2 giugno 1946: nascita della repubblica

e italiane al voto per la prima volta

Cominciò con la Resistenza e  l’Assemblea Costituente il faticoso cammino dell’emancipazione femminile oggi a rischio involuzione

 

di Magali Prunai

 

 

La scheda del referendum istituzionale del 2 giugno 1946

Il due giugno di 70 anni fa le donne votano per la prima volta in Italia. La conquista del diritto di voto, che a noi del 2016 sembra tanto scontato, è frutto di un processo di modernizzazione graduale e lento che ha invaso l’Italia e non solo nel corso del XIX e XX secolo. Le donne, da angeli del focolare, man mano hanno preso sempre più coscienza di loro stesse e sono uscite da quelle cucine, da quei salotti in cui erano state relegate in qualità di mogli e madri da una società machista.

Una ragazza festeggia la nascita della repubblica mostrando una copia del Corriere della Sera con la notizia dei risultati. La celebre foto (ritraente probabilmente una modella), fu scattata per il settimanale Il Tempo (edizione del 15 giugno 1946) dal fotografo Federico Patellani come parte di un servizio fotografico celebrativo della Repubblica e del nuovo ruolo della donna e fu proposta anche in prima pagina dallo stesso Corriere e in seguito riutilizzata in moltissime campagne e manifesti. (La foto, ormai di dominio pubblico, e la relativa didascalia sono tratte da Wikipedia)

Mentre in Inghilterra il fenomeno delle suffragette si è sviluppato nel corso dell’ottocento,  in Italia dobbiamo aspettare la prima guerra mondiale perché le donne escano da casa. Con gli uomini al fronte le imprese, soprattutto quelle belliche, non potevano sospendere la produzione ed è per questo che si iniziò ad impiegare mano d’opera femminile. Il mondo cambiava e con esso le abitudini dei suoi abitanti. Negli anni successivi sarà la Resistenza a dare un ruolo determinante alle donne, staffette partigiane o combattenti a tutti gli effetti. Finita la guerra, iniziato a riprendere in mano le redini di un paese che era andato alla deriva, sembrò assolutamente naturale per i più che le donne potessero esprimersi al Referendum Monarchia-Repubblica.

Se prima una donna per effettuare donazioni o alienare beni immobili aveva bisogno del permesso di un uomo che esercitava su di lei una qualche potestà (padre o marito), ora viene chiamata a esprimersi sull’assetto costituzionale del paese. Un riconoscimento notevole alle capacità di discernimento di chi, fino a poco prima, era considerato un essere inferiore, poco sviluppato, da proteggere e incapace di possedere alte qualità morali perché troppo influenzate dal carattere materno insito in ogni donna in quanto tale.

Ma la conquista del diritto di voto non ha portato con sé immediatamente altri diritti che in molti paesi sviluppati erano già dati per assodati da tempo. Pari trattamenti economici e opportunità di lavoro, un’eguaglianza che in molti settori ancora oggi non abbiamo raggiunto del tutto; pari diritti; la possibilità di poter scegliere liberamente della propria persona; la libertà di divorziare o di abortire...tutte conquiste che sono state raggiunte a fatica e non sempre con grande successo nei venti/trent’anni successivi.

Se leggi, norme e movimenti di massa hanno portato al raggiungimento di condizioni sociali favorevoli per le donne, perché iniziassero a essere trattate come cittadine a tutti gli effetti e non come un’entità accanto agli uomini, il progressivo mal contento della situazione mondiale e nazionale, il venir meno di alcune certezze che hanno lasciato il posto a una società fondata su valori effimeri e consumistici ha fatto sì che man mano ci si dimenticasse del significato di parità dei diritti. Progressivamente ci si è dimenticati di grandi donne che hanno fatto la storia dell’Italia repubblicana, come le donne che hanno partecipato all’Assemblea Costituente. E si è iniziato a etichettare come una determinata visione politica estremista il voler rivendicare le uguaglianze e il ruolo della donna nella società. Lo stesso citare le donne della Costituente o le riviste dedicate al lavoro femminile o le battaglie sociali e sindacali delle donne viene visto oggi giorno dalle generazioni più giovani come espressione della vecchia politica, qualcosa che deve essere assolutamente cancellato e superato perché ciò che è vecchio e appartiene alla società considerata anch’essa vecchia è per forza sbagliato.

Siamo partiti 70 anni fa con la voglia di crescere e migliorare, di arrivare allo stesso punto in cui erano tutti gli altri paesi considerati sviluppati. La voglia di superare i limiti, andare oltre e diventare una società avanzata è venuta sempre meno e man mano torniamo indietro. Se una volta si protestava per ottenere il divorzio, l’aborto, perché una donna vittima di stupro non fosse considerata una reietta, contro il matrimonio riparatore dopo uno stupro, contro l’oscenità del delitto d’onore, contro la possibilità di arrestare una donna per infedeltà, ora è all’ordine del giorno una donna picchiata, violentata, ammazzata dall’ex respinto, dal fidanzato, dal marito o da una qualsiasi altra persona dalla mente malata. Donne sfregiate con l’acido, donne violentate che l’opinione pubblica etichetta come “se la sono cercata perché andavano in giro in minigonna la sera”. Donne sempre di più al centro dell’attenzione perché vittime di azioni violente, vittime di stalking, di mobbing sul lavoro e si potrebbe andare avanti per ore a elencare tutti i soprusi che ogni giorno una donna deve subire. Il problema è costantemente al centro dell’attenzione mediatica e politica, ma nessuno poi alla fine si adopera per cercare delle soluzioni concrete. E questa totale assenza di volontà di intervenire fa presagire un triste ritorno a una condizione femminile pre 1946. A una donna chiusa in casa a fare la calzetta e a essere utilizzata come incubatrice.

Il “wall of dolls”di via De Amicis, a Milano, un protesta contro il femminicidio

 

Il Galileo