I LIBRI
Un’introduzione al
“Cristo” di Levi?
di Giuseppe Prunai
Nicola Coccia: “L’arse argille consolerai –
Carlo Levi, dal confino alla Liberazione di Firenze attraverso testimonianze,
foto e documenti inediti” – Edizioni ETS – € 15,00
Sei anni di ricerche per
ricostruire la vita e l’attività di Carlo Levi (foto a sinistra). dal confino in
Lucania al suo soggiorno a Firenze,
Piazza
Pitti 14, dove scrisse il “Cristo si è fermato ad Eboli”.
Sei anni di ricerche
condotte con lo spirito dell’investigatore nei fatti nel passato, dello
storiografo e con quello del cronista d’antan. Non di quelli che le notizie le
cercano su Internet e ce le ripropongono con il copia-incolla, copiandosele poi
l’uno con l’altro, senza indagare sulla loro origine, senza controllare la loro
veridicità. Coccia è uno di quei cronisti che le notizie le hanno sempre cercate
facendo il “battone” sui marciapiedi della propria città. Facendo, come si
diceva un tempo, il “giro” più volte al giorno: ospedali, pompieri, questura,
carabinieri, fiamme gialle, tribunali e uffici vari. Insomma visitando tutti
quei luoghi da cui poteva saltar
fuori una notizia o soltanto un brandello di notizia da rielaborare,
controllare, ampliare, arricchire di dettagli e “sparare in pagina”.
Non per niente l’autore, Nicola Coccia, questo inviato speciale nel
passato, è un giornalista che ha cominciato a collaborare all’ “Avanti” nel
1966, per poi passare alla redazione fiorentina del “Lavoro” di Genova, diretto
da Sandro Pertini, infine assunto alla Nazione nel 1978. Da questi osservatòri
privilegiati ha seguito i principali fatti di cronaca che hanno segnato la
storia di Firenze, e non solo della città toscana, degli ultimi 30 anni.
Sei anni di ricerche. Un
lungo viaggio che ha portato Nicola Coccia in Basilicata, a Grassano prima,
ad Aliano poi, i due paesi del confino
di Levi. E Coccia ha ritrovato due dei bambini che Levi, che era medico, aveva
curato. Ne ha ritrovati due: “Giovannino,
che lo scrittore ritrasse in un suo dipinto con la capretta Nennella, e Filippo
Maiorana, a cui Levi salvò la vita curandolo dalla malaria”. L’autore ha anche
rintracciato “Lucia Santomassimo, il primo sindaco donna della Lucania che alla
guida del Comune di Aliano dovette gestire il complicato arrivo, nel 1975, della
salma di Levi da Roma, e la tumulazione in quel cimitero che era il limite oltre
il quale Levi non poteva andare, e dove nella calura estiva trovava fresco
calandosi nelle fosse”.
Finito il periodo del confino, Levi si trasferisce in Francia ma allo scoppio
della guerra e all’invasione del paese da parte dei nazisti, ripara in Italia
stabilendosi a Firenze, dove apre uno studio di pittore in Piazzale Donatello.
Ma Levi “ebreo sovversivo”, come lo definì l’Ovra, la polizia segreta fascista,
fu di nuovo arrestato. Rimase in carcere un mese, poi ci fu il 25 luglio e venne
rimesso in libertà. Levi, che aveva partecipato alla nascita di “Giustizia e
libertà” e non aveva mai smesso di fare politica, riprese la sua attività civile
con maggior vigore. Ma dopo l’8 settembre e la calata dei nazisti dovette
trovare un rifugio più sicuro della sua casa e del suo studio.
La fonte principale delle notizie è Manlio Cancogni (foto a destra), lo
scrittore, giornalista e docente scomparso l’anno
scorso. Levi si trasferì in Piazza Pitti 14 nella casa di
Anna Maria Ichino, una ragazza madre che non volle mai rivelare chi fosse
il padre del suo Paolino, un bambino gracile e denutrito, a causa della
carestia, di cui Levi finì per divenire il padre putativo. Paolino morì di
dissenteria e fu Levi stesso a seppellirlo al Bobolino. Solo dopo la liberazione
ebbe una vera tomba nel cimitero di Trespiano.
La casa di Piazza Pitti divenne in breve un punto di incontro di antifascisti,
soprattutto di azionisti. Vi ritroviamo Cassola (foto sotto), Bassani, Tobino,
lo stesso Cancogni, Orietta Alliata di Salaparuta, Giovanni Guaita, la figlia di
Amedeo Modigliani, Giovanna, e tanti altri, soprattutto esponenti del Comitato
di liberazione toscano e della cultura di quei tempi che la Ichino, vera e
propria “Perlasca in gonnella”, accoglieva nella propria abitazione
Fu
nella casa di Piazza Pitti 14 che Levi scrisse il celebre “Cristo si è fermato
ad Eboli”, un’opera vergata di getto, in pochi mesi su sollecitazione degli
amici e della stessa Ichino che, inevitabilmente, intrecciò con Levi una breve
storia sentimentale. Forse qualcosa di più.
Vedi le coincidenze. Nell’adiacente Via Maggio, c’è Casa Guidi dove nell’800 soggiornò a lungo Elizabeth Barrett Browning, poetessa inglese libertaria, innamorata e sostenitrice della causa risorgimentale italiana (immagine a destra).
Coccia si sofferma anche su molti aspetti della vita privata di Levi, sui suoi
rapporti con le donne e scava fino a rivelare che la terza figlia di Adriano
Olivetti, Anna, era in realtà figlia di Carlo Levi.
Insomma, un libro da leggere e meditare. Da parte dei giovani per i quali Levi è
solo un romanziere ed un pittore di successo, e da parte di chi – come chi
scrive questa nota - ha quattro volte vent’anni e vi ritrova fatti e situazioni
vissute, personaggi della cultura e della politica della Repubblica Italiana
nata dalla Resistenza e alcuni colleghi giornalisti che ci hanno lasciato.
Personalmente, ci sentiamo di formulare un suggerimento all’autore e
all’editore: dare al libro un soprattitolo: “Introduzione alla lettura del
Cristo si è fermato ad Eboli”.
E per concludere un’annotazione personale. Chi scrive questa recensione ha
conosciuto personalmente Carlo Levi al quale fu presentato quando il
medico-scrittore-pittore vinse il premio di pittura del “Fiorino” e lo incontrò
più volte a Roma. E leggendo il libro di Nicola Coccia gli è sembrato di
sentirlo parlare, di vederlo uscire dalle pagine del libro, impugnare una
matita e tracciare un disegno.