L'area vulcanica dei Colli Albani, alle porte di Roma, rimasta in assoluto stato
di quiete da 36.000 anni a questa parte - nonostante miti e leggende che hanno
accreditato eruzioni fino in epoca romana - è attiva e a diversi chilometri di
profondità si sta accumulando nuovo magma, facendo presagire un risveglio tra
migliaia di anni. A sostenerlo, uno studio firmato INGV, Sapienza Università di
Roma, CNR e Università di Madison, pubblicato su Geophysical Research Letters
La posizione geografica dei Colli Albani
I Colli Albani, l'area vulcanica alle porte di Roma, inizia a dare segni di un
futuro risveglio. A stabilirlo, uno studio multidisciplinare Assessing the
volcanic hazard for Rome: 40Ar/39Ar and In-SAR constraints on the most recent
eruptive activity and present-day uplift at Colli Albani Volcanic District,
condotto da un team di ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia (INGV), in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Geologiche
- “Sapienza” Università di Roma, Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria
del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGAG-CNR), e Laboratorio di
Geocronologia dell'Università di Madison, che ha permesso di ricostruire la
storia delle eruzioni avvenute da 600.000 anni fa a oggi nel distretto vulcanico
dei Colli Albani, assieme a quella delle deformazioni della crosta terrestre che
hanno accompagnato nel tempo la sua evoluzione.
“Il risultato sorprendente”, afferma Fabrizio Marra, ricercatore dell’INGV, “è
che non solo il vulcano è tutt'altro che estinto, ma ha appena iniziato un nuovo
ciclo di alimentazione delle camere magmatiche che potrebbe portarlo nel
prossimo millennio, da uno stato dormiente a quello di risveglio. Da qui la
necessità di monitorare sin da oggi quest'area vulcanica”.
Dicco e faglia
Gli elementi emersi dallo studio sono molteplici, legati a diversi indicatori
geofisici, tutti convergenti nell'indicare che l'area vulcanica è attiva e che a
diversi chilometri di profondità si sta accumulando nuovo magma.
“In quanto tempo questo magma potrebbe trovare una via di risalita e dar luogo a
un'eruzione è difficile da stabilire con precisione, quello che è certo è che i
tempi fisici per cui ciò possa avvenire sono alla scala delle diverse migliaia
di anni. Tutt'altra storia rispetto al Vesuvio, dove le eruzioni sono avvenute
in tempi storici e i tempi di ritorno dell'attività vulcanica sono dell'ordine
delle decine e delle centinaia di anni: ai Colli Albani tutto procede con tempi
delle migliaia e delle decine di migliaia di anni. A cominciare dai tempi di
ritorno delle eruzioni”, prosegue Marra.
Lungo tutto il periodo di attività, indipendentemente dalla grandezza dei
singoli aventi, le eruzioni ai Colli Albani sono avvenute con cicli molto
regolari di circa 40.000 anni, separati da periodi di pressoché assoluta
quiescenza.
“A partire da 600mila anni fa”, spiega il ricercatore dell’INGV, “ci sono stati
11 di questi cicli eruttivi. L'ultimo, avvenuto al Cratere di Albano, è iniziato
proprio 41.000 anni fa ed è terminato intorno a 36.000 anni. Questo vuol dire
che il tempo trascorso dall'ultima eruzione è dello stesso ordine dei tempi di
ritorno: quindi il vulcano deve considerarsi attivo e pronto per un nuovo futuro
risveglio”.
I ricercatori hanno inoltre accertato che nel periodo di attività più recente, a
partire da 100.000 anni fa, i tempi di ritorno si sono leggermente accorciati e
sono stati dell'ordine di 30.000 anni. L'area in cui sono avvenute tutte le
eruzioni più recenti è concentrata in un settore allungato in direzione nord-sud
e comprende i crateri di Ariccia (200 mila anni), Nemi (150 mila anni), Valle
Marciana (100 mila anni), Albano (due cicli a 69 mila e 41-36 mila anni), e il
cono vulcanico di Monte Due Torri (40 mila anni).
“Tale settore corrisponde esattamente a un’area in cui le osservazioni di
telemetria satellitare (InSar), fatte dai ricercatori INGV, hanno rivelato un
continuo sollevamento, con tassi di 2-3 mm/anno, negli ultimi 20 anni. Questo
lascia perciò ipotizzare che al di sotto dell'area dove sono avvenute le
eruzioni più recenti si stia accumulando nuovo magma che provoca un
rigonfiamento della superficie. La rivalutazione di studi di tomografia crostale
condotti in passato suggerisce che questa zona di accumulo possa essere tra i 5
e i 10 km di profondità. Abbastanza profonda, quindi, da non destare
preoccupazioni al momento”, continua Marra.
Infine, il terzo importante elemento è scaturito dagli studi che hanno
investigato le cause dei lunghi periodi di inattività che hanno separato le
diverse eruzioni.
Pozzolane
“Anche qui si è capito che la causa di questo comportamento peculiare, diverso
dagli altri distretti vulcanici attivi nello stesso periodo di tempo nell'Italia
centrale (Vulsini, Vico, Monti
Sabatini e Roccamonfina), stia nelle particolari condizioni geodinamiche
dell'area di Roma, dove sono state attive forze crostali prevalentemente
compressive, rispetto a quelle estensionali delle aree circostanti, che ha
l'effetto di sigillare le fratture e le faglie che costituiscono le vie di
risalita del magma durante le eruzioni. Così il magma rimane in profondità
finché il progressivo accumulo non genera delle pressioni tali da superare le
forze compressive crostali. A questo punto si esercita una spinta verticale che
riapre le faglie e le fratture: il campo di stress diviene cioè estensionale
come nelle regioni circostanti, e un nuovo ciclo eruttivo ha inizio”, aggiunge
Marra.
Al momento attuale gli indicatori geofisici indicano l’esistenza di un campo di
stress estensionale ai Colli Albani e nell'area romana, compatibile con un
sollevamento in atto e favorevole alla eventuale risalita di magma.
Al tempo stesso “nessun elemento derivante dalle osservazioni geochimiche e
geofisiche in atto lascia ipotizzare che un’eruzione possa avvenire né in tempi
brevi né medi. Quindi, se una ricarica dei serbatoi magmatici è in atto, questa
durerà senz'altro migliaia di anni prima che possa dar luogo a un'eruzione”,
conclude Marra.