Ricordi e sospetti di un inviato speciale a Cape Canaveral
A 24 anni dal primo lancio spaziale
del satellite al guinzaglio
Ombre su un esperimento italiano
riuscito a metà
di Giuseppe Prunai
Sheriff Joshua Carducci,
sceriffo Giosuè Carducci: recitava così la targhetta d'ottone che aveva sulla
camicia. In testa il
Capitai in quel bar per caso, una
mattina, abbastanza presto. Lo guardavo sorridendo e l'uomo ebbe un moto di
fastidio e mi chiese in modo abbastanza sgarbato perché lo stessi guardando e
perché ridessi di lui. Gli spiegai
che ero italiano, anzi toscano e che avevo una specie di culto per il poeta
Giosuè Carducci di cui lui portava il nome.
La faccia dello sceriffo
si illuminò di un sorriso e
mi spiegò che i suoi nonni erano
italiani, di Castagneto Carducci ed
avevano un vero e proprio
culto del poeta.
Poi cominciò a recitare, in un
italiano che non era italiano, quel
"Davanti a San Guido"
che ci ha deliziato da allievi delle scuole medie.
“I saipressi che a Bolghèri alti e scietti van da Saint Ghido”
e via dicendo.
Sorridendo continuai la poesia in
modo più corretto e si stabili fra me e lo sceriffo Giosuè Carducci una sorta di
simpatia. Mi chiese cosa facessi di
mattina presto in un bar di Miami
beach. Sono un giornalista, risposi, e
sono qua per assistere al lancio spaziale di oggi.
Fra poco dal mio albergo partirà il pullman per Cape Canaveral
e non voglio perderlo. Lo
sceriffo volle riaccompagnarmi con la macchina di servizio:
un macchinone enorme dentro al quale
era sistemata una serie di apparecchiature: ricetrasmittente,
fax, lo scanner per le foto
e per trasmettere le impronte digitali, altoparlanti esterni collegati ad un
microfono per impartire disposizioni.
Accese il lampeggiante,
azionò la sirena e in men che non
si dica mi depositò dinanzi
all'albergo.
Era il 31 luglio 1992 e insieme con un gruppo di colleghi italiani ero diretto a
Cape Canaveral per assistere al
primo lancio del Tethered satellite system.
Con questa con questa premessa il
viaggio dall'albergo al centro spaziale della NASA non poteva che essere
divertente. Ad un certo ad un certo punto l'autista del pullman rallentò
notevolmente e grido rivolto verso i passeggeri:
"attention, cocodriles". In
mezzo alla strada c'era la mamma coccodrillo con quattro coccodrillini.
Il pullman si avvicinò, poi l'autista suonò
il clacson e i cinque alligatori
scattarono tuffandosi nel canale che costeggiava la strada.
In prossimità della base spaziale vedemmo un aereo che stava
letteralmente atterrando su un canneto: era l'Air force
one che portava
Cape Canaveral, il
presidente degli Stati Uniti.
L'aereo si posò su una pista
mimetizzata dalla vegetazione, visibile dall'alto solo con una certa
angolazione.
Il Tethered satellite system , il
cosiddetto. satellite al guinzaglio,
avrebbe dovuto produrre energia elettrica nello spazio.
Il meccanismo, studiato per la prima volta da
Mario Grossi nel 1972 e sviluppato
successivamente da Giuseppe Colombo, era di una semplicità incredibile.
Un conduttore della lunghezza di 20 km,
ricoperto di una fodera di levar, con appeso un satellite,
una grossa sfera di metallo, sarebbe stato
filato fuori dallo Shuttle.
Il filo, a tutti gli effetti un
dipolo, sfruttando le variazioni di
flusso del campo magnetico terrestre, avrebbe prodotto una corrente elettrica
con un' elevata differenza di potenziale.
Per chiudere il circuito ci sarebbe ricorsi ad un elektron gunn, un
cannone ad elettroni puntato sul satellite.
Per filare il cavo fuoribordo era
previsto l'uso di un verricello simile a quello di una canna da pesca.
Lo aveva realizzato
Nonostante i modesti risultati raggiunti si ebbe la certezza che il principio
era valido e che valeva la pena di insistere. Quattro anni più tardi,
nel febbraio del 1996, si
tentò di ripetere l'esperimento.
Questa volta furono gli astronauti Maurizio Cheli e Umberto Guidoni a tentarlo.
Purtroppo quando già avevano filato 17,7 chilometri di cavo questo si
ruppe all'altezza del verricello: il satellite andò alla deriva nello spazio
portandosi dietro quasi 20 km di filo che per fortuna non si avvolsero attorno
allo shuttle, una situazione
che sarebbe stata estremamente pericolosa.Solo sfiga? Chissà.
Dimostrata la validità del principio gli italiani abbandonarono questo tipo di
esperimento. Insistettero invece
gli
americani
che nel giugno 1996 lanciarono due satelliti legati con un cavo di 4 km. Tutto
andò liscio, alla perfezione. I due satelliti rimasero in orbita fino a luglio
2006. C'è una certa riservatezza
attorno a questo esperimento ma si presuppone che si sia trattato di un sistema
di trasmissione in onda lunga per comunicare con i sommergibili in immersione.
Lo strano è che gli esperimenti italiani fallirono per cause banali
mentre quello americano andò a buon fine.
Non vogliamo fare del complottismo
ad ogni costo però, come diceva la buonanima di Andreotti, a pensar male
si fa peccato ma spesso ci si azzecca.
Fatto sta che adesso le agenzie spaziali di Canada e Giappone, indipendentemente
l'una dall'altra, stanno cercando
di ripetere l'esperimento per la produzione di energia elettrica direttamente
nello spazio. Potrebbe essere
un'occasione per alimentare la Stazione Spaziale Internazionale alleggerendola
di tutti quei pannelli solari che, tutto sommato, non hanno un grosso
rendimento, sono ingombranti e pesanti e vanno di tanto in tanto sostituiti.
Incomprensibile il fatto che nessuno ci abbia pensato.