Quali sono gli effetti e i rischi psicologici
provocati dal terremoto?
di Angelo Gemignani e Francesca
Mastorci*
Le calamità naturali come il terremoto che ha colpito l’Italia Centrale nei
giorni scorsi sono eventi che superano l'ambito della normale esperienza e che
quindi, dal punto di vista psicologico, rappresentano traumi tali da indurre
stress in chiunque li abbia vissuti. Come è comprensibile, essere travolti da un
evento di questo tipo mette a durissima prova le nostre capacità di adattamento
e la nostra salute psicologica, sebbene le reazioni di stress vengano
considerate una reazione normale a eventi eccezionali.
Fondamentalmente, i rischi per la sfera psicologica sono legati all’insorgenza
di patologie, spesso gravi, conseguenti alla cronicizzazione della paura, che
diventa angoscia quando l’evento sismico non si esaurisce in breve ma si protrae
nel tempo.
Una simile sollecitazione emotiva innesca una serie di effetti tipicamente
legati all’esposizione cronica di stress, quali modificazioni dei livelli
ormonali (cortisolo e catecolamine, nelle donne anche gli estrogeni),
alterazioni del sonno e, nel lungo termine, variazioni cardiovascolari associate
a un maggior rischio di sviluppare ipertensione, tachicardia e talvolta infarto
del miocardio. Tutto questo crea una via preferenziale per l’insorgenza di
patologie come la depressione e il Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS).
Inoltre è necessario distinguere tra la percezione dello stress degli adulti e
dei bambini, dato il differente approccio con cui vivono un’esperienza così
traumatica e le diverse terapie a cui dovranno essere sottoposti.
Quali emozioni innesca il terremoto nelle popolazioni che lo subiscono?
Il terremoto produce nelle persone uno choc emozionale intenso, tipicamente
scatenando ansia, paura e attacchi di panico. L’ansia è generalmente un’emozione
a due facce: da un lato può spingere l’individuo a dare il massimo mediante una
serie di processi dinamici neurali, fisiologici, comportamentali e cognitivi che
portano all’adattamento; dall’altro può limitare l’esistenza dell’individuo
stesso inducendo alterazioni neurali, fisiologiche, comportamentali e cognitive
che aumentano la vulnerabilità a manifestare patologie.
Alcuni studi hanno dimostrato come, anche in situazioni drammatiche come
sopravvivere ad un terremoto, le vittime possano sperimentare emozioni positive,
altrettanto intense e persistenti di quelle negative. E’ noto infatti che
l’esposizione ad eventi avversi provoca una vasta gamma di reazioni
psicopatologiche; tuttavia, non è così chiaro come l’esistenza di emozioni
positive possa in qualche modo ridurre o mediare l’impatto del trauma. Studi
specifici sull’adattamento allo stress hanno dimostrato come i fattori di
personalità relativamente stabili, ad esempio la felicità e l’ottimismo, possano
mediare gli effetti negativi dello stress. A questo proposito, evidenze
sperimentali indicano che, di fronte ad eventi di vita negativi, persone che in
precedenza hanno avuto esperienze positive, attingevano da questo “bagaglio
emotivo” per poter esercitare un tale controllo psicologico in modo da adattarsi
allo stress, ed esibendo una minor vulnerabilità a sviluppare le classiche
patologie stress-correlate.
Inoltre, per meglio comprendere l’impatto di un terremoto sulla sfera emotiva, è
necessario conoscere le alterate funzioni cerebrali evidenti già nelle prime
fasi dell’adattamento al trauma. Studi in modelli animali dell’impatto dello
stress acuto e cronico, hanno evidenziato cambiamenti fisiologici e morfologici
in molte regioni cerebrali, in particolare nell’amigdala, nell’ippocampo e nella
corteccia prefrontale. Questi risultati sono coerenti con quanto riscontrato in
uno studio umano condotto nei sopravvissuti al terribile terremoto di magnitudo
8.0 che sconvolse una zona della Cina nel 2008, in cui si monitorò la
funzionalità cerebrale per mezzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI).
Rispetto ai controlli, i sopravvissuti mostravano, già 25 giorni dopo l’evento,
un’iperattività a livello del sistema limbico e della corteccia pre-frontale e
un’attenuata connettività funzionale nelle aree limbiche frontali e nelle
regioni striatali, notoriamente coinvolte nel processa mento delle emozioni.
L’esposizione a fattori di stress di natura così intensa, oltre a modificazioni
di funzionalità cerebrale, innesca, nel giro di pochi minuti, anche alterazioni
a livello molecolare, in particolare a carico delle proteine c-fos e NGF e
predisponendo così allo sviluppo della sintomatologia depressiva e del Disturbo
Post Traumatico da Stress.
Che tipo di assistenza psicologica è necessaria?
Innanzitutto occorre fare una prevenzione primaria, in cui si mette l’individuo
in condizioni di conoscere le proprie emozioni e saper controllare gli effetti
che queste hanno sul comportamento e sulla salute psicologica, attraverso una
formazione specifica con l’aiuto di corsi e tecniche da attuarsi ovviamente in
periodi precedenti al disastro. Riuscire ad educare la nostra mente e il nostro
corpo mediante ad esempio la meditazione, ci permetterebbe di controllare le
nostre emozioni, le nostre ansie e paure in modo da essere in grado di adattarci
anche a situazioni drammatiche quali sono gli eventi sismici.
Ad una prevenzione primaria, deve seguire una prevenzione secondaria, in cui
vengono programmati interventi di sostegno psicologico, successivi all’evento
sismico, per sostenere le persone colpite dalla reazione acuta di stress
(attacco di panico), evitando così che questo si trasformi in un disturbo
post-traumatico da stress, ad esempio mediante centri di ascolto post-emergenza.
Dal momento che ad un evento traumatico è spesso connesso un particolare livello
di stress. Cosa accade quando una persona soffre del Disturbo Post Traumatico da
Stress (DPTS)?
Numerosi dati della letteratura confermano come un disastro naturale, produca un
elevato stress con conseguenze a lungo termine, di carattere sia fisiologico che
psicologico, e sintomi residui post-traumatici soprattutto nei soggetti più
giovani. In particolare, studi recenti mostrano come l’esposizione ad un evento
traumatico aumenti maggiormente la vulnerabilità a sviluppare il Disturbo Post
Traumatico da Stress nelle donne rispetto agli uomini. Questo dato è supportato
anche da evidenze sperimentali ottenute in una ricerca condotta negli individui
sopravvissuti all’attacco terroristico alle Torri Gemelle e ai terremoti in
Molise nel 2002 e dell’Abruzzo nel 2009 che mostra come circa la metà dei
soggetti studiati sviluppavano questa patologia. E’ importante tenere conto le
differenti modalità individuali di risposta al trauma, e il fatto che ogni
reazione soggettiva deve essere analizzata anche in termini oggettivi sulla base
delle caratteristiche del trauma stesso, quali ad esempio l’imprevedibilità e
l’intensità. Ovviamente, più un trauma è grave e persiste nel tempo, più intense
e durature saranno le conseguenze sull’individuo. Generalmente, la persona
affetta da DPTS tende a “rivivere” l’evento traumatico, perdendo improvvisamente
il contatto con la realtà e arrivando a provare un disagio ed un terrore molto
intensi. Talvolta, si possono manifestare delle vere e proprie amnesie legate
all’evento sismico, correlando questo senso di evitamento ad una certa
difficoltà di provare emozioni (amnesia emotiva); nelle situazioni più gravi si
possono verificare comportamenti di autolesionismo e tentativi di suicidio
legati alla visione totalmente negativa del futuro.
Solitamente, queste reazioni psicofisiologiche possono manifestarsi mesi o anni
dopo l’evento traumatico, sebbene mediamente la comparsa dei primi sintomi si
registra a partire dal secondo e terzo mese successivo al trauma.
L’intervento precoce sui sopravvissuti a un trauma come il terremoto,
indipendentemente dalla presenza di una diagnosi di DPTS, dovrebbe essere quindi
un obiettivo primario nell’ambito di un programma di Salute Pubblica, attuando
una terapia immediata per evitare negli anni l’instaurarsi di patologie
psicosomatiche (cardiovascolari, immunitarie, gastroenteriche, nervose e
metaboliche) e psicologiche (ansia, depressione e schizofrenia)
stress-correlate.
Quali sono i consigli per affrontare tale disturbo?
Sicuramente non bisogna far passare troppo tempo, ma occorre cominciare una
terapia il prima possibile dall’insorgenza dei sintomi. In particolare, in
questi casi viene utilizzata la terapia cognitivo-comportamentale, che prevede
l’inizio della cura nei primi giorni successivi al trauma. L’obiettivo è quello
di aiutare ad elaborare la tragedia e a “incanalare” le emozioni, in modo da
arrivare lentamente a non viverle più. Di solito viene effettuata direttamente
“sul posto” da un’équipe di psicologici specializzati negli interventi
immediati; nonostante la terapia, in alcuni soggetti il trauma psicologico può
persistere o addirittura peggiorare trasformandosi in cronico.
La triste storia degli ultimi anni, dai terremoti che hanno colpito l’Aquila,
l’Emilia Romagna fino a quello dei giorni scorsi, e dato il rischio sismico in
buona parte dell’Italia, ci portano a non poter, né a dover non prendere in
considerazione l’importante ruolo dello psicologo dell’emergenza sia in
condizioni di calamità naturali che in quelle legate ad attacchi terroristici.
La Psicologia dell’emergenza rappresenta un ampio insieme di contributi diversi
della psicologia, dalla Psicologia clinica, Psicologia sociale, fino alla
Psicologia di comunità e della salute, finalizzata a comprendere i processi
psicologici, sia psicofisiologici,
cognitivi, emotivi, che
comportamentali, attivati in tali condizioni. Tutto questo ovviamente
senza trascurare gli esiti nel breve e nel lungo termine che andranno
inevitabilmente ad incidere sulle capacità di adattamento e sul benessere delle
persone e delle comunità colpite. Gli interventi dovranno essere indirizzati sia
alle persone coinvolte direttamente nell’evento, che i soccorritori che a loro
volta hanno vissuto in prima persona o meno gli eventi critici verificatisi.
In generale, dal punto di vista psicologico, le due categorie più a rischio sono
soprattutto i bambini e gli anziani; in questo caso, si devono predisporre delle
strategie da adottare individualmente. Nel caso dei bambini, per esempio, si
continua con la psicoterapia, che viene praticata anche sui genitori e sugli
insegnanti, in modo da creare una vera e propria rete attorno al piccolo, per
aiutarlo nella guarigione. È un lavoro da portare avanti con delicatezza, ma
senza perdere tempo. Ci sono studi che, nei bimbi vittime di traumi importanti,
hanno evidenziato il pericolo di un ritardo nello sviluppo fisico e cognitivo,
difficile da recuperare se non si interviene subito.
* Angelo Gemignani è presidente
dei Corsi di Laurea di Psicologia Clinica e della Salute dell’Università di
Pisa
Francesca Mastorci è ricercatrice dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr,
Pisa