fa da sfondo agli incontri al vertice
Putin, che non ha voluto incontrare Erdogan, si è intrattenuto a lungo con Obama
Gli italiani saranno i primi a mettere gli stivali sul terreno per difendere la
diga di Mosul
di Giuseppe Prunai
Il COP 21, che certamente passerà alla storia come quello dei buoni propositi,
ha fatto da sfondo, nella
giornata
inaugurale e nelle due o tre successive, ad una serie di incontri
tra capi di stato e di governo,
supportati, dietro le quinte, da un numero imprecisato di consiglieri e di
diplomatici. Al centro dell’attenzione degli osservatori, il mancato incontro
Putin-Erdogan, del resto già annunciato, e
dato da tutti per inevitabile, e il vertice dei vertici, quello fra Putin e
Obama.
Putin, da bravo giocatore di scacchi qual è, non ha reagito all’abbattimento del
caccia russo da parte dei turchi, non è caduto nel tranello, nel
trappolone di Erdogan messo in atto per
invocare l’aiuto della NATO, previsto in caso di attacco di uno dei partner
dell’alleanza atlantica.
L’attacco russo alla Turchia non c’è stato ma la NATO, sia pure in ritardo, ha
deciso di schierare aerei e
navi,
si ignora di quali paesi, a difesa di Ankara da un’aggressione che
ancora non c’è stata. E la cosa
sembra un po’ buffa. Mentre Obama e Putin ed i rispettivi ministri degli esteri
si accordano per una strategia comune contro l’ISIS e il Consiglio di sicurezza
dell’ONU vara un piano di pace per la Siria e affronta il problema del dopo
Assad, i militari della NATO, decidono di scendere in campo. Che piaccia o meno,
l’Alleanza atlantica, nata per
bilanciare il non più esistente Patto di Varsavia, fa capo a Washington. E
allora? Possibile che mentre Obama si accorda con Putin i generali della NATO si
muovano per conto loro ispirandosi ad un anticomunismo e ad un antisovietismo
vecchio di almeno mezzo secolo, al visceralismo del presidente Ford che definì
l’URSS l’impero del male. Ma tornando alla NATO torna in mente l’adagio di
Georges Clemenceau (foto a sinistra) che
era solito ripetere che “La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai
militari”.
Se non c’è stata la reazione armata di
Mosca, c’è stata quella verbale, propagandistica. Putin ha accusato la Turchia
(e ha detto di averne le prove) di sostenere il sedicente califfato islamico
acquistando da questo petrolio a basso prezzo pagandolo con forniture di armi.
Inoltre, nella conferenza
stampa di fine anno, Putin ha denunziato quella che ha definito
un’islamizzazione strisciante della Turchia. “Ataturk si rivolterà nella tomba”
ha esclamato. Ma, contrariamente a quanto si possa pensare, Putin non ha
formulato minacce dirette. Dopo aver dispiegato i suoi missili, si è limitato a
ricordare che queste armi possono essere dotate di testate convenzionali come di
testate atomiche. Una dichiarazione da brivido se non si sapesse che, almeno per
il momento, è solo un’esibizione di muscoli. Dal canto suo Obama, nell’ultimo
discorso alla nazione, ha ribadito la sua ferma intenzione di colpire duramente
l’ISIS e di interrompere le sue fonti di finanziamento.
L’attenzione mondiale è stata polarizzata dall’incontro fra i massimi esponenti
delle due superpotenze, Obama e Putin, e quelli, dei giorni successivi, tra i
rispettivi ministri degli esteri, gli ambasciatori,
gli esperti militari e quant’altro. E’ chiaro che si sta lavorando perché
il dopo Assad avvenga nella maniera meno caotica possibile. Insomma si vuole
evitare un altro dopo Saddam e un altro dopo Gheddafi, ma nessuno dice come. Sul
come, sta lavorando l’ONU. Questa la situazione a pochi giorni dal Natale.
Per
ciò che riguarda le operazioni, si pensa che vengano intensificati gli attacchi
all’ISIS con i raid dei caccia-bombardieri, dei droni e il lancio
di missili. Nessuno al momento, a
quanto risulta, ha intenzione di mettere gli stivali sul terreno, cioè ricorrere
ad operazioni con militari a terra. Gli unici a combattere a terra contro l’ISIS
sono i Kurdi, armati alla belle e meglio: sarà sufficiente questa forza,
soprattutto alla luce dell’assurda circostanza che i Kurdi debbano difendersi
dagli attacchi dei turchi?
Ma a mettere gli stivali sul terreno saranno, per il momento, gli italiani ma
solo per difendere, in caso di attacco, la grande diga di Mossul e le maestranze
della ditta incaricata del suo consolidamento perché da troppo tempo non è più
stata sottoposta alla necessaria manutenzione. 450 soldati saranno schierati a
gennaio sul posto e già arrivano minacce di ritorsione da parte dell’ISIS.
Il crollo della diga provocherebbe
un’onda di 20 metri di altezza che arriverebbe fino a Bagdad seminando sul suo
cammino morte e distruzione e lascerebbe senza acqua per mesi, forse per anni
tutte le popolazioni che vivono nella vallata del Tigri.