una minoranza dimenticata
di Magali Prunai
Ogni Stato, ogni nazione, nasconde nella sua storia racconti di popolazioni che
sono sfuggite a dominazioni esterne, rifugiatesi in zone più o meno nascoste,
mantenendo nei secoli le proprie tradizioni e, soprattutto, la propria lingua
scomparsa dalle zone più urbanizzate.
Questo è anche il caso degli Arumeni, da non confondere con gli Armeni, una
popolazione balcanica, una delle tante minoranze sconosciute ai più, composta da
pastori che si erano rifugiati sui monti per sfuggire alle invasioni del III
secolo d.C.. Quando, infatti, i romani abbandonarono la Dacia, l’attuale zona
della Romania, questa divenne terra di conquista di popolazioni germaniche,
slavi e, più avanti, magiari. I popoli natii, per mantenere la loro “romanità”,
si trasferirono all’interno, sui monti, emigrando successivamente verso
l’attuale Macedonia, la Grecia e l’Albania.
P
Sempre più isolate, queste popolazioni vennero pressoché dimenticate.
Emigrando verso altri paesi hanno comunque mantenuto viva la loro lingua,
nonostante gli influssi greci e albanesi ancora oggi possiamo identificarla come
una lingua romanza, dato il suo impianto latino d’origine. Se vogliamo essere
ancora più precisi la lingua parlata dagli arumeni rientra in uno sottogruppo
del romeno. Infatti, come tutti sappiamo, in Romania si parla rumeno, mentre in
pochi sanno che da essa sono nate altre tre lingue che identificano alcune
minoranze: l’arumeno, l’istorumeno e il meglenoromeno.
Il meglenoromeno è una variante dell’arumeno sviluppatosi dopo l’emigrazione
verso la Grecia. Questo popolo si stanziò in una zona del nord, la Moglena, dove
subì forte influenze slave. I loro eredi ormai non si definiscono più arumeni,
ma “vlaschi” che probabilmente vuol dire straniero. La parola, forse di origine
germanica, veniva usato tanto per indicare le genti latine che quelle slave.
Molti arumeni, invece, si rifugiarono in Istria, che era pressoché deserta, dove
vissero dimenticati e indisturbati fino ai primi anni del ‘900 quando il Regno
d’Italia decise di tutelare la minoranza linguistica radunando tutti gli
istorumeni in una città, Valdarsa. Stanziatisi inizialmente nella Cicceria, una
regione compresa fra Slovenia e Croazia, sono anche chiamati Cici, con una
lingua fortemente influenzata dallo slavo che ha preso il nome di Ciribiri.
Attualmente sono una strettissima minoranza che vive fra i vecchi territori
dell’Istria, limitatamente al villaggio di Seiane e altri della val d’Arsa, e
Trieste.
Nel 1922 il sindaco di Valdarsa si adoperò molto perché le tradizioni del suo
popolo rimanessero vive e venissero tramandate di generazione in generazione,
inaugurando anche l’apertura di una scuola in lingua rumena. Dopo la seconda
guerra mondiale molti istorumeni seguirono gli istriani nel loro esodo
disperdendosi e arrivando fino a New York dove attualmente se ne contano circa
300/400.
Nonostante si tratti di una lingua non scritta, tramandata oralmente, è pur
sempre di origine latina anche
se
secondo alcuni si tratta comunque di un dialetto rumeno. Il principale esponente
culturale, primo a metterla pubblicamente per iscritto, fu Andrea Glavina foto a
sinistra), chiamato anche l’apostolo degli istorumeni.
Politico e scrittore di origine austro-ungarica, era nato nel 1881, è stato
definito come l’ “italiano con ascendenza diversa”, sostenitore
dell’irredentismo istriano a sostegno della causa del suo popolo.
Di umili origini, ebbe la fortuna di frequentare prestigiose scuole in Romania
per intervento di un noto glottologo che lo selezionò con lo scopo di promuovere
l’istorumeno. Tornato in Istria, ottenne l’abilitazione per insegnare italiano e
rumeno. Tentò più volte di aprire una scuola, ma l’impero osteggiò continuamente
questa sua iniziativa finché, dopo la prima guerra mondiale, l’Istria non venne
annessa al Regno d’Italia. Eletto sindaco di Valdarsa, riuscì finalmente ad
aprire una scuola rumena alla quale si iscrissero più di cento alunni. Nel 1905
pubblicò un libro, “Calendar lu Rumen din Istria”, in cui raccoglieva proverbi e
racconti popolari della sua gente. Mentre l’inno istoromeno, “imnul
istro-romanilor”, scritto in occasione dell’inaugurazione della scuola e
pubblicato postumo, dichiara una forte appartenenza alla propria terra
d’origine, la Romania, e a quella dei fratelli italiani con i quali si
condividono le origini.
Forse proprio per questo sentimento di appartenenza a una storia comune ha fatto
sì che il Regno d’Italia riconoscesse piena autonomia a questi territori a
differenza di quanto fece nel Trentino Alto Adige Sud-Tirol, dove era vietato
parlare tedesco, insegnare la propria lingua e cultura nelle scuole e,
addirittura, indossare gli abiti tradizionali di chiara ispirazione tirolese e,
quindi, retaggio del tempo in cui erano un tutt’uno con l’impero
austro-ungarico.