dell’emancipazione femminile
Dalla donna angelo del focolare alla donna impegnata in professioni ritenute un
tempo esclusivamente maschili – Un modo troppo spiccio nel considerare lo
stalking e il femminicidio
Di Magali Prunai
“Donna al volante, pericolo costante” recita un modo di dire molto maschilista
anni ’50. Retaggio di una cultura incentrata sull’uomo e sulla sua esclusiva
capacità di esistere al di fuori della casa e della donna “angelo del focolare”,
la donna che si metteva al posto di guida in un’auto era vista con sospetto.
Sicuramente era bravissima a fare gli gnocchi a casa, ma il traffico, i
parcheggi sono un’altra cosa. E già, perché una che pulisce da cima a fondo
un’intera casa ogni giorno, che cucina davanti a fornelli e forno incandescenti
senza bruciarsi ogni volta e che intanto evita che schiere di marmocchi che le
circolano per casa si lancino dal balcone, si infilino per sbaglio dentro al
forno o abbiano altre strane manifestazioni di suicidio non è in grado di
infilare una scatoletta di metallo in mezzo ad altre due per effettuare un
parcheggio corretto.
Una nuova figura di donna si è affermata nel tempo, ottenendo riconoscimenti e
parità. Ma qualcuno ha continuato a vedere come negativo questa indipendenza,
continuando in sordina a considerarla come quell’essere a cui è stata concessa
un’anima per un voto. Finché si trattava di due o tre malati di mente non ce ne
siamo troppo preoccupati, finché un giorno non abbiamo iniziato ad assistere a
strani ribaltamenti di ruoli.
Donne che, davanti a chi guida male, commentano con un “guida proprio come una
donna!” Donne che scrivono libri su come la figura femminile dovrebbe tornare ad
essere quella di una volta, a casa a cucinare, a fare figli e a obbedire al
signor marito.
E così la parità di diritti, che voleva dire aver diritto allo stesso stipendio
di un uomo, al diritto di fare carriera, al diritto di non essere vista come una
Valchiria se decide di lavorare e fare carriera e, per questo, lascia i figli
con la baby-sitter l’intera giornata, il diritto di poter dire che se la donna
ha lo stipendio più alto, per risparmiare, è l’uomo che rimane a casa, si è
progressivamente trasformato in un “hai voluto la parità? E ora porta quei
pesi”. Atteggiamento di spregio, ma accettato dalla maggioranza con risatine e
sospiri del tipo “ah, non avessimo chiesto la parità...ora stavo a casa a
ricamare!” Una volta una donna non andava oltre un certo ciclo di studi, poi si
preparava a fare la mamma, la moglie, la donna di casa. Al massimo poteva
aspirare a fare la maestra o la segretaria, sicuramente non poteva diventare
dirigente di azienda, le erano vietate alcune carriere, non poteva diventare
giudice perché l’animo femminile è troppo sensibile. Se qualcuna si presentava
in qualche facoltà considerata esclusiva per uomini agli esami si sentiva
domandare perché non si volesse sposare. Come se studiare e avere una famiglia
non fossero compatibili.
Attualmente le facoltà italiane sono frequentate per lo più da donne, ma poi
l’accesso alle professioni legate a studi
specifici
è effettuato per la maggioranza da uomini. Cosa succede fra la laurea e
l’entrata nel mondo del lavoro? Tutte le neo laureate cambiano idea, si sposano
e preferiscono fare le casalinghe o sono costrette a ripiegare su lavori più
“adatti” a una donna?
Ci sono numerosi studi sull’argomento, che dicono che negli ultimi mesi
dell’anno rispetto allo stipendio di un collega uomo le donne è come se lavorino
gratuitamente; che dicono che molte donne sono le prime a considerare di dover
fare un passo indietro per favorire le carriere dei mariti a scapito delle
proprie o che pensano di non poter effettuare certe mansioni perché sono donne.
Queste idee circolano, soprattutto, fra le più giovani. Le ragazze più giovani
sono le prime a sognare di fare la valletta in televisione, in mutande e ridendo
senza ragione perché così guadagnano bene e sono conosciute da tutti. Sono le
prime a rivolgersi agli uomini definendoli degli imbecilli quando se lo
meritano, ma definendo altre rappresentati del loro stesso sesso delle
frequentatrici notturne di viali cittadini soprattutto quando ottengono
incarichi di prestigio. E questo atteggiamento è condiviso anche dalla
maggioranza degli uomini (A sinistra: il pubblico ministero Ilda Bocasini).
Nel mese di febbraio si è voluto dedicare una giornata contro le mutilazioni
genitali femminili, una barbarie che ha come unico scopo quello di mortificare e
umiliare la donna e il suo corpo. Sempre nel mese di febbraio un tribunale
italiano ha rinviato a giudizio una donna perché non cucinava la cena al marito,
non teneva in ordine la casa e non gli faceva trovare la camicia pulita e
stirata ogni mattina. Tutti ne abbiamo riso, senza pensare che secondo quei
giudici una persona può essere giudicata perché non passa la scopa in casa o ha
bruciato l’arrosto della domenica. Atteggiamento molto primitivo, causa o forse
conseguenza di un altro atteggiamento, condiviso da uomini e donne, altrettanto
primitivo e aberrante, che è quello di giudicare le vittime di violenze e abusi
come colpevoli per aver provocato la fantasia, poco stabile e priva di
controllo, di un uomo. Una ragazza di 15 anni viene violentata in un parchetto,
la sera al tramonto in una zona di periferia a Roma? “E che ci faceva quella
ragazza in giro a quell’ora? Vanno
in giro in mutande e poi si lamentano pure? Se la sono cercata!” Ebbene sì, io
rivendico il diritto di andare in giro vestita in modo contrario al buon
costume, alle quattro della notte e di tornare a casa indenne! E il considerare
la vittima come l’istigatrice della violenza è la causa o, anche in questo caso,
la conseguenza di quel fenomeno ora noto come “femminicidio”. Se una donna
denuncia uno stalker, anche se esiste una legge, forze dell’ordine e autorità
giudiziaria fanno ben poco. Se la donna denuncia uno stupro e non si è difesa,
allora era consenziente. Se una famiglia denuncia l’omicidio di una figlia, una
sorella per opera di un ex fidanzato allora la macchina giudiziaria si metterà
in moto per accertare i fatti. Ebbene sì, in Italia ci si sveglia non solo
quando c’è una vittima, a reato già consumato, ma solo se questa vittima ha
perso il bene più importante che possa possedere: la vita. Una volta si diceva
che prevenire è meglio che curare, ma questo modo di dire si è lasciato agli
anni ’50. Invece di rispolverare il maschilismo, non potevamo rispolverare il
concetto di prevenzione?
Sempre nel mese di febbraio il presidente francese Hollande ha concesso la
grazia, due giorni dopo la condanna a 10 anni di carcere, a una donna che ha
ucciso il marito che per 30 anni ha maltrattato sia lei che i suoi tre figli. La
Francia, il paese della dichiarazione universale dei diritti del cittadino e
della cittadina, il paese delle lumache, della crêpe e il paese che ha dato la
possibilità a una ragazza come Valeria Solesin di studiare il ruolo della donna
nella società. La sua morte è stata tragica, non solo per come è avvenuta ma
anche se si pensa che è stata per mano di chi ha riportato il ruolo della donna
a prima del medio evo.
Ci sarà sempre chi penserà che una donna è strana e ha qualche rotella fuori
posto perché fra i suoi sogni non ci sono solo matrimonio e figli, ma perché
desidera altro. Il problema non è delle donne, ma di chi non riesce a capire e
ad accettare e a cambiare non devono essere le donne ma proprio chi non riesce a
comprendere l’evoluzione dei tempi.