Dalla mongolfiera al monoplano

I mezzi volanti nella Grande Guerra

Come le esigenze belliche determinarono

 il progresso dell’aeronautica

 

di Marco Torricelli

 

 

Quando, con l’assassinio di Sarajevo e l’ultimatum austriaco alla Serbia, l’Europa divenne il teatro di una delle più devastanti guerre della storia, i mezzi volanti, e in particolare gli aerei, erano poco più che trabiccoli semisperimentali, e già soltanto il salirvi a bordo richiedeva una dose di coraggio che rasentava l’incoscienza. Tra il 1914 e il 1918, tuttavia, il naturale ingegno umano, particolarmente acuto quando si tratta di inventare nuovi metodi per uccidere, portò un’evoluzione rapida in molti settori della tecnica, incluso quello aeronautico (Foto a sinistra: i primi esperimenti di volo con il pallone dei fratelli Montgolfier).

Non che l’idea del volo umano a fini bellici sia nata nel XX secolo. Immediatamente dopo il primo volo umano attestato – non la fuga di Dedalo e Icaro da Cnosso, ma il volo di Jean-François Pilâtre de Rozier e del Marchese d'Arlandes su un pallone aerostatico dei fratelli Montgolfier, nel 1783 – apparirono i primi usi militari. Le armate della Rivoluzione Francese sfruttarono i palloni frenati (cioè trattenuti al suolo da delle corde) come posti d’osservazione, sia per individuare i movimenti nemici che per puntare l’artiglieria su punti oltre l’orizzonte di un osservatore al suolo, e, una volta perfezionati i problemi tecnici del gonfiaggio sul campo, i palloni d’osservazione furono sfruttati dagli unionisti nella Guerra Civile Americana, dai brasiliani nella Guerra Paraguayana, e dai britannici nella Guerra Anglo-Boera.

Inoltre, dei motori e dei timoni erano stati applicati agli aerostati, trasformandoli così in “palloni dirigibili”, capaci di muoversi in orizzontale senza l’ausilio del vento e di cambiare direzione. La prima aeronave militare, La France, costruita dall’Armata Francese, era dotata di un motore elettrico azionato da batteria. I suoi piloti, Arthur Constantin Krebs e Charles Renard, completarono nel 1884 un volo di 8 kilometri in 29 minuti (velocità media 17 km/h) con arrivo nello stesso punto di partenza, dimostrando così un volo completamente controllato. La Grande Guerra cominciò quindi con ruolo militare già ben definito per gli aerostati – le macchine volanti che, essendo meno dense dell’aria, ne ricavano una spinta di Archimede maggiore del proprio peso.

L’aliante di  Lilienthal

Da nemmeno quindici anni, però, era iniziata l’era delle aerodine – le macchine volanti più dense dell’aria, che sono spinte in alto dalle forze fluidodinamiche agenti sulle proprie ali. Nella seconda metà dell’Ottocento i motori termici erano stati miniaturizzati fino al punto di poter essere montati su delle fragili incastellature di legno e tela derivate dagli alianti già sperimentati da pionieri come Sir George Cayley (primo volo nel 1799) e Otto Lilienthal (voli tra il 1891 e il 1896). Il primo volo umano sostenuto e controllato con un mezzo “più pesante dell’aria” e ad ala fissa (cioè un aeroplano) documentato fu compiuto da Orville e Wilbur Wright nel 1903: il loro Wright Flyer, un biplano a motore con due eliche spingenti, volò quattro volte in un giorno, coprendo una distanza “record” di 260 metri in 59 secondi (velocità media 16 km/h) e una quota di 9 metri prima di rompersi nell’ultimo atterraggio.

Dopo gli iniziali scetticismi, l’entusiasmo per la nuova macchina si estese. Gli aeroplani divennero più veloci e controllabili, fino a valicare la Manica (Louis Blériot, 1908) e le Alpi (Géo Chávez, 1910). L’interesse militare iniziò a crescere; nel 1909 la Divisione Aeronautica dello US Army Signal Corps (un corpo militare americano dedicato alla ricognizione e all’osservazione del campo di battaglia) fu la prima unità militare a dotarsi di un’aerodina, in particolare di un aeroplano Model A realizzato dai fratelli Wright. Questo Wright Military Flyer era una variante del biposto Wright Flyer III, ma con un motore più potente e prestazioni superiori, che gli davano una velocità di punta di 74 km/h e un’autonomia di oltre 200 km. Non si può dire, però, che questo costituisca la nascita di un’arma aerea: si trattava di acquisti esplorativi di un singolo esemplare alla volta. Infatti i Wright, dalla loro richiesta economica iniziale di 100.000 dollari per un solo aereo, scesero a soli 25.000, e dovettero fornire un secondo aeroplano perché il primo, pilotato dallo stesso Orville, si era schiantato al suolo durante un volo di prova causando la morte del passeggero, il tenente Thomas Etholen Selfridge. Nello stesso anno, lo US Army Signal Corps aveva acquistato, sempre per valutazione, un dirigibile, registrato come Signal Corps Dirigible No.1, richiedendo che esso raggiungesse i 32 km/h e potesse portare un carico utile di almeno 200 kg. Nonostante i costi e i rischi maggiori dell’aeroplano – il dirigibile fu pagato poco meno di 6.000 dollari, e non ebbe alcun incidente – gli Stati Uniti non comprarono altri dirigibili fin dopo la guerra: un primo segno che l’aeronave, anche se avrebbe conosciuto ancora vari successi, già si avviava a una posizione di secondo piano.

Il primo volo dei fratelli Writgh

 

Nel frattempo, in Europa, l’impiego bellico del volo avanzava molto più rapidamente, anche spinto dalle tensioni che andavano accumulandosi nel continente e nel Mediterraneo. Alcuni giovani ufficiali, tra i quali l’allora sottotenente Giulio Douhet del Regio Esercito italiano, iniziarono a sviluppare dottrine militari dell’uso del volo non solo a scopi di ricognizione, ma anche e soprattutto per l’attacco di bersagli al suolo; più tardi, nel suo libro “Il dominio dell’aria”, Douhet sarà il primo a teorizzare apertamente l’uso del bombardamento aereo con armi non-convenzionali contro i centri abitati a fini terroristici. Non a caso, il primo bombardamento aereo fu condotto dall’Italia durante la guerra di Libia, quando, nel novembre 1911, il sottotenente Giulio Gavotti, pilotando un monoplano Etrich Taube (di ideazione austriaca, capace di volare a 100 km/h e con 140 km di autonomia), lanciò sull’oasi di Tagiura e sul campo turco di Ain Zara un totale di quattro bombe a mano – l’unico ordigno esplosivo che all’epoca un aeroplano potesse trasportare – peraltro non colpendo alcunché. Il dirigibile sembrava molto più adatto agli usi bellici e in particolare al bombardamento, dato che aveva un carico utile e un’autonomia molto superiore degli aeroplani contemporanei. Infatti, nella Convenzione dell’Aia del 1899, era stato vietato esplicitamente il lancio di bombe dagli aerostati, ma si erano ignorate le aerodine, all’epoca ancora in fase di progettazione; cosa che annullò il ricorso agli organi della Convenzione da parte dell’Impero Ottomano contro l’Italia per l’azione di Gavotti.

Il Velivolo Bleriot_XI_Thulin

 

Lo sviluppo dell’aeroplano in campo militare rimase erratico, mentre il dirigibile continuava la sua implementazione. L’aeronave rigida LZ-3, costruita dalla ditta del Conte Ferdinand von Zeppelin nel 1906, fu acquistata dalle Fliegertruppen der deutschen Kaiserreichs (Truppe Volanti dell’Impero Tedesco) dopo aver verificato che avesse un’autonomia di 24 ore di volo, e rimase in servizio con il nome Z I fino al 1913, suscitando anche l’interesse del Kronprinz Wilhelm. Allo scoppio della guerra le Fliegertruppen avevano in servizio anche il dirigibile di Schütte-Lanz SL2, che, propulso da quattro motori Maybach, raggiungeva una velocità di quasi 90 km/h con un carico utile di ben 8 tonnellate (superiore a quello di molti bombardieri pesanti della Seconda Guerra Mondiale), ed era difeso da varie postazioni di mitragliatrice.

Anche le Marine Militari iniziarono a dotarsi di corpi aeronautici. Dopo il volo del primo idrovolante, lo Hydravion costruito da Henri Fabre nel 1910, la possibilità di aumentare il raggio di osservazione delle navi con una componente aerea portò da un lato allo sviluppo di porta-idrovolanti (la prima, la francese Foudre, è del 1911) , e dall'alto verso le prime portaerei, ottenute applicando a delle navi tradizionali un ponte di volo – il primo decollo di un aeroplano da una nave da guerra fu realizzato da Eugene Ely, un pilota civile, dall'incrociatore americano USS Birmingham, con un biplano Curtiss Model D (un biplano a elica spingente, velocità massima 80 km/h) nel 1910, e l'anno successivo Ely atterrò sull'incrociatore corazzato USS Pennsylvania. (Nella foto sopra a sinistra: Geo Chavez, primo transvolatore delle Alpi, a destra Giulio Douhet)  

Lo scoppio della guerra tolse il tempo alle sperimentazioni a 360 gradi. Di colpo vi erano personale e risorse soltanto per quello che aveva una sicura utilità bellica - o almeno un chiaro progetto di sviluppo in tale senso. Già nelle prime settimane di guerra, il dirigibile SL2 eseguì un bombardamento su Varsavia (all'epoca parte dell'Impero Russo), mentre un idrovolante Farman della porta-idrovolanti Wakamiya della Marina Imperiale Giapponese tentò il primo attacco aeronavale della storia, cercando di colpire con delle bombe a mano l'incrociatore austroungarico SMS Kaiserin Elisabeth e la cannoniera tedesca SMS Jaguar nel corso della battaglia di Tsingtao, senza causare danni. Il complemento di volo della Wakamiya ebbe maggiore successo nel bombardamento degli obiettivi costieri della locale base tedesca.

Uno dei primi dirigibili Zeppelin

In Europa le ostilità aeree erano già cominciate con la battaglia di Cer, nell'agosto 1914, combattuta tra l'Austria-Ungheria e la Serbia. Due aeroplani da ricognizione degli opposti schieramenti si incontrarono e, dopo un iniziale e cavalleresco scambio di saluti, gli occupanti dell'aereo austroungarico aprirono il fuoco contro il serbo con un revolver, senza peraltro riuscire a colpirlo. Poco dopo, il capitano russo Pjotr Nesterov – già noto come il primo pilota ad eseguire un "giro della morte" – attaccò con il proprio Morane-Saulnier G (monoplano, velocità massima 123 km/h) un Albatros B.II (biplano, velocità massima 120 km/h) pilotato dall'austriaco Franz Malina. Nesterov, avendo fallito nel tentativo di colpire l'Albatros con una pistola, speronò l'avversario, uccidendo Malina e l'osservatore che aveva a bordo, ma perdendo il controllo anche del proprio apparecchio e precipitando a sua volta. Infine, nell'ottobre 1914, il pilota francese Louis Quenault aprì il fuoco contro un aeroplano tedesco con una mitragliatrice.

Queste azioni esemplificarono un nuovo punto fermo della dottrina militare aerea: i compiti fino a quel momento affidati alle armi aeree - la ricognizione e il bombardamento - non potevano essere svolti efficientemente se prima non si fosse assicurata la "superiorità aerea", cioè l'assenza di disturbo da parte di apparecchi avversari; d'altronde, per impedire le azioni di ricognizione e bombardamento nemiche, era necessaria una capacità di "intercezione". Nacque così l'esigenza di aeroplani specializzati nell'attaccare altri mezzi aerei: gli aerei da caccia.

Morane G 3 500

 

I primi esperimenti nel settore degli aerei da caccia erano già stati condotti dalla ditta britannica Vickers nel 1913, con lo Experimental Fighting Biplane 1, che portò poi al Vickers F.B.5, soprannominato Gun Bus, il primo aereo da caccia operativo della storia (velocità massima 113 km/h). Il Gun Bus, come il contemporaneo Airco DH.1 anch'esso adottato dal Royal Flying Corps britannico (Regio Corpo di Volo), era un biplano biposto a elica spingente. La postazione dell'armiere era a prua ed era munita di una mitragliatrice orientabile Lewis da 7,7 mm; questa configurazione metteva il Gun Bus in grado di attaccare i bersagli in un ampio arco frontale, ma richiedeva una difficile coordinazione tra pilota e mitragliere: l'equipaggio poteva comunicare solo a segni o urlando, cosa non facile con il rumore del motore e dell'aria tra i tiranti delle ali. Inoltre la configurazione ad elica spingente rendeva l'azione dell'elica stessa meno efficiente che nella configurazione traente. Nonostante questi problemi, oltre 200 Gun Bus furono prodotti e utilizzati sul fronte occidentale nella prima metà del 1915.

Il Fokker DR1

D'altro canto, l'idea di un aereo monoposto in cui il ruolo di pilota e di armiere coincidesse già circolava, ma vi erano alcuni problemi. L'arma non poteva essere orientabile, bensì fissa e in linea con l'asse dell'apparecchio, per non sovraccaricare di compiti il pilota. Il pilota doveva poter accedere direttamente all'arma nel caso si inceppasse, ma senza allontanarsi dai comandi. L'ala superiore non era abbastanza robusta da sostenere l'arma, quindi l'unico posto rimasto era il peggiore di tutti: direttamente di fronte al pilota, dietro all'elica. Il che avrebbe significato sparare direttamente attraverso l'elica, distruggendone le pale.

Dopo alcuni tentativi piuttosto empirici di risolvere questo problema, come l'elica corazzata montata dal pilota francese Roland Garros, e tentativi più sensati, come i sincronizzatori dello svizzero Franz Schneider (1913) e del francese Raymond Saulnier (1914), la quadratura del cerchio fu trovata dall'olandese Anthony Fokker, proprietario dell'omonima fabbrica aeronautica tedesca, accoppiando un sistema meccanico affidabile, basato su un gioco di aste ed eccentrici, con una mitragliatrice in grado di sospendere e riprendere il fuoco semi-automatico in modo da evitare che i proiettili colpissero la pala nel momento in cui passava di fronte all'arma. Il Fokker Einzeldecker I (Monoplano I) e i suoi successori E.II e E.III divennero così il nuovo termine di paragone per tutti gli aerei da caccia.

Il più moderno FokkerDVI

Lo E.I era innovativo sotto altri aspetti oltre quello dell'armamento. Essendo un monoplano aveva un minore attrito aerodinamico e garantiva un'ottima visibilità al pilota; l'intelaiatura, invece che in legno, era realizzata in acciaio, molto più resistente e meno vulnerabile all'umidità. Il motore, invece, era una copia dei motori francesi Gnome Lambda e Gnome Monosoupape – motori rotativi, nei quali i cilindri, disposti a raggiera intorno all'albero motore centrale, ruotavano insieme all'elica mentre l'albero rimaneva fermo. L'introduzione massiccia degli Einzeldecker segnò l'inizio del "Flagello Fokker", un periodo di superiorità aerea sul fronte occidentale da parte della Germania per la seconda metà del 1915 e l'inizio del 1916. Lo E.III aveva una velocità di punta di 140 km/h e un'autonomia di un'ora e mezza, che gli consentiva di salire fino a 3000 metri di quota in circa mezz'ora per poi attaccare dall'alto i velivoli nemici.

Il "Flagello Fokker" vide la nascita di un nuovo fenomeno bellico: gli "assi " (secondo la denominazione dell'Intesa) o "cannoni" (secondo quella delle Potenze Centrali); piloti che vantavano un grande numero di "vittorie", cioè di abbattimenti di aerei nemici. Tutti ricordano l'asso per antonomasia, Manfred von Richthofen, passato alla storia come "Il Barone Rosso": molti meno il primo asso della storia, il francese Adolphe Célestin Pégoud, e il maestro del Barone Rosso, Oswald Boelcke, il primo asso tedesco, che raggiunse le 40 vittorie prima di morire in uno scontro aereo con un suo commilitone nel 1916. Boelcke raccolse in alcune massime, note come i "Dicta Boelcke", la dottrina tattica del duello aereo, che rimase valida fin quando i radar di bordo e i missili a lungo raggio non cambiarono nettamente le distanze e i modi di ingaggio.

(A sinistra. Manfred von Richtofen, il leggendario barone rosso)

Dicta Boelcke

1) Garantisciti il vantaggio del campo (velocità, altezza, superiorità numerica, posizione). Attacca sempre col sole alle spalle.

2) Quando hai cominciato un attacco, portalo sempre fino alla fine.

3) Apri il fuoco con le mitragliatrici alla minima distanza, e soltanto quando l'avversario è saldamente nel mirino.

4) Non perdere mai di vista l'avversario.

5) In qualsiasi tipo di attacco, è preferibile attaccare l'avversario da dietro.

6) Se il tuo avversario picchia su di te, non cercare di schivare il suo attacco, ma vira contro di lui.

7) Quando sei sulle linee nemiche, ricordarti sempre la rotta per la ritirata.

8) Suggerimento per squadroni: In linea di principio, è meglio attaccare in gruppi di quattro o sei. Quando la battaglia si suddivide in scontri individuali, stai attento che i tuoi compagni non si concentrino tutti sullo stesso avversario.

Gli "assi" divennero personaggi popolari nei vari schieramenti, e la propaganda ne sfruttò le immagini e le gesta, alle volte anche romanzandole. Se ne magnificavano le qualità belliche e patriottiche, e si raccontavano i duelli aerei come versioni moderne degli scontri cavallereschi,  con tanto di gesta eroiche e cortesie nei confronti dell'avversario: basta leggere i Dicta Boelke per rendersi conto che non vi era niente di sportivo in una battaglia aerea. La stampa evitava invece di propagandare aspetti meno piacevoli, come l'alta mortalità degli aviatori: ad esempio, nella primavera del 1917, l'aspettativa media di vita di un pilota dell'Intesa sul fronte occidentale era di sole 93 ore di volo. E nonostante l'alta mortalità, alcuni reparti, come il Royal Flying Corps, negavano agli aviatori il paracadute perché avrebbe "favorito la codardia".

Gli aerei da caccia non erano impiegati soltanto contro altri aeroplani: uno dei loro bersagli, e sorprendentemente difficile da attaccare, erano gli aerostati. I palloni frenati degli osservatori d'artiglieria (che comunicavano con le batterie a terra tramite cavi telefonici disposti lungo la cima d'ancoraggio) erano un bersaglio ambito per il loro valore strategico. Distruggerli con una mitragliatrice era difficile: un colpo fortunato alla navicella poteva uccidere l'osservatore, ma dei buchi nel pallone avrebbero soltanto causato la lenta discesa dell'aerostato, che avrebbe potuto essere riparato rapidamente. I "cacciatori di palloni", quindi, iniziarono ad adottare nuovi tipi di munizioni, come i razzi e i proiettili incendiari; d'altro canto i palloni d'osservazione iniziarono a venire protetti da cavi supplementari e da palloni di sbarramento.

Le maggiori battaglie tra aerostati e aeroplani, però, avvennero con l'uso da parte germanica delle aeronavi rigide Zeppelin e Schütte-Lanz per il bombardamento strategico a lungo raggio. Gli Zeppelin erano già stati usati per bombardare le linee e le immediate retrovie nemiche, e anche alcune città – tra cui Varsavia, Parigi e Londra - fin dai primi giorni della guerra, ma con scarso successo: tra incidenti di volo e fuoco antiaereo, la Germania si trovò con soltanto quattro aeronavi operative a fine 1914, a fronte di alcune tonnellate di bombe sganciate sul bersaglio. La produzione continuò, ma contro le aeronavi imperiali vennero impiegate dalla caccia dell'Intesa le munizioni già sperimentate contro i palloni frenati; nonostante le postazioni di mitragliatrice difensive, i dirigibili tedeschi risultavano troppo vulnerabili, troppo costosi e troppo complessi da operare. Anche il ruolo del bombardamento si spostò verso l'aeroplano.

 

Mentre i primi bombardamenti da aeroplani erano stati effettuati con modi piuttosto artigianali, la Rossijskij Imperatorskij Voenno-Vozdušnyj Flot (Flotta Aerea Militare Imperiale Russa) già allo scoppio della guerra nel 1914 si era dotata di un enorme aereo da bombardamento. Igor Sikorskij (che dopo la Rivoluzione si trasferirà in America, diventando un pioniere degli elicotteri) aveva già prodotto nel 1913 il primo aereo multimotore della storia, lo S-21 Russkij Vitjaz, destinato al trasporto passeggeri, che però aveva prestazioni insufficienti. Il suo immediato successore, lo S-22 Ilja Muromec, era un enorme biplano quadrimotore, di quasi 30 metri di apertura alare. Concepito per le lunghe distanze e i climi rigidi della Russia, aveva l'abitacolo e la cabina per i 16 passeggeri completamente chiusi, dotati di riscaldamento e illuminazione elettrica, e addirittura una toilette di bordo. Con l'inizio della guerra, si scelse di produrre soltanto una variante militare, e questo ampio spazio fu riconvertito a vano bombe, raggiungendo così un carico bellico utile di 500 kg. La versione più usata, lo S-23 V, era propulso da quattro motori Sunbeam Crusader (8 cilindri, disposti a V) di produzione britannica, e raggiungeva i 110 km/h con un'autonomia di cinque ore in configurazione tipo; era inoltre difeso da varie postazioni di mitragliatrici. Furono prodotti oltre ottanta Muromec, di cui soltanto uno fu abbattuto – l'armamento di difesa, le dimensioni e addirittura la turbolenza causata da questo gigante dei cieli costituivano un'eccellente protezione dai caccia nemici. Con le migliorie apportate durante la guerra, gli S-22 e gli S-23 raggiunsero una precisione nello sgancio di bombe del 90%.

 

I tedeschi replicarono ai russi con la loro serie di Riesenflugzeuge (aeroplani giganti), tra cui l'unico a essere prodotto in grande quantità, a partire dal 1916, fu lo Zeppelin-Staaken R.VI, impiegato sia dalle Luftstreitkräfte (Forze di Combattimento dell'Aria, succedute alle Fliegertruppen nel 1916) che dalla Marine-Fliegerabteilung (Reparto Aereo della Marina). L'aereo, simile come concetto al predecessore russo, era ancora più estremo: l'apertura alare era di oltre 42 metri – simile quella dei bombardieri a reazione Boeing B-52 della Guerra Fredda, e per raggiungere la velocità massima, per l'epoca ragguardevole, di 135 km/h vennero utilizzati, su alcune varianti, un sistema di cinque motori per sole due eliche: uno dei motori veniva usato soltanto per muovere il turbocompressore che alimentava gli altri quattro.

 

Il biplano Caproni Ca.32, sulla carlinga, Gianni Caproni

n Italia, la Caproni aveva lanciato a partire dal 1914 una serie di bombardieri biplani trimotori con una originale combinazione di eliche traenti e spingenti. Prontamente acquistati dal Corpo Aeronautico Militare, i Caproni Ca.1, Ca.2 e Ca.3 ottennero un vasto successo, soprattutto nel bombardamento tattico, e vennero acquistati anche da francesi, britannici e americani; la Regia Marina li impiegò anche come aerosiluranti.

 

Di fronte a questa escalation nel settore del bombardamento, la caccia non restò ferma. Il Flagello Fokker terminò bruscamente nel 1916 quando l'Intesa iniziò a schierare dei nuovi caccia. Gli inglesi, che ancora non disponevano di un sincronizzatore, misero in servizio dei nuovi caccia ad elica spingente, come il Farman F.E.2b, un biplano biposto in grado di sfiorare i 150 km/h e in cui l'osservatore-armiere, pur dovendosi sporgere in posizioni precarie, riusciva a brandeggiare l'arma a 360 gradi; e lo Airco DH.2, un agile monoposto, in cui l'arma era comunque brandeggiabile. I piloti inglesi, in barba agli ordini dei propri superiori, iniziarono a fissare la mitragliatrice, avendo scoperto che era più semplice puntare l'intero aereo contro il nemico, invece che doversi occupare separatamente del volo e del puntamento dell'arma. I francesi invece replicarono con una serie di sesquiplani (un biplano in cui l'ala inferiore è più corta di quella superiore) che furono tra i caccia più usati da tutta l'intesa: i Nieuport 11 e i suoi successori 16 e 17, che iniziarono a essere schierati all'epoca della battaglia di Verdun.

Il celebre velivolo Caproni Ca 100, qui in versone idrovolante

 Il Nieuport 11 "Bébé" risolse il problema della mancanza del sincronizzatore con un'ala superiore più robusta, che quindi poteva sostenere una mitragliatrice senza problemi: in questo modo, i proiettili passavano tranquillamente al di sopra del disco dell'elica. La manovrabilità era molto migliore di quella degli Eindecker, in quanto questi dovevano incurvare l'intera ala per virare e rollare, mentre il Nieuport usava semplicemente degli alettoni. La configurazione a sesquiplano riduceva gli attriti e permetteva al Bébé di superare i 150 km/h, e di salire fino a 3000 metri in 15 minuti, metà del tempo dell'E.III . Il Nieuport 16 introdusse poi anche il sincronizzatore, mettendo fine al vantaggio tedesco.

 

La rincorsa  ovviamente non si fermò, da nessuno dei due lati. Gli Imperi Centrali introdussero la fortunata serie dei biplani Albatros, capaci di oltre 175 km/h, e su cui il Barone Rosso iniziò a costruire la propria leggenda; gli Albatros, invece che un motore rotativo, montavano dei motori in linea, ed erano dotati di un muso altamente aerodinamico. Per contrastare questa nuova supremazia tedesca, la neonata Royal Air Force britannica (Forza Aerea Regia), che aveva soppiantato il Roya Flying Corps, introdusse prima il Sopwith Pup, capace di salire a 5000 metri in 35 minuti, e che fu il primo aereo, pilotato dal comandante Edwin Dunning, ad atterrare a bordo di una nave, la portaerei HMS Furious – ricavata modificando un incrociatore da battaglia; e poi il Sopwith Camel, un aereo difficile da manovrare ma dalle caratteristiche di volo eccezionali, che abbatté più aerei nemici di qualunque altro aereo dell'Intesa. Dal Camel la Sopwith derivò anche uno dei primi aerei dedicati al supporto ravvicinato alle truppe, il Salamander. Quest'ultimo, un biplano dotato di un motore estremamente potente (un Bentley BR2 rotativo da 172 kW),  era in grado di raggiungere i 200 km/h in volo piano a bassa quota, da dove poteva scaricare 2000 colpi dalle sue mitragliatrici contro le truppe, senza preoccuparsi troppo del fuoco antiaereo, grazie a una corazza che proteggeva il pilota e il serbatoio del carburante. La sua controparte tedesca era il sesquiplano biposto Junkers J.I, il primo aereo con fusoliera interamente metallica a essere prodotto in serie. Era talmente massiccio, a causa della propria corazzatura, che i suoi equipaggi lo ribattezzarono "Möbelwagen" (carro dei traslochi). Pare che un solo J.I sia andato perso nel corso della guerra.

 

Il velivolo Farman

Fokker replicò con il Fokker Dreidecker I (Triplano Fokker I), l'aereo con cui von Richthofen ottenne le sue ultime 19 vittorie; la configurazione permetteva ai triplani una manovrabilità notevole, ma l'elevato carico sull'ala superiore, insieme a una scarsa qualità nella costruzione, portarono a vari incidenti. Il Dr.I fu così abbandonato, verso la fine della guerra, a favore di un più convenzionale biplano, il D.VII, che, con un motore in linea supercompresso, sfondò il muro dei 200 km/h – non a caso il trattato di Versailles impose specificamente alla Germania di consegnare alle potenze vincitrici tutti i D.VII . Il Siemens-Schuckert D.IV, derivato dal Nieuport 17 e considerato da alcuni il miglior caccia dell'intera guerra, arrivò troppo tardi per influenzarne l'esito, ma aveva prestazioni ormai incomparabili a quelle degli aerei di solo cinque anni prima: il suo motore rotativo a 11 cilindri lo spingeva a 190 km/h e fino a una quota massima di 8000 metri, che poteva raggiungere in meno di 20 minuti, mentre in solo 2 minuti era in grado di raggiungere i 1000.

 

Il Siemens-Schuckert D.IV

In soli quattro anni, dal 1914 al 1918, il panorama dell'aviazione era stato stravolto completamente. I dirigibili, che sembravano destinati ad essere i dominatori dell'aria, per stazza, carico, e autonomia, si rivelarono ordigni poco pratici, altamente vulnerabili e troppo costosi. Gli aeroplani avevano preso il sopravvento, passando in una sola decina d'anni da qualcosa di molto simile agli attuali ultraleggeri, e adatto perlopiù a dei funamboli, a macchine affidabili, veloci, robuste, e costruibili in grandi quantità. La varietà dei ruoli assunti da aerei specificamente disegnati (ricognitori, intercettori, caccia di scorta, bombardieri tattici, bombardieri strategici, aerosiluranti) e la capacità di farli decollare dai luoghi più disparati (dai campi di fango pochi chilometri dietro le trincee, alle strade e ai primi campi di volo preparati, fino alle portaerei e allo stesso mare) costrinse gli Stati Maggiori a ridisegnare le proprie strategie tenendo sempre conto delle possibilità e delle esigenze dell'aviazione, che in quasi tutti i Paesi divenne un'Arma autonoma e non più un reparto della Marina o dell'Esercito. Partendo spesso dalla passione di singoli ingegneri che lavoravano in modo semiartigianale, si affermarono nuove grandi industrie che lottarono tra loro per assicurarsi le ricche commesse militari e un accesso al futuro mercato del trasporto aereo.

 

E nessuno poté più immaginare un conflitto che non fosse combattuto anche nell'aria.

Il Galileo