LE RELAZIONI NELL'ERA DEI SOCIAL NETWORK
QUANDO UN "MI PIACE"
DIVENTA "MI PIACI"
di Sabrina Scollica
"Il web è a un punto di svolta molto importante. Fino a poco tempo fa, la
normalità sul web era che la maggioranza delle cose non erano sociali e la
maggior parte delle persone non usava la propria identità reale. Stiamo
costruendo un nuovo web in cui alla base vi è il sociale". Questa frase,
pronunciata dall'inventore di Facebook Mark Zuckemberg, è alla base di una nuova
filosofia che ha fatto presa su milioni di persone in tutto il mondo, Italia
compresa.
Gli ultimi dati CENSIS, relativi al 2015, rilevano infatti un aumento
dell'utilizzo dei social network nel nostro Paese. In Italia si registrano 28
milioni di account attivi, a cui si accede sempre più attraverso smartphones (+
12,9% rispetto all'anno precedente). Primo in classifica è proprio Faceboock,
frequentato dal 50,3% della popolazione, di cui il 77,4% sono giovani under 30.
Questi numeri dovrebbero indurre a una riflessione: cosa sarebbero oggi la
società, una famiglia, un gruppo di amici senza i social?
Come questi strumenti hanno cambiato le nostre relazioni, il nostro
pensiero critico verso l'Altro e più in generale verso il mondo che ci circonda?
Diversi studi negli ultimi anni si sono occupati di mappare le principali reti
sociali virtuali, Facebook e Twitter in primis, per comprendere come si
sviluppino le relazioni su queste piattaforme.
In molti di essi è emersa un'interessante correlazione tra tempo trascorso sui
social e sentimento di infelicità e insicurezza: più tempo i soggetti
trascorrevano online, maggiore era l'insicurezza e la sensazione di inferiorità
rispetto ai loro contatti. I ricercatori ipotizzano che alla base vi sia un
errore di osservazione della realtà chiamato " paradosso della felicità".
Per comprendere come questo bias agisca bisogna innanzitutto comprendere come
gli utenti costruiscono il loro personaggio online.
Il
social network potrebbe essere definito una "risorsa" in quanto è per noi
l'occasione di mostrarci come ci siamo sempre immaginati o per meglio dire come
riteniamo opportuno presentarci all'altro.
Quello sui social network è un processo di costruzione identitaria tipica
dell'adolescente, che di solito si dipinge in un modo ideale, enfatizzando
spesso e volentieri i soli lati positivi. Pensiamo per esempio a come ci siamo
raccontati da ragazzini la nostra prima storia d'amore: era un romanzo in cui i
litigi e i difetti del fidanzatino o della fidanzatina erano elementi secondari
nella narrazione, se non del tutto assenti.
Se però da questo racconto ideale è possibile recedere (perché è un racconto
autistico, presente solo nella mia mente e di cui sono il solo a conoscenza) non
si può dire altrettanto della narrazione che faccio di me sui social. La memoria
digitale è infatti pubblica e longeva.
L'essere umano non si basta da solo, lo stesso processo di costruzione di sé
dipende dall'altro. Da qui il bisogno di "FAMA DIGITALE", ovvero di visibilità e
consensi, sottoforma di like o followers. Noi siamo come gli altri ci vedono,
quindi più consensi avrò più mi sentirò importante e stimato, meno consensi si
tradurranno invece in una sensazione di rifiuto che sfocerà in tendenza
all'isolamento.
Nascono nuove sindromi come la FOMO (fear of missing out), diffusa soprattutto
negli adolescenti, principali utilizzatori di piattaforme social, ma anche in
percentuali non trascurabili nella fascia 30- 50 anni. La FOMO è in parole
povere causata dall'esclusione (reale o percepita) dai flussi di comunicazione
generati dai social network.
Questo provoca in personalità fragili, non nel pieno della maturità come gli
adolescenti e/o non ben integrate nel tessuto sociale alti livelli di stress,
causando nei casi più gravi ansia e depressione.
Per alcuni la quotidianità è qualcosa che assume un senso solo se riassunta in
una "web-cronaca" che riceve gesti virtuali di approvazione dalla cerchia di
amici. Ma chi è l'amico su Facebook? non è più solo il conoscente, con cui si ha
anche un rapporto "fisico", vis a vis, ma anche il cliente, il brand preferito
di vestiti, il comico, il rapper,
più semplicemente è il nostro "pubblico virtuale" scelto accuratamente per dare
a noi stessi e all'altro una certa immagine di sé.
L'amicizia si diluisce nel suo valore e perde aspetti di intimità e prossimità.
Si perde, soprattutto negli adolescenti, generazione social per eccellenza, la
dimensione concreta della relazione. La relazione online non è una relazione
intera e mancando di tutti gli aspetti che solo un rapporto fisico può dare, è
un rapporto freddo, in difetto della
componente emotiva, in cui possiamo solo guardare l'altro ma non vederlo
veramente.
Una relazione online è una relazione che mancando della dimensione concreta non
ci consente di ottenere script, schemi utili per impostare il nostro
comportamento sociale, tra cui la capacità di leggere le emozioni altrui. Si sta
giungendo all'analfabetismo emotivo; online non siamo in grado di capire se il
nostro interlocutore prova dolore magari perché escluso dalla conversazione e di
rimando diventiamo sempre meno abili a capirlo nella quotidianità.
Se qualcuno mi chiedesse di descrivere le relazioni negli ultimi anni mi
verrebbe in mente una sola parola: ONLINE. Non è un caso se il rapporto Digital,
Social e Mobile del 2016, relativo all'anno 2015, stima che il 60% degli
italiani trascorre mediamente 4 ore e 05 min al giorno su internet, di cui 2 ore
e 10 min dedicati all'utilizzo di piattaforme social.
Alcuni sono talmente presi dalla " realtà parallela" proiettata dal loro
telefono che quando sono nel mondo offline sembra ignorino il luogo in cui si
trovano e le persone che li circondano. Ormai sono famose le scene di famiglie
al ristorante prive di qualsiasi forma di convivialità nel qui e ora materiale,
presi invece dalla convivialità di Facebook; padri che non ascoltano i figli per
rispondere al tweet del collega lasciato mezz'ora prima in ufficio. Persone che
continuano ad armeggiare con l'ultimo device tecnologico quasi infastiditi dal
mondo che continua a scorrere intorno a loro, nonostante loro, pieno di profumi,
suoni, voci, colori che faremmo bene a percepire alzando gli occhi dal monitor,
perché se il post rimane per decenni nella rete, le parole di tuo figlio, della
tua amica, quel profumo di erba tagliata, no, quelli non te li ridà indietro
nessuno.
I social sono il progresso, la velocità, il risparmio di tempo nel gestire i
propri rapporti affettivi e professionali. Ma siamo proprio sicuri che il tempo
vero, non quello sterile di un cronometro ma quello pieno di ricordi, sorrisi,
prossimità, abbracci, non vada perso?