A rischio un immenso serbatoio di cibo e acqua
Allarme sulle condizioni di salute del bacino idrico, quarto per grandezza in
Africa, a rischio di scomparire per cause ambientali e cattiva gestione delle
sue acque. Fondamentale per la sopravvivenza di oltre 30 milioni di persone,
molte delle quali sono potenziali migranti forzati, il lago si è ridotto in
cinquant'anni a meno di un decimo della estensione.
Il Lago Ciad nella regione del Sahel - tra le frontiere del Ciad, Camerun, Nigeria e Niger - rischia di diventare un ricordo sulla carte geografiche se non si interviene ad arginare il suo progressivo prosciugamento. Questa riserva d’acqua dolce, la quarta per grandezza in Africa, garantisce la sopravvivenza di oltre trenta milioni di persone e il suo inaridimento - in circa cinquant'anni si è ridotto a meno di un decimo dell'estensione che aveva negli anni Sessanta - rischia di provocare una crisi ambientale, ecologica e umana di enormi dimensioni, con conseguenze anche sulle ondate migratorie già in atto, dirette verso l'Europa e soprattutto verso l’Italia. Il bacino idrico africano è il perno intorno al quale ruota un delicato equilibrio economico e geopolitico di una vasta area che si affaccia sulle sue rive e beneficia delle sue risorse. “Fermare l’agonia del lago Ciad avvalendosi delle più avanzate conoscenze scientifiche e tecnologiche è cruciale per garantire un futuro di pace a un’area particolarmente delicata del mondo. Occorre intervenire sui fattori di fragilità di questo delicato e complesso ecosistema. La progressiva desertificazione, la perdita costante e progressiva di acqua e cibo rendono inospitale l’intera area favorendo il radicalizzarsi dei conflitti e dei fondamentalismi concause delle attuali grandi ondate migratorie”, spiega Luigi Nicolais, Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) che insieme a Confederazione italiana agricoltori, Fao, Società geografica italiana e Accademia nazionale delle scienze detta dei XL, ha organizzato il convegno “Il lago Ciad: un serbatoio di cibo e acqua tra disastro ambientale e cooperazione internazionale.
Il Lago Ciad prima e dopo
Quale contributo possibile dal ‘sistema Italia’?”
svolrasi a Milano in ambito Expo. Il
Meeting internazionale, si è articolato in due panel di interventi e una tavola
rotonda con la partecipazione di Romano
Prodi, presidente della Fondazione per la collaborazione tra i popoli, Diana
Bracco, Commissario generale di sezione per il padiglione Italia all'Expo, Luigi
Nicolais, presidente del Cnr, Wassalké Boukari, Ministro dell’Idraulica e della
bonifica della repubblica del Niger, Jacques Lemoalle, ricercatore emerito
dell’Institut de recherche pour le développement – IRD, Dino Scanavino,
presidente della Confederazione italiana degli agricoltori, Michel Dimbele
Kombe, Direttore dell’Osservatorio del bacino del lago Ciad, Paolo Sannella,
presidente Centro relazioni con l’Africa della Società geografica italiana,
Giampaolo Cantini, Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo del
Ministero degli esteri, Lucio
Caracciolo, direttore di ‘Limes’ “Vogliamo analizzare le potenzialità della
cooperazione internazionale per risolvere criticità e sottolineare il ruolo
centrale dell’Italia in questi processi di collaborazione” afferma Giuseppe
Palmisano, direttore dell’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR e
coordinatore dell’evento. Tra le soluzioni prospettate c’è l’ipotesi di deviare
le acque di alcuni affluenti del fiume Congo. “È questa però un'operazione
complessa e rischiosa che va fatta con criterio: le terre coltivabili emerse
come risultato del progressivo asciugamento del lago sono molto fertili e ben
utilizzate per l’agricoltura, quindi sommergerle potrebbe rappresentare un
ulteriore problema” continua. “Sull’aspetto della sua rivitalizzazione a fini
agricoli c'è grande disponibilità a collaborare, anche se ce n'è meno rispetto
all'ipotesi di usarlo anche per la produzione di energia. In ogni caso la
Commissione per il bacino del lago Ciad sta svolgendo un importante ruolo di
mediazione e coordinamento tra Niger, Ciad, Nigeria e Camerun, paesi confinanti
e interessati ad evitare che l'ulteriore impoverimento delle popolazioni che
vivono in quelle zone faciliti la penetrazione di gruppi estremisti e
terroristici, come per esempio Boko Haram”, prosegue Palmisano. “Il ruolo
dell’Europa e dei paesi europei è cruciale, non solo per lo sviluppo dell’Africa
e per limitare i massicci flussi di migranti economici, ma anche per
ridimensionare i rischi di un progressivo ‘land grabbing’, un pericoloso
accaparramento di terre realizzato con capitali stranieri, che può avere pesanti
conseguenze per le popolazioni locali e le economie di intere regioni”.