Aiuto, è sparito il buon gusto!
Dalla pizza alle modalità del confronto politico arrivano segnali sempre più
preoccupanti
di Mario Talli
“Aiuto, è sparito il buon gusto!”. Il grido di allarme mi è scaturito spontaneo
mentre mangiavo la pizza, prima di lasciarne sul piatto più della metà, alzarmi
e andarmene. E sebbene ormai giornalista in pensione mi è subito venuta voglia
di rimettermi eccezionalmente in gioco, sia pure agendo da solo, in modo del
tutto artigianale e improvvisato e quindi con un risultato probatorio soltanto
parzialmente attendibile.
A suscitare questo tipo di reazione è stato soprattutto il fatto che ad
invogliarmi a riaccostarmi alla pizza, dopo anni di astinenza non programmata e
a recarmi proprio in quel locale, era stato un articolo del giornale che fu
anche il mio, in cui si esaltavano le qualità eccelse delle pizze che
vi si producevano.
Quell'articolo aveva richiamato alla mia memoria il gusto squisito, l'aspetto
inconfondibile, i colori e i sapori delle pizze che un paio di volte la
settimana ero solito concedermi negli anni giovanili.
Al cospetto di tanta attesa, la delusione non poteva essere più cogente. La
pizza che avevo chiesto – la classica Napoletana – anziché elastica e morbida
come avrebbe dovuto essere, aveva una conformazione del tutto atipica: la pasta
che ne costituiva la base era assai sottile; i bordi erano una cosa
evidentemente a sé stante, come se provenissero da un altro impasto e fossero
stati aggiunti in un secondo tempo; i pomodori pelati erano una macchia arida e
sbiadita; altrettanto dicasi delle foglioline di basilico, mentre del
fiordilatte c'erano tracce a stento percepibili. Il tutto era inoltre appena
tiepido, tanto che mi assalì subito il sospetto che la pizza non fosse stata
confezionata all'istante bensì qualche tempo prima, conservata in frigorifero e
riscaldata al momento dell'ordinazione. Quanto al sapore, meglio non parlarne.
Uscito dal locale, la mia prima intenzione era di protestare con la redazione
del mio ex giornale per quei giudizi
entusiastici rivelatisi palesemente infondati. Poi ci ripensai. Autore
dell'articolo era stato un collega
che è anche mio amico e di cui conosco la probità professionale: mai si sarebbe
prestato a scrivere qualcosa di cui non fosse convinto. La conclusione perciò
poteva essere solo una: alle sue papille gustative quella pizza appariva
effettivamente ottima e raccomandabile. Il che significava
o almeno poteva significare che nel corso degli anni la percezione dei
sapori, in una parola il gusto si era alquanto degradato.
Fu a questo punto che decisi di indossare di nuovo, pur con i limiti cui ho
accennato, i panni del giornalista d'inchiesta. La sperimentazione in una
pizzeria altrettanto propagandata della mia città
produsse pressappoco il medesimo risultato. Le altre prove – quattro per
l'esattezza – le realizzai in altrettante città di tre regioni attigue alla mia.
Sull'esito non mi dilungherò per non rubare altro spazio. Mi limiterò a dire che
in tutte e quattro le occasioni, differiva di poco dalle prime due infauste
esperienze.
Partita dalle pizze, dal livello di
sensibilità nella percezione dei sapori, la
riflessione sul peso specifico del gusto e, più precisamente, del buon
gusto al giorno d'oggi, l’ho estesa a
tanti altri aspetti della nostra vita quotidiana e ho facilmente avuto la
malinconica conferma che il degrado è abbastanza generalizzato.
Mi si dirà: ma chi sei tu per permetterti di emettere sentenze di questo tenore?
Giusta osservazione. Alla quale replicherò che l'unico mio privilegio
(chiamiamolo così) è l'altezza del punto di osservazione, vale a dire il numero
non indifferente di anni che ho sulle spalle. Da queste altitudini lo sguardo
sulla vita passata e presente si allarga a dismisura, proprio come succede
quando siamo sulla sommità di una montagna.
Ma veniamo al dunque. E per farlo non è necessario simulare una vera e propria
inchiesta giornalistica, come ho fatto per la
pizza. E' sufficiente elencare una serie di fatti e misfatti, azioni, gesti o
anche soltanto parole di persone comuni o altolocate. Puntare l'obbiettivo su
queste ultime è assai più facile, in ragione del loro protagonismo e, di
conseguenza, della loro maggiore
visibilità. Poiché l'attualità fa premio è difficile non partire da Donald
Trump( a sinistra), lo scapigliato protagonista delle primarie USA, le cui
esternazioni hanno raggiunto livelli di cattivo gusto (la loro gravità non è
oggetto di questo esame) difficilmente eguagliabili. Tornando in casa nostra,
credo non sia sfuggito a nessuno il considerevole abbassamento di qualità della
classe politica attuale rispetto a quella di quaranta o cinquanta anni fa, che
era tutt'altro che esente da errori e peccati ma almeno cercava di
celarli in vario modo, incluso il ricorso ad una dose di ipocrisia. A
proposito della classe politica, avverto però subito l'esigenza di precisare –
ed anche qui faccio ricorso alla mia lunga esperienza professionale e di vita –
che oggi come ieri non tutti i politici sono uguali. Includere anche coloro che
il buon gusto lo conservano nel mazzo dei politici imbarazzanti per la loro
conclamata cattiva
educazione equivarrebbe a concedere un'attenuante immeritata a questi
ultimi.
Per quanto mi riguarda, il salto di qualità (si fa per dire) lo notai parecchi
anni fa a una delle prime uscite di Grillo. Era estate ed ero in vacanza nei
pressi di Viareggio. Mia moglie e mia figlia mi trascinarono ad assistere alla
performance di
questo, per me difficilmente catalogabile, uomo di spettacolo. Bastarono pochi
minuti di esibizione per indurmi ad andarmene schifato. Prima di allora non mi
era mai capitato di ascoltare una dose così abbondante di contumelie. Al
confronto Guglielmo Giannini (a destra), il fondatore dell'”Uomo qualunque”, era
una verginella pudica. Di quel triste pomeriggio balneare mi è rimasto anche il
ricordo amarognolo della gente plaudente ad ogni urlo più....contundente.
Quelle esibizioni di Grillo, insolite per il tono e la forma di
spettacolo-comizio o comizio-spettacolo, rispetto al costume politico vigente,
segnarono l'inizio della discesa verso l'inferno del cattivo gusto. Di lì a poco
si manifestò il fenomeno della Lega con i suoi riti paganeggianti, le camicie
verdi dopo quelle nere del fascismo, le invettive colorite di Bossi,
l'analfabetismo politico e i modi ruvidi della sua classe dirigente. Fino
all'ultimo epigono, quel Matteo Salvini (a sinistra) che ha rivoltato in parte i
capisaldi programmatici, la mitologia e i simboli del
leghismo
d'antan, fino a trascolorare verso sfumature più scure e oscure
il verde delle origini. Ed infine il fenomeno Berlusconi e il
berlusconismo, che in quanto al cattivo gusto, per quanto
attiene soprattutto ai gesti e ai comportamenti, non è
(forse è ormai il caso di dire non fu) secondo a nessuno.
Scendendo ai piani inferiori, laddove si muove, parla, scrive, disegna,
insomma agisce la cosiddetta
gente comune non è che riguardo al
buon gusto le cose mutino di molto.
So che più d'uno non sarà d'accordo con me, ma secondo il mio punto di vista i
graffiti, se valgono come strumento
diagnostico e interpretativo di un costume e di un modo di pensare,
costituiscono una delle più
conclamate manifestazioni di cattivo gusto, specie quando imbrattano con i loro
colori violenti gli intonaci delle case. C'è poi la questione dibattuta del
ruolo svolto dai moderni strumenti informatici (il web, i social network, i
telefoni tuttofare) nella diffusione di usi e costumi non proprio ascrivibili
alla buona educazione e alla
decenza. A tal proposito Umberto Eco, com'è noto, non fu delicato nel giudicare
parte delle moltitudini un tempo tenute ai margini e ora promosse, con una sorta
di fulminea alfabetizzazione di massa, all'uso di tali strumenti. Il giudizio di
Eco fu severo, ma non per questo meno veritiero.
Ad ogni buon conto, a risarcire il popolo dei social network ha pensato nei
giorni scorsi un giudice chiamato a pronunciarsi in materia di insulti nei
confronti di un personaggio dello sport. Tale giudice ha infatti sentenziato che
in ambito sportivo l'insulto è ammesso, in special modo se colui che vi si
abbandona si nasconde dietro l'anonimato del web.
88888888888888888888888Ma anche i giornalisti o quella specie ibrida di
intrattenitori che frequentano abitualmente le televisioni pubbliche e private,
cui è consentito di spacciarsi per giornalisti anche
se esercitano tutt'altro
mestiere non sono indenni dal vizio del
pettegolezzo,
dell'ingiuria e della maldicenza. Ad imperversare nelle varie tv c'è poi una
categoria del tutto nuova, sorta per germinazione spontanea, con un movimento
dal basso verso l'alto, privilegiando all'inizio i commenti alle imprese
sportive e poi allargandosi verso tutti
i settori dello scibile umano. E' la categoria dei cosiddetti
“opinionisti”, variante moderna della storica categoria dei “presenzialisti” (i
volti più o meno noti di persone che agiscono ai margini del cinema e della
televisione e amano dedicarsi al pettegolezzo) gente che discetta su tutto senza
freni e senza ritegno e che contribuisce non poco alla diffusione della
maleducazione e del cattivo gusto.
Concludendo, vorrei aggiungere che quanto sopra esposto non è, come potrebbe
apparire, una semplice questione di bon ton. E' molto di più. Relativamente alla
pizza, all'origine della decadenza del gusto c'è molto probabilmente l'impiego
nel confezionarla di prodotti non perfettamente genuini. A lungo andare, il
consumatore si abitua ai sapori che gli vengono propinati. Riguardo alle
contumelie, alle ingiurie, alle falsità spacciate per elementi costitutivi del
confronto politico, esse lasciano uno strascico melmoso in cui cresce la
malaerba del sospetto e della sfiducia soprattutto verso la
politica in quanto tale e nei confronti di coloro che la praticano a
tutti i livelli. E tutto questo non è un bel risultato. Gli effetti a lungo
andare potrebbero essere disastrosi.