anche nella stagione fredda
Le emissioni di metano dalle regioni artiche avvengono anche in inverno e
primavera: a dimostrarlo uno studio dell’Ibimet-Cnr pubblicato su Pnas.
Importanti le conseguenze sui processi climatici
L’Artico rappresenta un anello critico per l’equilibrio del sistema climatico
globale, in quanto contiene
immense
quantità di carbonio immagazzinate sotto forma di permafrost, che con l’aumento
della temperatura rischiano di essere degradate ed emesse in grande quantità in
atmosfera, amplificando l’effetto serra ed il riscaldamento globale. Nella
stagione fredda, queste emissioni di metano, gas serra con un potenziale di
riscaldamento globale ben maggiore dell'anidride carbonica, sono
sorprendentemente uguali o addirittura maggiori a quelle dell’estate. A
rivelarlo uno studio guidato da Beniamino Gioli dell’Istituto di biometeorologia
del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) e da Donatella Zona,
dell’University of Sheffield e San Diego State University, pubblicato su
Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America
(Pnas).
“Le conoscenze disponibili finora lasciavano credere che gli ecosistemi artici
fossero emettitori di gas serra solo nella stagione calda, quando il permafrost
riesce a scongelarsi in superficie e la sostanza organica viene decomposta,
causando il rilascio di metano”, spiega Gioli. “Gli studi condotti a supporto di
questa assunzione si concentravano però sui mesi estivi, trascurando quelli
invernali e primaverili che rappresentano il 70-80% dell’anno nelle regioni
artiche”.
Per colmare questa lacuna i ricercatori hanno istallato cinque torri Eddy
covariance (Ec) e utilizzato le piattaforme aeree della Nasa (già usate
nell’ambito dei programmi Carve-Carbon in Arctic Vulnerability Experiment e
Hippo-Hiaper Pole-to-Pole Observation), che hanno sorvolato le aree studiate in
diversi momenti dell’anno. “Contrariamente a quanto si era ipotizzato finora, le
emissioni nella stagione fredda dominano il budget annuale di CH4 nei siti,
precisa il ricercatore dell’Ibimet-Cnr. “Il motivo della persistenza di
emissioni biogeniche in inverno risiede nella cosiddetta zero curtain, una
condizione fisica in cui strati di suolo a media profondità, confinati in basso
dal permafrost ed in alto dagli strati superficiali di neve-ghiaccio, riescono a
permanere a temperature prossime allo zero, mantenendo attivi i processi
biologici anche con temperature dell’aria estremamente più basse”.
I dati raccolti, che saranno assimilati in nuove parametrizzazioni delle
emissioni di metano nei modelli climatici globali, contribuiranno al
miglioramento delle strumentazioni e dei metodi atti a prevedere il ruolo degli
ecosistemi nei processi climatici. “Come è noto, una maggiore emissione di gas
serra in atmosfera provoca un aumento della temperatura, che a sua volta rende
degradabili frazioni di permafrost conservate nel suolo da lungo tempo,
provocando un nuovo innalzamento delle emissioni”, conclude Gioli. “Se alcuni
ecosistemi terrestri come le foreste oggi stanno mitigando le emissioni
antropogeniche assorbendo carbonio a livello globale, altri ecosistemi come la
tundra artica potranno rilasciare in atmosfera crescenti quantità di carbonio
accumulate nei secoli, di fatto amplificando le emissioni globali, con
conseguente accelerazione del cambiamento climatico”.