Orazione civile per la Resistenza
Recensione di Giuseppe Prunai
Daniele Biacchessi: “Orazione civile per la Resistenza”, Corvino Meda Editore,
pp 270, € 14
Il
titolo è degno di un’orazione di Lisia o di Demostene, il testo è una
radiocronaca degli avvenimenti succedutisi tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile
1945 ed oltre. Non per niente, Biacchessi è un giornalista di radio,
vice-caporedattore di Radio24-Il sole24ore. Nel libro sono pubblicate interviste
a Tina Anselmi, Giorgio Bocca, Vittorio Bocchetta, Gianfranco Maris, Carlo
Smuraglia, Libero Traversa, Giuliano Vassalli.
In apertura, Biacchessi puntualizza che la Resistenza non è stata guerra
civile, come pretendono alcuni politici di destra ed alcuni storici, come Renzo
De Felice, bensì una guerra di liberazione contro la dittatura fascista e
l’occupazione tedesca. E polemizza con Giampaolo Pansa che in più libri (sarebbe
interessante sapere se e da chi sono stati commissionati) si sofferma su alcuni
eccessi commessi dopo la liberazione da un’esigua minoranza di partigiani, ma
tace e non analizza sul come si arriva a determinati omicidi, sulle violenze dei
nazisti e dei fascisti, sulle stragi, gli eccidi, le distruzioni sui quali, del
resto, dopo la guerra calò un incomprensibile silenzio istituzionale. Ne è una
prova il cosiddetto “armadio della vergogna” dove rimasero occultati fino al
1994 i fascicoli sulle 2.274 stragi nazifasciste contro civili.
“Pansa – scrive Biacchessi – non menziona le trattative segrete dei nazisti con
gli alleati sul finire della seconda guerra mondiale, l’arruolamento di
criminali nazisti nei servizi segreti americani nell’immediato dopoguerra in
funzione anticomunista, neppure l’amnistia del guardasigilli Palmiro Togliatti
del 22 luglio 1946 che azzera i crimini compiuti dai repubblichini”. E si
chiede: “Perché nulla di tutto
questo si trova nei libri dei nuovi revisionisti?
Perché si punta il dito unicamente sugli omicidi degli ex partigiani?” E
Biacchessi espone il bilancio, di fonti ufficiali, della Resistenza:
“Almeno 45mila partigiani civili italiani morti in combattimento o fucilati dopo
atroci tortura;
22mila mutilati e invalidi;
45mila soldati uccisi in azione, quelli che dopo il 3 settembre 1943, a seguito
del breve armistizio di Cassibile, decidono di schierarsi contro i nazifascisti
(34mila nell’esercito, 9mila in marina, 2mila nell’aviazione);
20mila soldati morti nei combattimenti poco dopo l’armistizio, 13.400 nei
trasporti in mare;
10mila militari assassinati nei Balcani;
9.500 soldati e 390 ufficiali della 33° divisione Fanteria Acqui del generale
Antonio Gandin, impegnata a Cefalonia, Corfù e Zante, annientata dai nazisti;
650mila soldati rinchiusi nei lager per essersi rifiutati di aderire alla
Repubblica Social Italiana, 40mila sterminati come altri 36mila civili;
15mila tra civili, partigiani, simpatizzanti della Resistenza, trucidati nelle
2.274 stragi naziste e repubblichine avvenute in Italia”.
Il catalogo è questo. E’ il dato di partenza. Il resto è la storia della nascita
della Repubblica Italiana.
Parola di scienziato,
un libro attuale sulla comunicazione scientifica
recensione di Renata Palma
E' uscito "Parola di scienziato", edito da Universitalia e curato da Francesca
Dragotto, ricercatrice e
professoressa
aggregata nel settore Glottologia e Linguistica presso l’Università di “Tor
Vergata”, e da Marco Ferrazzoli, Capo Ufficio stampa del Consiglio Nazionale
delle Ricerche e docente di Teoria e tecniche della conoscenza all’Università di
Roma “Tor Vergata”.
In 308 pagine si passa dalle teorie e tecnica della divulgazione della scienza
alla comunicazione scientifica, pegno ineludibile all’esistenza sociale della
scienza? Passando da vaccini sì, vaccini no?
alle ossessioni alimentari del nuovo millennio, alle questioni della
sperimentazione animale, alla gestione del rischio, ai risultati eccelsi come il
Bosone di Higgs, ai cambiamenti climatici, all'omeopatia, al caso stamina, per
finire con l'interrogativo: della scienza ci si può fidare? Scrivono gli autori:
"Sempre più spesso la cronaca riporta polemiche anche roventi che investono
aspetti scientifici, e non di rado si registrano interventi delle istituzioni
politiche e della magistratura, come nei casi del terremoto dell'Aquila o di
Stamina. Come mai, almeno nel nostro Paese, è così difficile giungere a una
conoscenza scientifica diffusa e condivisa? E come mai, per converso, è così
facile che tesi prive di qualunque attendibilità trovino credito? Che ruolo
hanno i mass media in questi processi? Se un tempo medico, farmacista e
insegnante rappresentavano autorità verso cui i semplici cittadini tendevano a
mantenere un atteggiamento deferente fino alla sottomissione, oggi impera un
pensiero critico che sconfina in una sorta di equivalenza delle opinioni, per la
quale tutti ci riteniamo non solo legittimati, ma anche titolati a esprimere la
nostra idea su qualunque argomento. La competenza non è più considerata un
valore. Un atteggiamento rischioso, da cui si può uscire solo affermando una
consapevolezza del ruolo fondamentale che la ricerca e la tecnologia rivestono
per il nostro sviluppo culturale, ma anche sociale ed economico".
In particolare in capitolo sui cambiamenti climatici è stato curato dal
socio Renato Sartini che ha in sostanza sottolineato che Il dibattito sul Global
Warming rientra tra i grandi temi scientifici dell'ultimo decennio,
coinvolgendo, in un confronto spesso rovente, i mass media, la politica, le
associazioni ambientaliste, gli industriali e la comunità scientifica. Autori e
attori, tutti, di quella sceneggiatura collettiva chiamata comunicazione del
cambiamento climatico alla base della rappresentazione pubblica del climate
change, fatta di parti scritte e interpretate con interessi e scopi diversi,
spesso contrastanti.
Nel capitolo si parla: della difficoltà da parte degli “spettatori” di crearsi
un frame interpretativo necessario a comprendere i termini della questione;
dello scorretto utilizzo nella narrazione mediatica della tecnica del balance
treatment, cioè dell'applicazione della par condicio alle molteplici voci o
“campane” coinvolte; dell'importanza delle fonti per una corretta comunicazione;
della resilienza ingenerata nei cittadini dal marasma di messaggi di segno
opposto; del nuovo paradigma comunicativo incentrato. Un libro da non perdere
sia per stimolare un confronto tra esperti del giornalismo scientifico, sia per
alimentare una riflessione su quanti a torto o a ragione sono impegnati sul
fronte delle decisioni politiche
Per Aldo Cairola
Recensione di Giuseppe Prunai
Senza
eccessiva eco mediatica, nelle settimane scorse è stato presentato a Siena,
nella Sala delle Lupe del
Palazzo
Comunale, il libro “Per Aldo Cairola”, a cura di Felicia Rotundo (edizioni
effegi).
Aldo
Cairola, critico d’arte, docente di storia dell’arte in più licei (compreso il
classico Piccolomini, di Siena) e in università, direttore del Museo Civico
della sua città, presidente della Biblioteca senese degli Intronati, autore di
numerose pubblicazioni, è stato ricordato dagli amici di un tempo, da numerosi
intellettuali della città e da semplici cittadini.
Non è questo il luogo per tracciare un profilo di Aldo Cairola, prematuramente scomparso, né per fare una commemorazione nella commemorazione. Solo un ricordo di quando lo ebbi docente di Storia dell’arte al liceo classico Piccolomini, di Siena. Certamente non ero un allievo modello, ma Cairola mi insegnò come si guarda un quadro e a riconoscere le croste dalle opere vere. Era solito ripetere che, se la gente studiasse un po’ di storia dell’arte, non acquisterebbe quegli obbrobri in vendita nelle fiere e nei mercati. L’ultima volta che lo vidi fu nella Firenze alluvionata nel novembre 1966. Due giorni dopo l’inondazione, tentavo di attraversare il Piazzale degli Uffizi, ancora pieno di acqua e di melma, quando mi sentii chiamare. Avevo fretta e ci scambiammo solo un saluto ed un breve commento: che casino! Non ci siamo più incontrati.