La guerra che cambiò

la geografia dell’Europa

 

 

di Magali Prunai

 

 

 Il teatro del primo anno di guerra

“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio”.

Il 23 maggio 1915 il giovanissimo regno d’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria, schierandosi con le potenze della Triplice intesa (che comprendeva l’impero britannico, la terza repubblica francese e l’impero russo), entrando ufficialmente in quella che poi prese il nome di prima guerra mondiale.

“L’esercito marciava per raggiunger la frontiera per far contro il nemico una barriera!”

Il 24 maggio l’esercito italiano partì per quella che molti storici hanno definito come la nostra quarta guerra d’indipendenza. Conclusa la prima guerra mondiale, infatti, i confini del regno si ampliarono, annettendo porzioni di territorio che erano ancora in mano all’impero Asburgico.

“Muti passaron quella notte i fanti, tacere bisognava andare avanti. S’udiva intanto dalle amate sponde sommesso e lieve il tripudiar de l’ onde. Era un presagio dolce e lusinghiero. Il Piave mormorò: non passa lo straniero!”

Fra l’ottobre e il novembre del 1918 l’Austria-Ungheria venne sconfitta definitivamente dopo la battaglia di Vittorio Veneto, in seguito alla quale chiese un armistizio.  Il primo incontro fra vincitori e vinti avvenne nei pressi di Padova, a villa Giusti, dove subito venne chiarito che le vere decisioni sarebbero state prese in un altro momento, a Versailles, dove si stabilì si sarebbe tenuta la conferenza di pace.

 

L’Italia, un po’ per precauzione, un po’ per avere una posizione migliore al tavolo delle trattative, fece avanzare il più possibile il suo esercito occupando, così come era stabilito dal Trattato di Londra, il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia-Giulia, l’Istria e la Dalmazia. Ma al momento della conferenza di Versailles le cose non andarono come ci si aspettava. Fra i maggiori oppositori nel disegnare nuovi confini italiani c’era il presidente USA, Wilson, il quale, ignorando completamente l’esistenza del Trattato di Londra, sostenne che le frontiere andassero costituite tenendo conto delle rispettive linee di nazionalità e, dichiarò, “i popoli e le province non devono più essere barattati dai governi come un gregge o usati come pedine di un gioco di scacchi.” Gli Stati Uniti si opposero a tramutare in italiani milioni di slavi e, per protesta, l’Italia abbandonò i tavoli delle trattative assentandosi al momento della spartizione delle colonie tedesche in Africa, delle quali non riuscì ad averne nessuna.

Nel 1919 l’Italia, attraverso il Trattato di Saint Germain, ottenne dall’Austria il Trentino e l’Alto Adige, spostando i confini fino al Brennero. Con il Trattato di Rapallo, del 1920, l’Italia riuscì a porre termine alla disputa sul confine con i territori slavi ottenendo l’Istria e la città di Zara. Mentre la città di Fiume divenne italiana solo nel 1924, con il Trattato di Roma. Non aveva avuto successo l’iniziativa di Gabriele D’Annunzio, del 12 settembre 1919, che, alla testa di un gruppo di 2.600 legionari, occupò la città e ne proclamò l’annessione al Regno d’Italia. Il governo di Roma rifiutò lo stato di fatto ed invitò D’Annunzio a recedere dal suo tentativo, cingendo poi d’assedio la città.

La nuova geografia europea al termine della guerra

Nel 1922, dopo la marcia su Roma, il fascismo prese il potere in Italia e le condizioni dei nuovi confini non cambiò. Il processo di italianizzazione dei nuovi popoli venne portato avanti con una politica cieca e impietosa, tanto da far nascere un tale odio anti italiano che potrà spiegare, ma non giustificare, le drammatiche ritorsioni dopo la seconda guerra mondiale.

Nell’ Alto Adige l’italiano divenne l’unica lingua ammessa in pubblico, i nomi e i cognomi tradotti così come i nomi delle città e dei paesi. L’odio viscerale che ne conseguì nei confronti del fascismo era, più che altro, un odio anti italiano. Infatti non produsse un’adesione di massa alle forze di liberazione, ma molti si lasciarono abbindolare dalle parole di Hitler che prometteva una nuova patria, nuove case e nuove terre a tutti gli “orfani” dell’Impero Asburgico che decidevano di abbandonare il regno d’Italia per entrare a far parte del Reich.

Diverso, invece, il caso dei popoli slavi. In Istria il censimento del 1921 indicò nella regione una maggioranza di popolazione di cultura italiana. Una maggioranza che, di conseguenza, non si oppose minimamente al processo di italianizzazione avviato dal fascismo nel 1922. Maggiori problemi si ebbero nel ’43, dopo l’armistizio. L’Istria venne invasa dalle forze tedesche e la comunità italiana si ritrovò in balia dei nazisti, da un lato, e dei partigiani slavi comandati da Tito, dall’altro. Nel 1945, grazie anche all’intervento della resistenza italiana, l’Istria venne liberata dalle forze di occupazione tedesche. Iniziò, così, un periodo di espropri e oppressioni ai danni della popolazione italiana che fu costretta a emigrare in massa. Nel 1947 l’Istria venne assegnata alla Jugoslavia, ad eccezione di due comuni che vennero incorporati nella zona A del territorio libero di Trieste (un territorio neutrale che andava dalla città di Trieste fino all’Istria). L’Istria era la zona B. Nel 1954 il territorio libero di Trieste venne dissolto, la città tornò a tutti gli effetti italiana mentre la zona B rimase alla Jugoslavia.

La provincia di Zara fu istituita nel 1920. Anche in questa zona la presenza italiana era considerevole, ma questo non impedì comunque l’occupazione da parte della Wermacht nel ’43 e dei partigiani di Tito nel ’44. La città divenne ufficialmente parte della Jugoslavia nel 1947, costringendo tutti i residenti di origine italiana a dover fuggire in fretta e furia. L’apice della rivolta si ebbe nel 1953 quando tutte le scuole italiane vennero chiuse.

Anche la provincia di Fiume, o del Carnaro, divenuta italiana nel 1924, venne occupata dalle forze slave nel ’45 e nel 1947 entrò a far parte della Jugoslavia. Anche in questa regione le ritorsioni nei confronti degli italiani furono spietate.

I confini dell'Italia dopo la quarta guerra d'indipendenza

 

Alla fine della seconda guerra mondiale, dunque, i confini della giovane Repubblica italiana sono ben diversi da quelli scaturiti dalla “quarta guerra d’indipendenza”. Se nel ’18 il regno d’Italia riuscì, contro il parere degli Stati Uniti, ad annettere una parte delle popolazioni slave, nel ’45 il progetto iniziale di alcune potenze di 27 anni prima di impedire tale annessione si realizzò in pieno.

“Si vide il Piave rigonfiar le sponde e come i fanti combattevan l' onde. Rosso del sangue del nemico altero, il Piave comandò: Indietro va', straniero! Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento e la Vittoria sciolse l'ali al vento! Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti risorgere Oberdan, Sauro e Battisti! Infranse alfin l'italico valore le forche e l'armi dell'Impiccatore! Sicure l'Alpi, libere le sponde, e tacque il Piave, si placaron l' onde. Sul patrio suol vinti i torvi Imperi, la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!”

Il Galileo