I LIBRI
Riesumati gli scritti di un vecchio giornalista
un maestro per le nuove generazioni
Il caratteraccio dei fiorentini
è il prodotto della malinconia
di Mario Talli
Renzo Martinelli: “Il popolo di Firenze e altre
cronache” – Editore
Angelo Pontecorboli
-
€ 14,00
Renzo Martinelli è stato un
giornalista ai suoi tempi piuttosto famoso ma di cui si è persa la memoria. Una
raccolta di
suoi
scritti, opportunamente pubblicata
con il titolo “Il popolo di Firenze e altre cronache”, Angelo Pontecorboli
editore, ci consente ora di conoscerne
le caratteristiche davvero rimarchevoli e in qualche modo anche
singolari, frutto di una personalità per certi aspetti fuori dall'ordinario,
come testimonia d'altronde il suo percorso professionale.
Nato sul
finire dell'800, esattamente nell'anno 1888, da un padre cameriere e da una
madre casalinga, quindi del tutto privo di entrature, Martinelli si accostò
giovanissimo al giornalismo come reporter, parola che farebbe pensare
a chissà cosa ma che a quel tempo voleva dire raccogliere informazioni
sui fatti di cronaca, prevalentemente nera, direttamente dagli ospedali, dalla
polizia e dai carabinieri e poi passarle in redazione ai cronisti che le
avrebbero tradotte in notizie o articoli. Se l'approccio con la professione
avvenne nel modo più umile, scoppiettante fu invece la carriera. Dall'esordio
col giornale fiorentino Il Fieramosca, alla Nazione, al Resto del Carlino di
Bologna, al Secolo di Milano, al Popolo di Roma e poi di nuovo alla Nazione,
egli fu corrispondente di guerra nel primo conflitto mondiale e poi inviato in
Africa (continente di cui si
innamorò), Medio Oriente e America Latina. Uomo dai molteplici interessi, non
contento di quanto aveva fatto nell'ambito professionale riversò le sue
esperienze in alcuni libri e volle scrivere anche per il teatro con discreto
successo; sue commedie furono infatti rappresentate in Italia e all'estero.
Ma non è della
carriera professionale di Renzo Martinelli che dobbiamo parlare. Dobbiamo e
vogliamo parlare dei suoi scritti più ispirati e significativi tornati alla luce
meno di un mese fa. Il titolo potrebbe far pensare al solito trattato sulle
virtù e i difetti dei fiorentini, su cui esiste un'abbondante e non sempre
apprezzabile letteratura sul filo del vernacolo e del bozzettismo strapaesano,
in cui si sono talvolta cimentati anche scrittori di buona e meritata fama nel
primo ventennio del Novecento. Nulla di tutto questo. Martinelli coglie
perfettamente le peculiarità del popolo fiorentino e anche di quello toscano
le disvela e le approfondisce con argomentazioni assolutamente originali
e inedite e con l'uso di una lingua che non ignora l'arguzia
e il sapore del parlato corrente, ma che non scade mai nella battuta
facile e ripetitiva. Ma fa ancora di più e meglio. Si esprime, scrive e parla,
come farebbe un fiorentino qualsiasi in una normale conversazione e cioè in modo
del tutto naturale e senza la protervia di voler dimostrare come si parla a
Firenze.
Leggete, per
sincerarvene, quanto egli scrive a proposito del mestiere di cronista. “Qualcuno
tra voi saprà come io abbia sfornato tutto il mio pane, per un buon ventennio
filato, dagli ospedali, dalle questure e dalle aule giudiziarie. Io sono infatti
uno degli ultimi esemplari viventi di quella povera, candida e tanto deplorata
genìa di cronisti della cronaca nera ai quali si è fatta forse la più ingenerosa
delle ingiustizie fra quante possano essere toccate agli uomini passati di
moda.Pensate: per quattro soldi mensili doversi veder davvicino tutti i cadaveri
non domestici della città e del suburbio (voglio dire i morti ammazzati e di
suicidi e le vittime delle disgrazie) e farsi bagnare dalle lacrime dei babbi,
delle mamme, dei figlioli accorsi accanto al ferito o al bell'e morto e, se
c'era di mezzo il dramma, correre di casa in casa, interrogare i pigionali,
arrivare all'uscio giusto, presentarsi con le debite cautele, interrogare tutti
senza un diritto al mondo, frugare cassetti, chiedere (o rubare) lettere e
fotografie, e poi precipitarsi, con la lingua fuori e il cuore in gola, in
redazione e mettersi a scrivere...”
Renzo Martinelli
Il titolo del libro
presuppone un giudizio dell'autore sul modo di essere, sulla natura dei
fiorentini. Ed in effetti di giudizi ce n'è più d'uno e tutti quanti tutt'altro
che scontati. Per esempio, riguardo alla loro
“fama di bizzarria beffarda”, Martinelli non esita a richiamare le
“novelle antiche” e fa anche i nomi del Boccaccio e del Sacchetti, cui si deve
“una rinomanza...tutta fatta di scherzi crudeli e di avventure grasse”, ma per
ammonire subito dopo: “Voi credete che Firenze, nel Tre, nel Quattro e nel
Cinquecento fosse proprio così? Io no”. E continua,spiazzante: “E' un po' la
storia degli antichi romani, tutti già antichi fin da allora!” Come a dire:
vanno bene gli accostamenti, ma andiamoci piano.
Un ulteriore
invito a non fidarsi dei giudizi superficiali
e delle apparenze, sempre riguardo al modo di essere dei fiorentini,
arriva poco dopo. “Che il popolo fiorentino sia proprio, come carattere, una
pasta alla crema non direi, e ciò è bello. E' il modo più semplice d'altronde, e
più sicuro, per far sapere, nell'interesse di tutti, che non si vuole essere
mangiati da nessuno. Ma la sua vociferata prepotenza istintiva, la sua vocazione
per lo scherno, l'insulto, il cazzotto... si riattacca indubitatamente
all'umore, o meglio all'amore malinconico che lievita nel fondo più profondo
della sua intelligenza insoddisfatta.”
Non si
deve tuttavia pensare che il libro sia unicamente un trattato sul carattere dei
fiorentini e dei toscani. E' ben di più. E' anche un racconto a tratti commosso
e in parte ironico e divertito dell'iniziazione dell'autore fanciullo alla vita,
delle ristrettezze e delle traversie della sua famiglia, fatta oltre che dai
genitori, da una nonna e da ben cinque sorelle. A questo riguardo
particolarmente efficace e coinvolgente dal punto di vista narrativo è la
preparazione del viaggio per le Americhe. Era successo che la trattoria dei
genitori in riva d'Arno, a Bellariva, era stata inondata da una piena
del fiume che ne aveva provocato la chiusura. Il padre, non sapendo a che
santo votarsi, era stato infine convinto da alcuni intermediari (al mondo non
c'è mai nulla di nuovo, c'era anche allora, agli inizi del Novecento, chi traeva
profitto da coloro che la miseria
costringeva ad emigrare) a raggiungere il Brasile con tutta la famiglia per
lavorare nei campi.
La vigilia
della partenza (che poi non avvenne perché proprio all'ultimo momento un amico
procurò al padre un'alternativa di lavoro a Firenze), è così descritta da Renzo
Martinelli, che allora era un bambino. “E venne quel settembre; e una mattina,
aprendo gli occhi e incontrandomi con quelli dell mia sorella più piccola che
stava vestendosi accanto al letto vicino, vidi che ora, anche lei, che fino al
giorno avanti s'era così lietamente esaltata come me all'idea del grande viaggio
che ci aspettava, aveva il viso di tutti gli altri. Palpebre rosse, gonfie,
sguardo smarrito.
-
Perché?...Che
t'è successo? - le chiesi piano.
-
Oggi è il
quattordici... - mi disse, e si buttò sui guanciali.
“Il quattordici? Ma,
allora, si partiva domani.
Saltai a terra. Gli altri
letti erano vuoti. Corsi alla scala che metteva al piano di sotto, nella bottega
tutta ingombra di sacchi, di casse, di valige. Anche giù tutti piangevano forte.
“ Scesi. Nessuno mi badò.
Mi sedetti in un angolo, con in mezzo una feritoia a cerniera, una vecchia
cassetta per elemosine capitata in casa mia chissà quando e chissà come, e
regalata a me, una volta che ero stato malato, per i miei segreti. Pure su quel
povero oggetto da nulla, gli uomini venuti pochi giorni prima avevano
appiccicato un cartellino con sopra il prezzo di stima: una lira. Fu questa
impensata scoperta che, a un tratto, fece singhiozzare anche me. E, allora, fu
coro pieno.
- Basta! - gridò babbo,
all'improvviso, con voce secca, con una voce che non gli avevo sentito mai. -
Basta! Le cose sono andate per questo verso e bisogna avere coraggio. Col pianto
non si rimedia a nulla. Pensiamo, piuttosto, a quello che c'è ancora da fare.
Domattina vien presto.”
Insieme a questa scena
di intimità familiare, vi sono nel libro almeno altri due episodi che meritano
di essere conosciuti: l'occasione, poi miseramente sfumata, quando Renzo
Martinelli era ancora un aspirante giornalista in cerca di futuro, di
intervistare l'attrice Eleonora Duse e l'impatto, da professionista ormai
affermato, insieme ai colleghi della redazione della “Nazione”, con l'inattesa
notizia, la notte del 25 luglio 1943, dell'avvenuta
destituzione di Benito Mussolini. Per restituire il più compiutamente
possibile al lettore oltre alla cronaca anche il senso e
l'atmosfera di quei due momenti assolutamente non comparabili ma entrambi
intensamente vissuti dall'autore, ne proponiamo di seguito una sintesi fedele.
L'intervista mancata *
a Eleonora Duse
“Senti, ragazzino. Ti voglio fare un regalo.
Chi parla è Jarro, personaggio dalle mille
sfaccettature, critico teatrale della “Nazione” e amico di D'Annunzio.
-
Grazie, commendatore.
-
Ascolta. Non parlarne con nessuno finché la cosa
non è fatta. C'è la Duse a Firenze. Io so che vuole lasciare le scene. Vai a
trovarla, domandale se è vero e qualunque cosa ti risponda corri subito al
giornale e scrivi una bella intervista. E' una cosa che ti può lanciare. Te lo
meriti. L'ingegno non ti manca...”Io?”, “Si. Perché?” “Ma non mi riceverà...”
“Ti riceverà. Ti darò un biglietto di presentazione. Siamo molto amici.” “Va
bene. Ci vado subito.” “Vestito così?” Mi squadra e ci pensa. “Hai qualche altro
abito?” “No.” “Allora è meglio codesto.”
L'attrice famosa è alloggiata in un grande
albergo del Lungarno. Un portiere gallonato ferma il nostro eroe all'ingresso
con un dito. “Chi vuoi?” “La
signora Duse”, risponde il ragazzo, mostrando il biglietto di presentazione di
Jarro. “Va bene. Dai a me.” “E' una
cosa che la signora sa...mi deve dare certa roba...”
La bugia
mi fa diventare scarlatto. Ma per fortuna si tratta di un portiere così
pieno “ragazzo....”
-
Secondo piano. Camera sessantotto. Sai leggere?
“...Una guida felpata, molti scalini di sogno,
una cameriera che inarca le ciglia, un corridoio tepido e quasi completamente
all'oscuro...Mi ci inoltro, mi ci assuefaccio, anche i numeri delle porte
vengono fuori: 64, 66...ecco la porta della mia fortuna... Busso leggermente,
busso ancora...”
-
Chi è? Avanti...- fa una voce, quella voce!..
“Certamente la divina Eleonora crede si tratti
di qualcuno del personale dell'albergo.
-
Toc, toc...
“La maniglia gira, la porta s'apre a spiraglio,
vedo nella striscia luminosa il profilo di lei; e una gran massa di capelli
sciolti su una lunga vestaglia di trina.
Mi levo il berretto. Dico buonasera.
-
Chi cerchi?
-
La signora Duse...
-
Beh?
-
Jarro...ecco...- e levo in aria il rettangolino
bianco.
-
Oh, Jarro!
Allunga un braccio nudo,
prende la bustina, sorride, mi dice “aspetta un momento” e
Un'altra immagine della Duse
“Quella che i cuori scoppino di felicità o di
commozione è una vecchia diceria senza fondamento. Se fosse vera io non sarei
qui, oggi, a raccontarvi la mia storia di quella sera...Non avevo già vinto?
Ora, certo, la grande attrice stava leggendo il bigliettino di Jarro, poi si
sarebbe vestita, avrebbe riaperto, mi avrebbe detto: “passa... mi avrebbe
confidato qualcosa di sé...” Non era, dunque, già certo il varo della mia firma
(sino a quel giorno non avevo firmato mai) sotto un articolo che, riprodotto in
chissà quanti giornali, avrebbe avuto chissà quante centinaia di migliaia di
lettori...?
“Ma,
zitti, la porta si riapre quasi subito; troppo subito...Riecco il solito viso
sotto i soliti capelli sciolti, il braccio nudo sotto la vestaglia di trina.
“Dove sei?” “Quì, signora...” “Ah, tieni. Addio.” Mi mette in mano qualcosa.
Richiude. “No...?”. Si, invece. Un po' di mancia al fattorino che le aveva
portato il biglietto dell'amico Jarro. Leggere, lo avrebbe letto dopo.
Nessun cuore è mai scoppiato di felicità e
nessun uomo, nessun ragazzo, è mai morto di vergogna. Ve lo dico io. Lo so....”
Il 25 luglio del '43
“.... E' domenica. Notte. Ufficialmente, il
giornale riposa: ma quelli che davvero non lavorano sono gli operai.Essi
vengono
alle sei del mattino e debbono trovare tutto pronto per la composizione:
articoli, cronaca, notiziario italiano ed estero, sport. Così, anche di
domenica, la redazione è al suo posto come in ogni altra notte dell'anno.
Un umore tutto particolare distingue i redattori
della notte festiva da quelli, che sono gli stessi, delle notti feriali.
-
Buonasera.
-
Buonasera.
-
Che c'è di nuovo?
-
Nulla.
-
Roma?
-
E' sempre interrotta.
-
Benone! E il giornale come si fa?......
“…..All'improvviso scoppia la folgore. In
redazione passa una folata manicomiale. Gli stenografi gridano e battono le
mani, si chiamano per nome, si domandano se è proprio vero, irrompono a salti
nella nostra stanza. Dalla porta spalancata vediamo i fattorini danzare nei
corridoi. “Che c'è? Fermi là! Buoni! Che v'è successo?”
“Apritela! Apritela!” “Che
cosa?” “La radio! La radio!”
Ansano,
si rifissano tra loro, s'abbracciano. Apriamo, ma la radio è zitta, per il
momento.
“Cosa avete sentito? La pace?” “Di più. Di più”
“Siete pazzi?” “Mussolini ha dato le dimissioni!” “Come?”
“Il re le ha accettate.” “Ma
via!” “Badoglio è capo del
governo...” “...che scherzi,
eh?...”, balbetta qualcuno. “E'
proprio una notizia vera. State attenti all'apparecchio. Hanno detto che la
ripeteranno.” Ma non ce n'è
bisogno. Suona il telefono. “Pronti?”
“Si, pronti. Con chi parlo?”
“E io?” “Mascalzoni! Vigliacchi! Ladri! Ora tocca a voialtri! Vi faremo la pelle
a quanti siete! “Come dice,
signora?” E', infatti, una voce di donna. Che però non ridice nulla. Riattacca.
Drin, drin, drinnnnn. “Pronto!”
“Brutti malviventi! Se Dio vuole la cuccagna è finita! La pubblicate
anche
domattina una fotografia del duce?”
“Se ne va. Forse pensa, e non si inganna, che
altra gente sia lì ad aspettare. L'usciere, incaricato di ascoltarla e di
risponderle con buon garbo che noi, ma proprio sul serio, siamo i più contenti
di tutti, ci si prova un paio di volte, e poi rinuncia al mandato. “Stacca tutti
i ricevitori del centralino, corre giù a chiudere il portone, e si rimette al
suo banco con le braccia conserte, e gli orecchi visibilmente ben tesi fuori
dalla finestra aperta. Intorno alla quale già ronza l'eco di un lontano brusìo
nient'affatto rassicurante.
“In redazione la meraviglia è ancora il senso
dominante. La meraviglia è in molti un profondo accoramento per quello che sarà
l'immediato poi: anche – non soltanto – per le nostre persone. Per l'Italia. Per
questa povera Italia che, dopo tanti anni di stordimento applauditorio e di
schiavitù questurinesca, si ritrova ora, tutt'a un tratto, in piena guerra, e
sul palese orlo di una disfatta irrimediabile, a doversi sentire libera per
forza, anche se non c'è preparata, e a ricostruire in tutta fretta, priva di
mezzi com'è, le immani distruzioni materiali e morali sulle quali sono sorte le
città modello, le case littorie, la via dell'impero che non c'è più, e del mare
che, ora, sarà assai meno nostro di prima...”
*Questi due brani sono
tratti dal libro e pubblicati per gentile concessione dell’autore, prof. Renzo
Martinelli, e dell’editore
Angelo Pontecorboli