di Renata Palma
Questo articolo vuole rendere omaggio a tutte quelle migliaia di donne, che a
tutti i livelli, con diverso
impegno
e in diversi paesi hanno saputo affrontare la dura realtà di una guerra così
devastante da cambiare radicalmente usi e costumi dei popoli.
Sessantasei milioni di uomini
sono chiamati alle armi e spediti al fronte.
Finiscono in questa rete
anche giovani pressoché adolescenti,
passati alla storia come i Ragazzi del 99. A casa e nelle aziende restano
solo vecchi, bambini e donne. Queste ultime se vogliono sopravvivere devono
mettere da parte i tabù e in poco tempo adattarsi ad una nuova condizione.
Devono rimboccarsi le maniche e prendere posto in quelle attività rimaste
scoperte per far sopravvivere l’economia e per poter garantire gli
approvvigionamenti alimentari e industriali.
Per anni l’economia dei paesi europei è stata messa in seria difficoltà, come
racconta Sergio Tazzer nel suo libro “La Grande Guerra Grande Fame”. La
produzione non riesce a soddisfare la domanda, i prezzi aumentano, il potere
d’acquisto crolla. Senza l’impegno delle donne la situazione avrebbe potuto
avere risvolti ancor più gravi. Le industrie, trasformate per il conflitto,
devono soprattutto produrre materiale bellico e i pochi uomini rimasti a casa
certo non possono far fronte alle richieste imponenti della guerra. Le donne
cominciano a prendere consapevolezza di una nuova dimensione. Di un loro nuovo
ruolo sociale.
Bisceglie, Masseria Rondinelle 4 ago 1918
In poco tempo, investite di ruoli e responsabilità nuove, diventano
un’importante forza lavoro. Una forza sociale che mal si adatta ormai alle
regole imposte da ataviche coercizioni. Le donne fino a quel
momento, soprattutto in Italia e nei paesi latini in generale, dovevano sempre
sottostare al padre e poi al marito. Nei primi del 900 ancora non hanno diritto
di voto e di espressione, ma nemmeno possono ricoprire ruoli di comando. Non
hanno accesso al credito, non possono lavorare nelle fabbriche, non possono
avere una vita economica autonoma, non possono essere capitane d’azienda.
Debbono in sostanza vivere di luce riflessa. In alcune aree rurali italiane non
possono nemmeno andare a messa se non accompagnate. Il lavoro fuori casa per le
donne, soprattutto in Italia, prima della guerra rappresenta
una minaccia all’integrità
della famiglia e delle donne stesse.
Fuori casa lavorano le prostitute…
D’improvviso si ribalta la storia.
Non è più solo il matrimonio, per diritto, ad essere l’unica via per
l’emancipazione.
Si
spalancano le porte delle fabbriche, le aziende aprono i battenti e le donne vi
si riversano a frotte, la situazione è analoga in tutti i paesi impegnati nel
conflitto. Cambia di conseguenza anche l’abbigliamento delle donne che si
trovano a dover svolgere mansioni fino a quel momento solo ed esclusivamente
maschili. Per esigenze di praticità
via gli abiti frivoli per lasciare spazio ad altri sobri e rigorosi, via i
tessuti elaborati, via i tacchi alti, via le gonne lunghe, via i corpetti
aderenti… al loro posto arrivano gonne più larghe sopra la caviglia o
addirittura al polpaccio (fino ad allora mostrare la caviglia era scandaloso)
per un passo più agile, i tessuti utilizzati sono solo il cotone e la lana
grezzi rigorosamente grigi o neri per camuffare lo sporco,
i bustini diventano camiciole con maniche larghe per movimenti più liberi
del busto e delle braccia. Anche per coloro che trovano impiego negli uffici
l’abbigliamento non è molto diverso, fatto salvo per il cappello che continua ad
essere molto utilizzato per chi svolge lavori sedentari. Il cappello è un segno
di distinzione di classe. Le contadine infatti indossano il fazzoletto per
coprire il capo. Un’usanza che nel nostro paese è rimasta per molto tempo ancora
fino praticamente agli inizi degli anni ’70.
Molte donne offrono il loro aiuto come crocerossine, soprattutto tra le classi
più agiate e aristocratiche e altre addirittura entrano nelle forze armate,
seppure in alcuni paesi camuffate da uomini.
Hemingway ed alcune crocerossine americane
Altre lavoratrici, studiose, si formarono proprio negli anni della prima guerra
mondiale. E’ l’esempio della turca
Sabiha Gokçen, la prima donna pilota da combattimento nel mondo e la prima
aviatrice, alla quale oggi è intestato il secondo aeroporto internazionale di
Istanbul, sul lato asiatico, che intraprese gli studi durante la prima guerra
mondiale per poi diventare una stella del cielo durante il successivo conflitto.
Fra operaie, impiegate, contadine, insegnanti e scienziate non esistono più
grandi divisioni di classe, anche se in quegli anni le stratificazioni sociali
erano molto evidenti. Tutte lavorano per una causa comune e ben coscienti che è
dalla loro unione che possono sortire aiuti per le realtà territoriali in cui
vivono e per la nazione. A questo impegno così importante però non corrisponde
adeguata considerazione. Le donne percepiscono un salario inferiore a quello
degli uomini, non hanno le stesse garanzie contrattuali, continuano a non avere
accesso al credito nemmeno quelle che hanno assunto la direzione di una azienda
agricola o di una artigianale. (Nella foto a sinistra,
la serba Sofija Jovanovic eroina di guerra
Solo l’uomo è una garanzia, anche
se vecchio.
Per
le scienziate poi le difficoltà si sommano. L’accesso alle facoltà universitarie
è in massima parte precluso alle giovani ragazze, anche se promettenti, salvo
rare eccezioni. Molte che poi hanno lasciato il segno per gli importanti
risultati raggiunti, sono costrette a studiare in luoghi angusti, ad esercitarsi
in laboratori improvvisati. Dalla fisica alla matematica, dalla chimica alla
medicina ed alla biologia troviamo
donne coraggiose, determinate
benché senza diritti per la loro
appartenenza di genere hanno reso illustri i loro paesi e più grande l’umanità
intera. Marie Curie laureata in
fisica e in matematica, insignita di ben due premi Nobel prima ancora dello
scoppio delle ostilità, durante la
guerra mette al servizio della Francia le sue conoscenze e organizza un servizio
radiologico per l’esercito e sostiene l’uso delle unità mobili di radiografia
come mezzo di diagnosi per i soldati feriti. Elise Meitner, laureata in fisica,
matematica e filosofia, passata alla storia come la scopritrice del fenomeno che
ancora oggi chiamiamo fissione nucleare, durante la guerra, a Berlino, è
costretta a lavorare e studiare in uno scantinato e portare alla luce il torio C
e il protoattinio.
Gerty Theresa Radnitz, supera l’ostacolo del divieto all’ingresso all’università
e poco prima dello scoppio della guerra si iscrive a medicina. E’ in quegli anni
terribili che completa gli studi e successivamente si dedica ad approfondire il
metabolismo del glucosio. Con il
marito scopre il
glucosio-l-fosfato, un prodotto intermedio della decomposizione di glicogeno,
che in loro onore fu denominato “Coriestere”.e che battezzato poi “il ciclo di
Cori” nome del marito, alla fine del secondo conflitto mondiale, le vale il
Nobel per la medicina. Amalie Emmy
Noether, si laurea in matematica prima della guerra, superando le restrizioni
per le donne
poiché aveva il papà professore di matematica all’università di Erlangen, ma non
le è consentito di insegnare perché donna così decide di essere utile nelle
scuole elementari rimaste sguarnite. Solo molto tempo dopo la seconda guerra
mondiale, per via delle leggi razziali perché ebrea, troverà la sua strada
accademica. Scrive di lei Einstein: “Nel giudizio dei più competenti matematici
viventi, la signora Noether era il genio creativo più notevole emerso da quando
è stata resa possibile l’educazione superiore per le donne”. Henrietta Swan
Leavitt, americana con gravi
problemi personali (era sorda) e familiari, nel 1893 comincia a lavorare presso
l’Osservatorio di Harvard come donna computer, a 25 cents l'ora, con il compito
di misurare e catalogare la luminosità delle stelle fotografate dai telescopi.
Un lavoro di catalogazione, non poteva aspirare di più. E’ la sua occupazione
per tutta la durata della guerra. Ma le sue osservazioni la portano lontano e
praticamente da autodidatta scopre che le Cefeidi sono degli indicatori di
distanza nell’universo, risolvendo
il problema di definire l’appartenenza o meno delle varie galassie alla Via
Lattea. Alla fine del conflitto è promossa capo-sezione dell’Osservatorio con
responsabilità nell’ambito della fotometria astronomica. A lei sono oggi
dedicati un asteroide, 5383 Leavitt, e un cratere lunare.
Maria Bakunin, durante la prima guerra
mondiale, da poco laureata, dirige la miniera di ittiolo di Giffoni Valle Piana,
Salerno, esegue le prime estrazioni e approfondisce la preparazione chimica di
quella che definisce la “pietra nera foriera di fuoco e di energia”. In miniera
si trovano a lavorare solo donne, prima contadine, e bambini reclutati dalle
frazioni rurali vicine. La produzione dell’ittiolo durante la guerra ha una sua
importanza rilevante perché è un unguento con elevate
proprietà antisettiche, cicatrizzanti e anti-irritanti. Molto impiegato
negli ospedali da campo per bloccare le ferite e negli interventi chirurgici. E’
ottenuto dalla distillazione di scisti bituminosi ricchi di resti di
pesci e di altri animali marini fossili.
(Sopra a destra: una postina a Vienna)
Enrica Calabresi si laurea in zoologia poco prima della guerra e ottiene subito
l’incarico di assistente presso il Gabinetto di zoologia e anatomia comparata
dei vertebrati. Con la guerra perderà il fidanzato, medaglia d’argento al valore
militare. Per il dolore decide di essere d’aiuto per la causa e si arruola come
crocerossina negli ospedali da campo dove resterà per tutta la durata della
guerra.
Eva Giuliana Mameli, sarda, madre di Italo Calvino, dopo il diploma e la morte
del padre, si trasferisce a Pavia, come assistente e libero docente di chimica
organica. Frequenta il Laboratorio
crittogamico di Giovanni Briosi, laboratorio
che si occupa di piante “inferiori” come muschi e alghe che si sono rivelati di
massima importanza per gli studi di fisiologia, patologia ed ecologia vegetale.
La passione per questa disciplina la convince a
proseguire le sue ricerche come assistente volontaria anche dopo la
laurea in scienze naturali. Ottiene
nel 1910 l’abilitazione per la docenza in scienze naturali per le scuole
normali. Nel 1915 diventa la prima donna docente in Italia. Durante gli anni
della prima guerra mondiale si attiva anche lei come crocerossina e viene
decorata con la medaglia d’argento della Croce Rossa e quella di bronzo del
Ministero dell’Interno.
Donne in coda a Vienna per il pane e le patate
*Le immagini contenute in questo articolo sono dell'archivio storico di
proprietà del giornalista Sergio Tazzer, Presidente del CEDOS (Centro di
Documentazione Storica sulla Grande Guerra) di San Polo di Piave, provincia di
Treviso.