LE RELAZIONI NELL'ERA DEI SOCIAL NETWORK

QUANDO UN "MI PIACE"

DIVENTA "MI PIACI"

 

di Sabrina Scollica

 

La testata di un gruppo Face Boock di appassionati dei romanzi di Georges Simenon che descrivono le inchieste del commissario Maigret. Tramite il social, gli iscritti si scambiano informazioni, opinioni e commenti

"Il web è a un punto di svolta molto importante. Fino a poco tempo fa, la normalità sul web era che la maggioranza delle cose non erano sociali e la maggior parte delle persone non usava la propria identità reale. Stiamo costruendo un nuovo web in cui alla base vi è il sociale". Questa frase, pronunciata dall'inventore di Facebook Mark Zuckemberg, è alla base di una nuova filosofia che ha fatto presa su milioni di persone in tutto il mondo, Italia compresa.

Gli ultimi dati CENSIS, relativi al 2015, rilevano infatti un aumento dell'utilizzo dei social network nel nostro Paese. In Italia si registrano 28 milioni di account attivi, a cui si accede sempre più attraverso smartphones (+ 12,9% rispetto all'anno precedente). Primo in classifica è proprio Faceboock, frequentato dal 50,3% della popolazione, di cui il 77,4% sono giovani under 30.

Questi numeri dovrebbero indurre a una riflessione: cosa sarebbero oggi la società, una famiglia, un gruppo di amici senza i social?  Come questi strumenti hanno cambiato le nostre relazioni, il nostro pensiero critico verso l'Altro e più in generale verso il mondo che ci circonda?

Diversi studi negli ultimi anni si sono occupati di mappare le principali reti sociali virtuali, Facebook e Twitter in primis, per comprendere come si sviluppino le relazioni su queste piattaforme.

In molti di essi è emersa un'interessante correlazione tra tempo trascorso sui social e sentimento di infelicità e insicurezza: più tempo i soggetti trascorrevano online, maggiore era l'insicurezza e la sensazione di inferiorità rispetto ai loro contatti. I ricercatori ipotizzano che alla base vi sia un errore di osservazione della realtà chiamato " paradosso della felicità". 

Per comprendere come questo bias agisca bisogna innanzitutto comprendere come gli utenti costruiscono il loro personaggio online. 

Il social network potrebbe essere definito una "risorsa" in quanto è per noi l'occasione di mostrarci come ci siamo sempre immaginati o per meglio dire come riteniamo opportuno presentarci all'altro. (A sinistra: una parte di una pagina di Face Boock)

Quello sui social network è un processo di costruzione identitaria tipica dell'adolescente, che di solito si dipinge in un modo ideale, enfatizzando spesso e volentieri i soli lati positivi. Pensiamo per esempio a come ci siamo raccontati da ragazzini la nostra prima storia d'amore: era un romanzo in cui i litigi e i difetti del fidanzatino o della fidanzatina erano elementi secondari nella narrazione, se non del tutto assenti.

Se però da questo racconto ideale è possibile recedere (perché è un racconto autistico, presente solo nella mia mente e di cui sono il solo a conoscenza) non si può dire altrettanto della narrazione che faccio di me sui social. La memoria digitale è infatti pubblica e longeva.

L'essere umano non si basta da solo, lo stesso processo di costruzione di sé dipende dall'altro. Da qui il bisogno di "FAMA DIGITALE", ovvero di visibilità e consensi, sottoforma di like o followers. Noi siamo come gli altri ci vedono, quindi più consensi avrò più mi sentirò importante e stimato, meno consensi si tradurranno invece in una sensazione di rifiuto che sfocerà in tendenza all'isolamento.

Nascono nuove sindromi come la FOMO (fear of missing out), diffusa soprattutto negli adolescenti, principali utilizzatori di piattaforme social, ma anche in percentuali non trascurabili nella fascia 30- 50 anni. La FOMO è in parole povere causata dall'esclusione (reale o percepita) dai flussi di comunicazione generati dai social network.

Questo provoca in personalità fragili, non nel pieno della maturità come gli adolescenti e/o non ben integrate nel tessuto sociale alti livelli di stress, causando nei casi più gravi ansia e depressione.

Per alcuni la quotidianità è qualcosa che assume un senso solo se riassunta in una "web-cronaca" che riceve gesti virtuali di approvazione dalla cerchia di amici. Ma chi è l'amico su Facebook? non è più solo il conoscente, con cui si ha anche un rapporto "fisico", vis a vis, ma anche il cliente, il brand preferito di vestiti, il comico, il rapper,  più semplicemente è il nostro "pubblico virtuale" scelto accuratamente per dare a noi stessi e all'altro una certa immagine di sé.

L'amicizia si diluisce nel suo valore e perde aspetti di intimità e prossimità. Si perde, soprattutto negli adolescenti, generazione social per eccellenza, la dimensione concreta della relazione. La relazione online non è una relazione intera e mancando di tutti gli aspetti che solo un rapporto fisico può dare, è un rapporto freddo, in difetto della  componente emotiva, in cui possiamo solo guardare l'altro ma non vederlo veramente.

Una relazione online è una relazione che mancando della dimensione concreta non ci consente di ottenere script, schemi utili per impostare il nostro comportamento sociale, tra cui la capacità di leggere le emozioni altrui. Si sta giungendo all'analfabetismo emotivo; online non siamo in grado di capire se il nostro interlocutore prova dolore magari perché escluso dalla conversazione e di rimando diventiamo sempre meno abili a capirlo nella quotidianità.

Se qualcuno mi chiedesse di descrivere le relazioni negli ultimi anni mi verrebbe in mente una sola parola: ONLINE. Non è un caso se il rapporto Digital, Social e Mobile del 2016, relativo all'anno 2015, stima che il 60% degli italiani trascorre mediamente 4 ore e 05 min al giorno su internet, di cui 2 ore e 10 min dedicati all'utilizzo di piattaforme social. 

Un vecchio telefonino gsm ed un moderno smartphon

Alcuni sono talmente presi dalla " realtà parallela" proiettata dal loro telefono che quando sono nel mondo offline sembra ignorino il luogo in cui si trovano e le persone che li circondano. Ormai sono famose le scene di famiglie al ristorante prive di qualsiasi forma di convivialità nel qui e ora materiale, presi invece dalla convivialità di Facebook; padri che non ascoltano i figli per rispondere al tweet del collega lasciato mezz'ora prima in ufficio. Persone che continuano ad armeggiare con l'ultimo device tecnologico quasi infastiditi dal mondo che continua a scorrere intorno a loro, nonostante loro, pieno di profumi, suoni, voci, colori che faremmo bene a percepire alzando gli occhi dal monitor, perché se il post rimane per decenni nella rete, le parole di tuo figlio, della tua amica, quel profumo di erba tagliata, no, quelli non te li ridà indietro nessuno. 

I social sono il progresso, la velocità, il risparmio di tempo nel gestire i propri rapporti affettivi e professionali. Ma siamo proprio sicuri che il tempo vero, non quello sterile di un cronometro ma quello pieno di ricordi, sorrisi, prossimità, abbracci, non vada perso?

Il Galileo