A cento anni dal genocidio armeno

A cavallo tra il 1915 e ‘16

Il governo dei “giovani turchi”

ordinò il massacro degli armeni

temendo una loro alleanza con i russi

 

 

di Magali Prunai

 

588, rue Paradis, Marsiglia. Un umile camiciaio con la moglie e il figlio vaga per le vie della città alla ricerca di un forno che gli permetta di cuocere un po’ di pane e un dolce. Quasi tutti si rifiutano di aiutare la modesta famigliola. Questo è uno dei primi amari ricordi della nuova Patria del protagonista del film “Quella strada chiamata paradiso”, rifugiatosi in Francia per sfuggire al genocidio degli armeni perpetrato dai turchi a cavallo fra il 1915 e 1916.

Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi armati. Kharpert, Impero Ottomano, aprile 1915.

L’impero armeno si sviluppò nel Caucaso e nell’Asia Minore orientale fra l’800 a.C.  e il 600 a.C.. Nel I secolo a.C. il suo territorio si estendeva dal Mar Nero al Mar Caspio fino a raggiungere le coste del Mediterraneo finché non si scontrò con l’Impero Romano guidato da Pompeo. Primo stato ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato, istituì la propria Chiesa Apostolica Armena, che si separò dalle altre chiese cristiane nel 451 dopo il concilio di Calcedonia.

Indebolita nel corso dei secoli, l’Armenia ebbe una forte rinascita e sviluppo culturale per poi ripiombare nel baratro in periodo feudale. Bistrattata, conquistata e spartita fra poteri diversi, nella prima parte dell’800 divenne un territorio russo. Fra 1828 e 1829, a seguito delle guerre russo-turche, l’impero ottomano cedette una parte del territorio armeno all’impero russo: la Russia tentava, così, di aprirsi uno sbocco sul Mediterraneo. Nonostante alcune riforme imposte nel 1839, la situazione degli armeni ottomani peggiorò notevolmente tanto da far risalire storicamente a quel periodo una prima persecuzione degli armeni da parte dei turchi.

Ma quello che noi oggi chiamiamo “genocidio degli armeni”, “Medz Yeghern” o “grande crimine", risale ai primi anni del secolo scorso, quando l’ormai quasi morto impero ottomano perseguitò e trucidò gli armeni residenti nell’Anatolia occidentale. La Turchia ancora oggi rifiuta di riconoscere il crimine, giustificandolo come una guerra civile accompagnata da carestia e malattie.

Armeni impiccati dai turchi

Il governo dei c.d. “Giovani Turchi”, spaventati dall’idea di un’alleanza Armenia- Russia, decise di agire per arginare qualsiasi moto che potesse nuocergli. Nel 1909 circa 30.000 persone nella regione della Cilicia furono sterminate. Fra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero arrestate le prime “personalità” armene di Costantinopoli. Gli arresti continuarono per l’intera giornata del 24 aprile e in un solo mese giornalisti, scrittori, intellettuali di ogni genere furono deportati verso l’interno e massacrati lungo la strada. Queste “marce della morte”, organizzate in collaborazione con l’esercito tedesco, coinvolsero almeno 1.200.000 persone che morirono in gran parte per fame, malattie e sfinimento.

Allo sguardo di un osservatore moderno, del 2015, riesce difficile non assimilare il “grande crimine” allo sterminio nazista degli ebrei. Quasi che la Germania avesse organizzato delle prove generali per registrare la fedeltà dell’esercito e le reazioni mondiali, inesistenti nel ’15.

Le motivazioni, o meglio le giustificazioni, addotte dai “Giovanti Turchi” suonano più come propaganda che come verità storica. Molti studiosi hanno sostenuto, infatti, l’esistenza di un progetto di creazione di uno stato turco etnicamente omogeneo in Anatolia. Altri, invece, rifiutano questa tesi sostenendo che non tutti gli armeni furono trucidati, come ad esempio quelli residenti a Istanbul, ma che furono deportate “solo” le menti pensanti dell’Anatolia, non in quanto componente etnica ma territoriale, facendo rientrare il tutto nel progetto di creazione di una Grande Turchia. Tesi abbastanza delirante, soprattutto se si considera che il primo storico turco che parlò apertamente del genocidio armeno, nel 1976, fu condannato a 10 anni e costretto a fuggire dal proprio paese.

Nel 1965 la questione venne riportata alla luce, con il riconoscimento del genocidio armeno da parte dell’Uruguay. A cascata cominciarono a riconoscerlo numerosi paesi del mondo, l’Italia ha approvato una legge in tal senso solo nel 2000.

Hrant Dink era un giornalista e scrittore turco d'origine armena. È stato assassinato nel quartiere di Osmanbey a Istanbul, davanti ai locali del suo giornale bilingue Agos, con tre colpi di pistola alla gola

 

 

A 100 anni dal genocidio, in alcuni Stati esiste finalmente un reato di negazionismo che condanna al carcere chiunque rifiuti l’esistenza dello sterminio armeno. Punizioni che, però, secondo la corte di Strasburgo contrastano con la libertà di espressione in quanto “il diritto di dibattere apertamente di questioni sensibili e suscettibili di non piacere è uno dei diritti fondamentali della libertà d’espressione”. Un diritto, prosegue la Corte, che “distingue una società democratica, tollerante e pluralista da un regime totalitario o dittatoriale” (sentenza Perinçek contro Svizzera). Una sentenza nettamente in contrasto con quanto la stessa Corte ha affermato nella sua pronuncia Garaudy contro Francia del 2003 in cui si affermava la legittimità dell’incriminazione della negazione dell’olocausto del popolo ebraico. Quasi che la Corte dei Diritti dell’Uomo stabilisse un grado d’importanza, una gerarchia fra i due diversi genocidi, stabilito su criteri quali la rilevanza politica se non addirittura economica dei due diversi popoli coinvolti.

Del resto, a chi interessa se un milione e mezzo di poveretti viene sterminato? A questo interrogativo ha risposto lo scorso 12 aprile Papa Francesco che, sulla scia di quanto già detto da Giovanni Paolo II, ha affermato che il primo genocidio del XX secolo è stato quello che ha colpito il popolo armeno. Immediata la reazione della Turchia che, nonostante di recente abbia espresso le sue condoglianze alle famiglie delle vittime, continua a negare l’esistenza del genocidio.

Massacro, sterminio, genocidio, comunque lo si chiami il senso non cambia, sempre di un milione e mezzo di morti si tratta.

Il Galileo