A 77 anni dalla “scomparsa” di Ettore Majorana

La “majoranologia” tra conventi e America Latina

Per la Procura di Roma, il caso è chiuso: Majorana avrebbe vissuto sotto falso nome in Venezuela. Una conclusione in netto contrasto con  la ricostruzione effettuata, anni fa, da Leonardo Sciascia

 

 

 

di Irene Prunai

 

L' ultima lettera di Majorana. «Caro Carrelli, Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all'insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.»

 

“Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessuno altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso.” Così Enrico Fermi dipingeva il genio dell’amico e allievo Ettore Majorana in seguito alla sua scomparsa. Un modo insolito di esprimersi per lui che era sempre così amabilmente severo nell’esprimere giudizi sul prossimo. E parole insolite usò anche pochi mesi dopo la scomparsa di Ettore, scrivendo al Primo Ministro Benito Mussolini per chiedere un maggiore impegno nella ricerca dello scienziato: “Io non esito a dichiararVi […] che fra tutti gli studiosi italiani e stranieri che ho avuto occasione di avvicinare, il Majorana è fra tutti quello che per profondità di ingegno mi ha maggiormente colpito.”

Ma chi era realmente Ettore Majorana?

Nel maggio del 1932 egli scrive il proprio curriculum vitae: “Sono nato a Catania il 5 agosto del 1906. Ho seguito gli studi classici conseguendo la licenza liceale nel 1923; ho poi atteso regolarmente agli studi di ingegneria in Roma fino alla soglia dell’ultimo anno. Nel 1928, desiderando occuparmi di scienza pura, ho chiesto e ottenuto il passaggio alla facoltà di fisica e nel 1929 mi sono laureato in Fisica teorica sotto la direzione di S.E. Enrico Fermi. […] Negli anni successivi ho frequentato liberamente l’Istituto di Fisica di Roma seguendo il movimento scientifico e attendendo a ricerche teoriche di varia indole. […]”

Il suo stile è asciutto e caratterizzato dall’usuale modestia verso di sé, pur avendo già in quel periodo completato quasi tutti i suoi lavori più importanti. Per delineare la personalità di un uomo così complesso abbiamo bisogno di ancora più elementi. Se Enrico Fermi è stato l’ultimo di quella schiera di grandi scienziati che potevano dirsi contemporaneamente teorici e sperimentali, Ettore Majorana era forse uno dei primi fisici a essere un teorico puro. Una di quelle figure che gli studenti di fisica guardano con una sorta di timore reverenziale, forse un pizzico di invidia e, perché no, una buona dose di fastidio nel pensare alla spaventosa mole di conti che dovranno fare per capire anche solo una piccola parte delle loro teorie. Con questo non si vuole sminuire la figura di Fermi, ma era egli stesso a sostenere che Majorana avesse “quel raro complesso di attitudini che formano un fisico teorico di grande classe”. Questo aspetto dello scienziato è fondamentale per capire che, pur sapendo calarsi nella profondità dei fenomeni fisici svelando a noi comuni mortali simmetrie e nuove strutture matematiche, non aveva alcuna capacità nelle attività sperimentali. Ciò vuol dire che mai e poi mai avrebbe potuto portare dei contributi concreti a dei progetti. Insomma se ancora non l’avete capito, Majorana non era in grado di costruire la bomba atomica, non da solo. Un genio a senso unico, astratto. Un fisico teorico.

Detto questo non dobbiamo però dimenticare che Majorana era un uomo acuto che sapeva guardare oltre. Forse per questo motivo una volta completata una ricerca, dimostrato una teoria e verificato i conti con i suoi colleghi e amici, strappava i fogli e gettava i pacchetti di sigarette sui quali spesso, con una calligrafia piccola e ordinata, appuntava i calcoli. Gli altri, e stiamo parlando di scienziati di tutto rispetto, raccattavano i suoi pezzetti di carta un po’ come i passerotti che raccolgono le briciole. Affrontato e risolto un problema, Ettore era pronto ad andare avanti. Non si curava di scrivere articoli, non voleva riconoscimenti.

Persona sensibile, introversa e profondamente buona. Timido tanto da avere problemi nel relazionarsi con gli altri. Un atteggiamento che fa pensare alla sindrome di Asperger, una lieve forma di autismo. Ma le diagnosi a posteriori, si sa, ci lasciano sempre un po’ perplessi.

Questo trafiletto di ricerca fu pubblicato sulla "Domenica del corriere", supplemento illustrato del Corriere della Sera. All'epoca ea uno dei mezzi, ritenuti efficaci, per ricercare le persone scomparse

Ha un forte spirito critico e autocritico, addolcito però da uno spiccato senso dell’umorismo. Un carattere quasi allegro anche se ricco di zone d’ombra. È nel 1933, anno in cui trascorre alcuni mesi in Germania per studiare con Werner Heisenberg, che avvengono in lui grossi cambiamenti. Secondo alcuni l’esperienza tedesca modifica le sue opinioni verso il nazismo. In realtà ciò che influenzerà profondamente lo scienziato sarà il rendersi conto di essere perfettamente in grado di vivere da solo neanche tanto male. Può sembrare una banalità, ma dobbiamo invece tener conto delle origini di Ettore. Egli è discendente di un’imponente famiglia siciliana. Il nonno, Salvatore Majorana Calatabiano, è professore universitario e parlamentare. In seguito diventerà anche ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio per ben due volte. Gli zii di Ettore non sono da meno. Tutti laureati giovanissimi, addirittura uno a 16 anni, entrano senza fatica nell’élite culturale. Tra deputati, docenti universitari, rettori, la famiglia Majorana non è nuova alla genialità. Anche Fabio, il padre di Ettore, si laurea prima in ingegneria e poi in fisica giovanissimo. Sarà lui a educare il piccolo Ettore che fece i primi anni delle elementari in casa. Per tutta la vita resterà sempre molto attaccato al padre.

Insomma abbiamo detto di una famiglia ingombrante che non nasconde i propri successi in svariati campi. Sicuramente tutto questo ha influenzato un giovane uomo timido e schivo. E forse, al di là delle simpatie politiche (mai documentate), il periodo in Germania fu per Majorana in periodo tranquillo e sereno proprio per la lontananza. Ovviamente queste sono congetture che non fanno altro che rimpolpare il corpus della majoranologia.

Appunti manoscritti preparatori all'equazione a infinite componenti

Aperto questo enorme vaso di Pandora non possiamo ormai tirarci indietro dall’affrontare la questione della sua scomparsa.

 “Caro Carrelli, ho preso una decisione che ormai era inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti.”

È venerdì 25 marzo 1938 quando Majorana scrive questa lettera ad Antonio Carrelli, il direttore dell’Istituto di Fisica di Napoli. Ettore ha ormai trentuno anni e da pochi mesi è professore di Fisica teorica presso l’Istituto, cattedra assegnatagli “per chiara fama”. Alloggia all’hotel Bologna da cui esce verso le 17.00. Nella sua stanza, su di un tavolo, ha lasciato un’altra lettera questa volta indirizzata alla sua famiglia.

“Ho un solo desiderio, che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.”

Indubbiamente siamo di fronte alle lettere di addio di un suicida. Eppure lo scienziato sembra contraddire quanto scritto con le sue azioni. Intasca il passaporto e ritira tutti i suoi soldi. Un suicidio, un depistaggio o semplicemente un uomo che ancora non sa cosa fare? Restiamo ai fatti. Majorana sale sul traghetto della compagnia Tirrenia che fa servizio tra Napoli e Palermo e che parte regolarmente alle 22.30. il giorno seguente Carrelli riceve in mattinata un telegramma da Palermo. Non ha ancora ricevuto la lettera che Majorana aveva spedito il giorno prima, arriverà solo nel pomeriggio, che Carrelli si ritrova a leggere le seguenti parole: “Caro Carrelli, spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e tornerò domani all’albergo Bologna […] Ho però intenzione di rinunciare all’insegnamento.[…] Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.” Lo stesso giorno il traghetto riparte da Palermo e Majorana acquista un posto in cabina. Sembra che abbia intenzione di tornare a Napoli, eppure da questo momento, dello scienziato non sappiamo più niente. È a questo punto che partono le innumerevoli teorie della già citata majoranologia. Tutti prima o poi si imbattono in questo mistero e tutti hanno un’opinione, un’ipotesi. Tutti, scienziati e non. Non si tira indietro Leonardo Sciascia, che lo vede ritirato in convento, ragionando sulle ambiguità, volute o no, delle parole scelte da Ettore. Forse non gli piace immaginarsi morto e per questo scrive quelle parole alla famiglia. Del resto, come diceva Pirandello, quando un uomo medita il suicidio, si immagina morto non tanto per sé, quanto più per gli altri. Sono questi i suoi pensieri? Durante quella notte sul traghetto la sua mente continuerà ad arrovellarsi? Forse penserà a un dolore troppo grande per la sua famiglia e cercherà di correre ai ripari con quel famoso telegramma. A destra, il francobollo commemorativo edito nel 2006 nel centenario dfella nascita di Majorana).

Ma ormai un taglio netto era stato fatto e, suicidio o no, Ettore non torna indietro. Dove è finito? Se lo chiedono i famigliari e gli amici, se lo chiede il capo della polizia, Arturo Bocchini, e il ministro della cultura Giovanni Gentile. Arriva a chiederselo perfino Benito Mussolini che scrive a mano sulla copertina del fascicolo “Si trovi, voglio che si trovi!” e poco sotto Bocchini appunta un lapidario “I morti si trovano, sono i vivi che possono sparire”.

Allora forse Majorana è veramente fuggito in Argentina, dove pare sia stato visto negli anni ’60. Oppure è lui quel barbone che negli anni ’70 girava a Mazzara del Vallo che gli somigliava e parlava proprio come un genio della fisica. L’ultima pagina di questa storia pare l’abbia scritta in questi ultimi mesi la procura di Roma e il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani ha richiesto l’archiviazione del caso. Siamo arrivati alla verità?

Questa nuova versione dei fatti è stata ricostruita sulla base della testimonianza di Francesco Fasani, un meccanico, morto recentemente, che aveva vissuto in Venezuela. Egli sosteneva di aver conosciuto e frequentato Majorana. Si faceva chiamare Bini, per mantenere il segreto, ma somigliava al fisico scomparso. In più mostrava di possedere una notevole conoscenza delle diverse questioni scientifiche delle quali, ogni tanto, discuteva. Fasani raccontava di quanto Bini fosse timido e preferisse stare in silenzio. Aveva sui 50-55 anni, parlava romano ma si vedeva che non era romano. A sostegno della sua tesi Fasani portò due elementi. Il primo è una fotografia, scattata nel 1955. Tra le persone inquadrate si nota Bini che, secondo un esame del RIS, mostrerebbe una perfetta corrispondenza con i tratti del volto dello scienziato. Il secondo elemento, invece, è una cartolina firmata dallo zio di Ettore, Quirino Majorana, risalente agli anni Venti, in cui discuteva di questioni scientifiche con il nipote. Fasani l’avrebbe trovata nell’auto di Bini, mentre la riparava.

Il caso è chiuso? Secondo la procura di Roma sì. Eppure come è possibile che uno come Majorana, oltre al passaporto e ai soldi, si sia portato con se una cartolina firmata da uno zio con il quale Ettore, a detta dei discendenti, aveva un pessimo rapporto?

Sarà la delusione nello scoprire una soluzione così banale. Sarà il fatto che, nonostante tutto l’inchiostro finora usato, nessuno sia mai riuscito a inquadrare il personaggio. Sta di fatto che la majoranologia è un fenomeno ben lontano dalla parola fine. 

(Nella foto in alto a sinistra: i cosiddetto Ragazi di via Panisperna: da sinistra Oscar D'Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Enrico Fermi)

 

Il Galileo