E dopo la guerra… la Spagnola

L’influenza che fece più vittime della guerra

 

di Luisa Monini

 

Nel 1918 un'epidemia di influenza - soprannominata "spagnola" - cominciò a diffondersi in tutto il mondo e nel giro di pochi anni contagiò circa un miliardo di persone, uccidendone tra i 21e i 25 milioni. Alcuni autori sostengono che le vittime furono 40 milioni. L'epidemia fu chiamata “spagnola” perché la Spagna era uno dei pochi paesi europei all’ epoca non coinvolto nel conflitto bellico e dunque era senza censura militare. La prima ondata epidemica iniziò nel marzo del 1918 negli Stati Uniti; alla Ford Motor Company più di mille operai contrassero l'influenza, ma la mortalità non fu degna di rilievo.

Sempre nei primi giorni di marzo, l'influenza arrivò nel Kansas, a Camp Funston, una base di addestramento che ospitava 20.000 reclute.

In aprile e maggio, nel carcere di San Quintino 500 su 1.900 detenuti

Immagine al microscopio elettronico del virus dell'influenza A sottotipo H1N1

 

 

si ammalarono. Nello stesso mese di aprile l'influenza colpì oltre una dozzina di altre basi militari. Ad aprile l'epidemia fu segnalata in Francia, con il contagio delle truppe franco-britanniche e della popolazione civile; in giugno furono invase l'Inghilterra e l'Italia, ma contemporaneamente erano colpite, in oriente, Cina e Giappone. Questa prima ondata ad alta morbilità costrinse decine di migliaia di militari al letto. Anche le truppe austro-tedesche vennero contagiate, tanto da bloccare gli sforzi bellici messi in atto per concludere vittoriosamente la guerra. Tra i soldati austriaci la morbilità fu quasi tripla rispetto ai soldati italiani. Questa differenza fu attribuita principalmente al fatto che i militari dell'Impero Austro-Ungarico erano impegnati su diversi fronti quindi esposti a più fonti di contagio. In Italia, la Spagnola esordì con una prima ondata nella tarda primavera del '18 ed ebbe caratteristiche benigne, la seconda si manifestò nell'autunno, infine la terza ondata iniziò nel dicembre e si protrasse durante l'inverno del 1919. Una grave epidemia di grippe colpì a metà agosto la 62°Fanteria dell'Esercito italiano, presso il campo d'istruzione di Celestano (Parma). In pochi giorni, su 1.600 uomini, 500 avevano marcato visita e 13 erano già morti. La causa dei decessi era attribuibile in tutti i casi a complicazioni dell'apparato respiratorio (broncopolmoniti o pleuropolmoniti). Si era sgomenti perché non si riusciva a capire perché quella malattia colpiva prevalentemente giovani in buona salute risparmiando vecchi e malati. Il mondo scientifico italiano era diviso: da una parte la Direzione Generale di Sanità accettava l'ipotesi batterica (Hemophilus influenzae) di Pfeiffer, dall'altra un gruppo di ricercatori sosteneva che la causa dell'epidemia fosse un virus, attribuendo al massimo al batterio la responsabilità delle manifestazioni secondarie. Il 17 settembre 1918 la “spagnola” fa il suo ingresso nell’ospedale di Pisa, con il primo decesso di un giovane di 18 anni inviato dalla Clinica Medica. Il referto autoptico confermò la diagnosi: ”broncopolmonite confluente emorragica”.

 Secondo studi recenti condotti da Michael Worobey, biologo della University of Arizona di Tucson e pubblicato sulla rivista americana PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) i giovani erano particolarmente vulnerabili alla spagnola perché da bambini non erano stati esposti a un tipo di influenza simile. I vari ceppi del virus dell'influenza si distinguono secondo le caratteristiche di due proteine: l'emoagglutinina (in sigla H) e la neuramidasi (N). Worobey e i suoi colleghi hanno ricostruito la storia evolutiva dei ceppi dominanti a partire dal 1830, scoprendo che nel 1889 c'era stata un'epidemia - la cosiddetta "influenza russa" - dovuta a virus di ceppo H3N8. Il virus della spagnola - composto da geni provenienti da un ceppo di influenza umana "mescolati" a geni dell'influenza aviaria - era invece di tipo H1N1: chi dunque era nato dopo il 1889 non aveva sviluppato difese immunitarie adatte a combatterlo. Dopo il 1900, invece, si era diffuso un altro virus del tipo H1, più simile a quello del 1918: ecco perché anche i ragazzi sotto i 18 anni furono relativamente meno colpiti dalla spagnola. Insomma i giovani tra i 18 e i 29 anni si ritrovarono in una "finestra di vulnerabilità" che li rese vittime ideali. Certo è che a uccidere gran parte delle vittime della spagnola non fu l'influenza vera e propria, ma un'infezione polmonare secondaria, di origine batterica, che oggi sarebbe curabile con gli antibiotici.

 

Seattle, 1918. Il manovratore di un tram non accetta a bordo passeggeri sprovvisti di maschera

Allora la terapia medica messa a punto per curare l’influenza era composta da pochi farmaci somministrati per via orale o ipodermica: dal salicilato di sodio grammi dieci al Magistero di bismuto grammi uno unite a pillole di iodoformio e chinina. Spesso a questi farmaci si associava olio di ricino. La dieta doveva essere “tenue e liquida”.

Evangeline Whipple (foto a destra), moglie del sacerdote protestante americano Henry Whipple, il 28 ottobre 1918 così scriveva al reverendo Charles Lewis Slattery di N.Y.:

“C'è un villaggio in questo Comune (Bagni di Lucca) a circa dieci miglia dalla valle da cui devi salire a piedi per un'ora e mezzo prima di raggiungere questo selvaggio nido d'aquile che si aggrappa alla montagna: è un villaggio medievale attaccato alle rovine di un antico castello. [...] La maggior parte degli uomini, in età da combattere, è al fronte. Ma questi portano la febbre spagnola, nella sua forma più virulenta in questo remoto posto, nei loro dieci giorni di licenza. [...]Udendo che la gente moriva in ogni casa, io  decisi di conoscere la realtà e così domenica mattina presto ho scalato la montagna per trovare quello che per metà non mi era stato detto..[...] In ogni casa giacevano ammalati e morti. Da una finestra si udì una voce cupa: -Signora, tre dei miei familiari sono morti, qui sul pavimento, e cinque sono malati a letto -Un così grande dolore veniva raccontato in tal modo da ogni casa. Da uno a quattro morti giacevano in quasi tutte le case e la gente era troppo debole per rimuoverli. Tuttavia trentacinque cadaveri erano stati portati al Campo Santo [...] Ogni secondo è prezioso, l'aria puzza di morte ed io non ho mai sognato un tale incubo di orrore. Quando entrai nel villaggio e dissi che sarebbero stati mandati degli aiuti per loro, prima di notte, due povere larve strisciarono verso la chiesa e cominciarono a suonare le campane in segno di ringraziamento [...]

E pensare che alcuni dei più valorosi soldati alpini provengono da questi paesi.

Il Galileo