STORIA DI UN’EUROPA

 CHE NON C’È PIÙ

 E DI UNA GENERAZIONE INCERTA

Un’amara riflessione di chi ha creduto nell’Unione, nell’abolizione dei confini, nella moneta unica e sognato un diritto comunitario, una polizia europea, una vera politica europea insomma un unico, vero stato sovranazionale

 

di Magali Prunai

 

 

La notizia della caduta del muro di Berlino non mi toccò particolarmente, anzi proprio non mi ricordo quei momenti. Avevo tre anni nel novembre del 1989 e quello che stava accadendo in Europa in quel momento non mi interessava. Probabilmente neanche sapevo cosa fosse l’Europa. Sono cresciuta viaggiando per quell’Europa unita di cui non avevo avuto coscienza nel 1989. Un’Europa in cui basta una carta di identità per andare ovunque. Ho ricordo del cambio della moneta, di quando si andava in banca a comprare il franco o il marco e dei conti continui per capire il cambio in lire. Ma anche questo è un ricordo molto lontano, soprattutto se penso che già in tanti sono nati con l’euro. Sono cresciuta e mi sono formata viaggiando per questa Europa, studiando le diverse culture e lingue e considerando questo continente come un unico grande paese. Appartengo alla generazione dei viaggi studio, degli scambi culturali e del progetto Erasmus. Appartengo alla generazione che ai margini del proprio paese non vede confini, ma solo un mondo da esplorare, pronto da conquistare a colpi di cultura e ricerca. Appartengo a quella generazione che non è in grado di definire il concetto di confine, perché non lo conosce. Appartengo a quella generazione che assiste inerme al fallimento di quegli ideali di pace, uguaglianza e fratellanza nel cui mito siamo cresciuti. Appartengo alla generazione che conosce la guerra come sentito dire, come un racconto dei nonni. Appartengo alla generazione che non ha conosciuto il terrore, ma che ha ereditato un mondo imperfetto ma perfetto dove vivere, crescere e imparare.

Appartengo alla generazione che ha assistito in diretta tv, come se si trattasse di un film, all’attacco delle torri gemelle. Appartengo a quella generazione che ha scoperto progressivamente, lentamente nel tempo cosa vuol dire terrore. Prima la metro a Londra, poi il treno a Madrid e poi il silenzio per un po’ di anni. Terrorismo, morte e distruzione ancora non facevano parte del vocabolario della mia generazione, le bombe, gli attacchi ai turisti rimanevano quasi come ordinaria amministrazione in paesi abbastanza lontani. La tranquillità sembrava ormai ristabilita. Ma poi Parigi, ancora Parigi, Bruxelles, la Turchia... e tanti altri non troppo lontani dai confini dell’Europa hanno cominciato a saltare in aria e la mia generazione ha scoperto cosa vuol dire la morte, la distruzione, il terrore. Il terrore di fare quello che questa generazione ha sempre fatto: viaggiare e scoprire “mondi” nuovi.

La sede delParlamento europeo a Strasburgo

Appartengo a una generazione che aveva molti sogni, tanti ideali e aspettative ma che non ha saputo gestire il cambiamento. Appartengo a una generazione che non ha voluto riadattarsi e quando, arresasi, ha deciso che era ora di modificarsi ha scoperto che era troppo tardi. Appartengo a una generazione che man mano ha rinunciato ai sogni e agli ideali per dei compromessi sbagliati. Appartengo alla generazione del rimpianto, a una generazione che pensava di aver capito tutto ma che in realtà si è lasciata manovrare dalle mode, dagli stili di vita, da ideologie ormai vecchie e ammuffite.

L’Europa che conosciamo, che abbiamo visto nascere e crescere rischia di morire presto. Orde di politici si riuniscono per decidere cosa fare dei migranti (usando un termine generico perché probabilmente non appartengono a quella generazione, come la mia, che a scuola ha studiato la differenza fra immigrato ed emigrato) senza mai prendere una decisione vera e concreta e intanto i paesi europei riaprono le frontiere, bloccano esseri umani in centri di accoglienza che, in molti casi, di diverso da un campo di concentramento hanno ben poco. E la mia generazione, quella che doveva essere il cambiamento, rimane a guardare, in silenzio, spesso piangendosi addosso ma sempre inerme. E cosí permettiamo a politicanti vari di speculare sulla morte di innocenti, fotografandosi col volto arrabbiato nei luoghi in cui sono scoppiate le bombe intralciando gli operatori che cercavano di ripristinare l’ordine, sbraitando contro la politica e i politici, ma senza dire una parola di umana pietà per le vittime o alle famiglie delle vittime.


Studenti in visita al Parlamento europeo

 

Io non voglio appartenere a questa generazione miope, illusa, inetta. Spero che le mille lauree e diecimila master, i cento cinquanta mila stage curriculari che fanno esperienza ma che non vengono pagati in materie di diritti umani, inclusione sociale, mediazione etc. etc. che la mia generazione vanta nei suoi curriculum servano finalmente a qualcosa e che questa generazione si dia una svegliata, smetta di deprimersi e si renda conto che accusare gli altri di tutti i mali del mondo non è la soluzione. Ma che la soluzione va cercata proprio in quelle mille esperienze che abbiamo fatto fin da piccoli.

Il Galileo