La guerra dei muli e dei cani
dei cavalli e dei piccioni
di Irene Prunai
“Tutti abbiamo imparato a sopportare qualcosa; ma qui il sudore ci imperla la
fronte. Si vorrebbe alzarsi e fuggire, non importa dove, solo per non udire più
quei gridi. E dire che non sono uomini, ma soltanto poveri cavalli…” (Niente di
nuovo sul fronte occidentale, di Eric M. Remarque)
Animali massacrati in battaglia, morti per gli stenti o sacrificati dagli stessi
soldati affamati. Eroi sottomessi e fedeli compagni dei loro commilitoni umani.
Non possiamo non dedicare qualche minuto di attenzione a chi silenziosamente si
è sacrificato, sia esso uomo o bestia.
Fin dall’antichità l’uomo ha usato gli animali in guerra: Omero narra dei carri
trainati da cavalli durante l’assedio di Troia, Alessandro il Macedone affronta
i Persiani in groppa al suo mitico Bucefalo, Annibale valica le Alpi con ben 37
elefanti da guerra. E non dimenticare le oche sacre del Campidoglio che
scongiurarono l’assalto a Roma da parte dei Galli di Brenno. Non ci stupisce
quindi l’uso degli animali anche durante la prima guerra mondiale. Nonostante
l’impiego di armi sempre più sofisticate e trasporti motorizzati, l’uomo non
poté fare a meno degli animali mobilitandone probabilmente 16 milioni, i numeri
esatti non li sapremo mai. Di questi si stima fossero 11 milioni di equini,
100.000 cani e 200.000 piccioni; un vero e proprio “esercito” impiegato nelle
mansioni più diverse per sostenere le truppe di tutti gli eserciti. Cavalli,
buoi, cani, gatti, muli e piccioni, animali da lavoro, da cibo e da affezione in
guerra per trasportare armi, munizioni, equipaggiamenti ma anche liberando le
trincee dai ratti, ritrovando e soccorrendo i feriti o facendo giungere ordini e
comunicazioni da e per il fronte.
Ma alla guerra parteciparono anche animali insospettabili come elefanti e
cammelli usati nei fronti extraeuropei.
C’erano poi degli animali non esattamente desiderati dai soldati, come pidocchi,
zanzare e topi che infestavano le trincee infangate e gli ambienti malsani delle
retrovie.
Non dimentichiamo poi che gli animali furono la maggior fonte di alimentazione
per l’esercito. In quel periodo furono prodotte milioni di scatolette di carne
bovina e suina, mentre per la carne fresca i macelli requisiti e riservati alle
truppe funzionavano a pieno ritmo. Dove necessario i soldati divennero anche
cacciatori di selvaggina, rane e bisce d’acqua. Non dimentichiamo il caso del
capriolo conteso dagli alpini del Battaglione Belluno e gli Jäger tedeschi.
Finito nella terra di nessuno, l’animale fu conteso dai due gruppi. L’ebbero
vinta gli alpini che inoltre catturarono cinque tedeschi che cercavano di
catturare il capriolo. Si racconta però che gli alpini abbiano cavallerescamente
diviso il pranzetto con i prigionieri.
I cavalli sono gli animali che più siamo abituati ad associare alle azioni
militari. Sebbene in battaglia questo animale conobbe la sua ultima primavera
con Napoleone Bonaparte che lo impiegò in cariche travolgenti, durante la grande
guerra fu principalmente usato per il trasporto di munizioni, cannoni e altri
equipaggiamenti. È stato stimato che il peso medio che i cavalli trasportavano
fosse di circa 57 Kg. Tra il 1914 e
il 1918 quasi un milione di equini fu trasportato dal Nord America ai campi di
battaglia dell’Europa occidentale, una vera e propria leva equina. Dalle
testimonianze fotografiche sappiamo che in molti casi i cavalli venivano muniti
di rudimentali maschere antigas. L’uso dei gas nervini era infatti mirato anche
e soprattutto alle povere bestie per indebolire maggiormente il nemico. Fu
questo il motivo per cui vennero creati dei corpi veterinari sempre più
efficienti.
Sul fronte italiano la Grande Guerra è indissolubilmente legata alla figura del
mulo. Instancabile compagno di cordata degli alpini, portava sul proprio dorso
molto più peso del cavallo. Muso basso e sempre avanti, tanti furono i muli
mandati al macello insieme ai loro compagni, tanto da risultare quasi estinti in
alcune parti d’Italia alla fine del conflitto. Un animale dotato di una
particolare sensibilità in grado di percepire il pericolo e la sofferenza umana.
Ce lo ricorda Giulio Bedeschi, ufficiale medico alpino e autore di “Centomila
gavette di ghiaccio” sulla campagna di Grecia e Russia (II Guerra Mondiale):
“Una volta, un conducente rimase ferito da una scheggia che gli fratturò una
gamba e io, che ero ufficiale medico, tentai di prestargli qualche cura, quando
a un certo punto il suo mulo gli si avvicinò e infilò il muso tra la terra e la
nuca del ferito, in modo da sostenerlo, riscaldarlo, confortarlo. Una scena che
non dimenticherò mai”.
Nelle trincee trovò posto anche il miglior amico dell’uomo: il cane.
Il cane soldato più famoso è indubbiamente Sergeant Stubby, la mascotte
ufficiale del 102nd Infantry
Regiment. È il cane da guerra più decorato e caduto prigioniero dei tedeschi.
L’unico a essere stato promosso al rango di sergente per aver salvato il suo
reggimento da una serie di attacchi con gas asfissiante.
Moltissimi furono invece i cani usati
per il trasporto di munizioni per i sentieri più impervi o per srotolare i cavi
necessari per le postazioni telegrafiche. Sull’Adamello, insieme ai muli, i cani
furono equipaggiati con slitte e carretti arrivando a trainare anche pezzi di
artiglieria di piccolo calibro. Ma il cane in questo periodo è importante
soprattutto per le missioni di ricerca e soccorso dei feriti, di quanti cadevano
nei crepacci o venivano travolti dalle valanghe.
E se parliamo di cani e grande guerra non possiamo non ricordare Rin Tin Tin. La
storia della star del cinema comincia in Lorena, dove un soldato americano trovò
un cucciolo di pastore tedesco e convinse e sui superiori a tenerlo.
Un altro celebre cane impiegato in guerra
Non meno importanti durante la guerra furono i piccioni.
Non troveremo la storia di Mocker e Cher Ami sui testi di storia, ma una storia
che non documenta l’uso di questi animali è una storia incompleta.
Mocker, letteralmente il beffardo, fu arruolato nell’esercito americano con il
compito di portaordini. Durante la sua 52° missione perse un occhio e parte del
cranio. Curato e ristabilito tornò in patria come un eroe. Non da meno fu Cher
Ami, operativo in Francia, aiutò a salvare il “Battaglione Perduto” della 77°
divisione durante la battaglia delle Ardenne.
L’uso del piccione come messaggero è noto fin dall’antichità. Alcune tavolette
sumere di 5000 anni fa ci suggeriscono l’impiego di questo animale e ulteriori
testimonianze ritrovate su papiri egizi ci raccontano del suo addomesticamento.
Purtroppo però non siamo in grado di stabilire con esattezza quando l’uomo abbia
iniziato ad usare il piccione per portare messaggi.
Nella storia del Novecento fu l’esercito italiano il primo a dimostrarne la
grande utilità facendone largo uso durante la guerra libica contro la Turchia.
Nei primi anni della Prima Guerra Mondiale quasi tutti gli eserciti, pur facendo
uso dei più moderni sistemi di comunicazione, preferirono affidare ai piccioni
le comunicazioni in caso di piazzeforti sotto assedio.
L’esercito italiano disponeva di una fitta rete di colombaie fisse e mobili in
modo da assicurare una continua comunicazione tra la prima linea e le retrovie.
Le colombaie fisse in realtà erano semplici fienili o torri adattati allo scopo.
Quelle mobili invece erano speciali carri o rimorchi adatti a contenere un
centinaio di volatili.
In questo campo fu però l’esercito tedesco a fare un notevole passo in avanti
impiegando i volatili come ricognitori fotografici. Sfruttando un brevetto del
1908 di un farmacista tedesco, Julius Neubronner, che si serviva dei piccioni
per inviare piccole confezioni di medicinali. Fu lo stesso farmacista che ebbe
l’idea di costruire piccole fotocamere dotate di una speciale imbracatura.
Quando l’esercito tedesco comprò l’invenzione di Neubronner la prima guerra
mondiale stava scoppiando. I piccioni furono subito spediti per svolgere diverse
missioni, ottenendo tra l’altro buoni risultati. Tra le operazioni compiute con
maggior successo ricordiamo la battaglia di Verdun e quella della Somme. Tutto
ciò portò inevitabilmente anche all’addestramento e all’uso di falchi come
contraerea per intercettare i piccioni dell’esercito nemico.