Speculazioni filosofiche sui conflitti da Hobbes a Marx – Le guerre difensive e
quelle di aggressione – Il fallimento della rivoluzione francese e di quella
russa
di Magali Prunai
La guerra, si sa, è sempre stato un modo per l’essere umano di prevalere
sull’altro, di dimostrare la
propria
forza e potenza e avere una giustificazione per l’egemonia di uno su molti.
Filosoficamente parlando potremmo vedere la guerra come un procedimento logico
della dialettica: i tre momenti in cui si articola, tesi, antitesi e sintesi,
sono fondati su un processo caratterizzato da un conflitto vero e proprio.
Invece di essere condannato, è proprio il momento del conflitto che fornisce la
spinta necessaria perché l’astrattezza della tesi diventi concreta, portandola a
confrontarsi con sé stessa. Solo attraverso questo conflitto si può arrivare
alla parte rappacificatoria della dialettica, la più concreta sintesi.
Portando il concetto a esempi concreti, possiamo analizzare la storia degli
ultimi secoli proprio attraverso questa interpretazione.
Infatti, se è vero che “homo homini lupus”, come diceva nel XVII secolo il
filosofo inglese Hobbes (immagine in alto a sinistra) , ovvero un essere per sua
natura egoista, pronto a fare la guerra ai propri simili, che si lega ad altri
uomini in società o amicizia solo per
opportunità e per il timore reciproco; è anche vero che, come affermava il
filosofo Locke, l’uomo decide di legarsi ad altri esseri umani per tutelarsi e
amministrarsi con un contratto sociale, in cui ci si lega a qualcuno di
superiore che ci proteggerà da altre società di individui. L’incontro fra gli
uomini fa sì che questi sviluppino un’autocoscienza, che porta a una perpetua
lotta per la vita che termina solo quando uno dei due soccombe all’altro e si
sottomette al vincitore. La teoria della “signoria-servitù” di Hegel, (foto a
destra) msuccessivamente ripresa da Marx, punta proprio su questo concetto. Il
signore predomina sul servo, il quale però lavorando per il signore impara a
modificare e a dominare la Natura, vengono meno i vincoli storico-giuridici che
li legano e si avrà un rovesciamento della situazione.
Hegel, nato in Germania nella seconda metà del ‘700, analizza così la
Rivoluzione francese. Contrariamente a quanto affermavano molti filosofi,
sostenne l’assoluta necessità della Rivoluzione, nonostante le disastrose
conseguenze. Hegel la considerava un fallimento, in quanto portò all’estremo i
suoi valori fondanti, ma comunque la riteneva assolutamente necessaria perché,
attraverso il conflitto, vennero eliminati i vecchi sistemi politici
impossibilitati dalla loro stessa natura ad adeguarsi all’aria di rinnovamento
che si respirava in tutta Europa.
K
“La guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace
duratura o addirittura perpetua”, se la guerra c’è sempre stata e c’è vuol dire
che deve esserci. Questa è la summa del pensiero hegeliano sulla guerra. Un
pensiero molto forte, soprattutto se lo riportiamo ai nostri tempi. Certo è che
nei due secoli a cavallo fra i quali visse l’esperienza di pace assoluta non si
sapeva cosa fosse.
Successivamente,
il filosofo tedesco Marx riprese questo concetto di guerra riducendolo
sostanzialmente a una questione economica. Le guerre sono lotte di potere,
motivate da una supremazia economica che si vuole rovesciare. E’ per questo che
Marx ed Engels (foto a sinistra) parlano di lotta fra classi sociali, ovvero fra
quella povera e nulla tenente contro quella ricca. In quest’ottica i due autori
differenziano la guerra in due gruppi: le guerre difensive e le guerre di
aggressione.
Le prime, rappresentate dalla Rivoluzione francese, hanno un carattere “borghese
progressivo”, ovvero mirano a un capovolgimento dell’assetto sociale, portando
in auge idee ed esigenze più avanzate.
Questo tipo di guerre sono considerate giuste poiché il loro scopo è
l’abbattimento del feudalesimo e dell’assolutismo, e questo spiega perché il
proletariato combatte insieme alla borghesia.
Le seconde, invece, sono quelle degli Stati imperialisti, motivati solo da scopi
economici e che mirano a conservare il loro assetto sociale, capitalistico
attraverso colonie, privilegi, monopoli e oppressioni.
Immagine simbolo della Rivoluzione Francese
Ed ecco così spiegata la Rivoluzione Russa: la lotta del popolo affamato contro
la nobiltà, rappresentata dallo Zar, che lo affamava. Marx ed Engels nel 1917
non poterono assistere a come le loro teorie venissero applicate, interpretate
e, successivamente, non comprese, facendo sfociare anche questa rivoluzione,
come quella francese, in un disastro totale.
Il potere spesso logora chi lo detiene e chi lo ottiene, anche se inizialmente
motivato dai più nobili motivi, spesso può esserne corrotto e tramutarsi in una
figura esattamente identica, se non peggiore, a quella contro cui si è lottato.
Ed ecco allora che il conflitto ha di nuovo inizio, in un circolo infinito senza
un punto di partenza e una fine.