtroppo in Italia manca una vera cultura della vaccinazione che
quindi è da promuovere con campagne di sensibilizzazione e con forme
comunicative
diverse e innovative che possano raggiungere la popolazione tutta; ivi inclusi i
medici, gli infermieri e gli operatori socio-sanitari. Secondo dati riguardanti
l’area genovese, ma indicativa del dato nazionale, il 90% degli infermieri e il
70% dei medici lo scorso anno non si sono vaccinati contro l’influenza.
Giancarlo Icardi, referente regionale della prevenzione per la Regione Liguria,
nell’ambito della rete nazionale di farmacovigilanza in ambito vaccinale,
precisa che questi dati sono da attribuire a una mancata percezione del rischio
e a poca conoscenza della materia “ma pesa anche una scarsa etica
professionale». Gli esperti dunque consigliano di ricorrere alla vaccinazione il
più precocemente possibile soprattutto nelle categorie delle persone più a
rischio come i bambini, gli anziani e i pazienti affetti da malattie croniche.
Ultimamente la vaccinazione antiinfluenzale è stata estesa anche alle donne al
2°/3°trimestre di gravidanza per evitare alla madre e al nascituro le possibili
e serie complicanze in caso di influenza. Il vaccino inoltre proteggerebbe il
neonato nei primi 4 mesi di vita dal rischio di contrarre la malattia.
Inutilità, presunta inefficacia, effetti collaterali; il mondo dei vaccini è
popolato da leggende metropolitane che condizionano pesantemente le preferenze
dei cittadini. Colpa dei falsi allarmi e bufale che sempre più frequentemente
circolano in rete. Il risultato, purtroppo, è che gli italiani che si vaccinano
contro l'influenza sono oramai meno del 20% e, tra gli anziani, la percentuale è
scesa a meno del 50%. Comunque, bando alle critiche rivolte agli eventuali
insuccessi vaccinali, bisogna precisare che la vaccinazione rimane l’unica e
vera arma per prevenire e combattere l’influenza e, nel malaugurato caso che non
si dimostri efficace nello sventare l’attacco virale, comunque ne attenuerà
sicuramente le manifestazioni cliniche e le eventuali complicanze.
L’importante è seguire la raccomandazione degli esperti: niente panico, niente
ricoveri urgenti da codice rosso solo per uno starnuto in più o per una febbre
sospetta.
Ciascuno di noi, piuttosto, metta in pratica la più elementare delle norme
igieniche: lavarsi spesso le mani. Di fatto i virus influenzali si trasmettono
per via aerea attraverso le gocce di saliva di chi tossisce o starnutisce ma si
può anche trasmettere, per via indiretta, attraverso il contatto delle mani e
delle secrezioni respiratorie. Ecco perché si raccomanda
il rispetto delle norme igieniche a casa, a scuola, sul lavoro e in tutti
i locali pubblici.
Va comunque ricordato che la vaccinazione contro l’influenza stagionale va fatta
non solo nelle categorie delle persone definite a rischio, bensì andrebbe estesa
a tutta la popolazione rendendo così vita dura ai virus che si diffonderebbero
con più difficoltà. Un vero e proprio atto di civismo da parte di una società
che si definisce evoluta, a tutela delle persone più fragili che la compongono.