I film USA
colonizzano le TV italiane
di Mario Talli
Sabato 22
novembre su 12 film o telefilm trasmessi in prima serata dalle reti in chiaro 9
erano made in USA. Il giorno
successivo, domenica, la proporzione era di 10 film americani, nel senso di
statunitensi, su 14. Comunque, se il lettore avrà la pazienza di controllare di
persona si accorgerà che la tendenza si ripete più o meno esattamente con grande
costanza giorno dopo giorno.
Siccome chi scrive queste note ha una
certa età (meglio restare sul vago), ricorda come fosse ieri l'arrivo in
Italia, a metà degli anni Quaranta, subito dopo la fine della guerra in Europa,
dei primi film
americani
in bianco e nero (il colore arriverà qualche anno dopo):
le commedie sentimentali e di costume di Frank Capra, di G. Cukor e dei loro
numerosi omologhi, il western, prodotto americano per eccellenza, il musical
(basta ricordare la coppia Fred
Astaire e Ginger Rogers), i film drammatici in cui eccellevano registi come R.
Walsh, M.Curtiz, L.Milestone, H.Hathaway, R.Mamoulian, W.Wyler per non citarne
che alcuni, quelli comici e di
animazione con due nomi su tutti, Charlie Chaplin, politicamente irrequieto e
Walt Disney, a quanto pare tanto bravo quanto reazionario ed infine i
film che avevano per oggetto la guerra appena terminata o quella che ancora si
combatteva in Estremo Oriente contro il terzo componente dell'Asse, il Giappone,
ai quali ultimi era anche affidato il compito di propagandare le buoni ragioni
dell'entrata in guerra da parte degli Stati Uniti.(nelle foto
Inutile dire che la
produzione filmica americana incontrò subito un grande successo anche presso il
pubblico italiano. Al confronto, i “telefoni bianchi”, ossia le commediole
italiote realizzate a Cinecittà negli anni immediatamente precedenti la guerra e
nei primi due o tre anni del conflitto, erano ben poca cosa.
Se il cinema emise i primi vagiti in Francia grazie ai fratelli Lumière
(la celeberrima scena dell'arrivo del treno in stazione proiettata nel dicembre
del 1895 al Grand Café sul Boulevard des
Capucines
a Parigi conteneva già in sé gli elementi di drammaticità, di angoscia e di
sensazionalismo che avrebbero garantito la fortuna del nuovo genere di
spettacolo), furono indubbiamente gli americani, con il loro ben noto istinto
commerciale a trasformare il tutto in prodotto di consumo e di profitto, a fare
di quei primi ingenui e quasi patetici tentativi una vera e propria industria.
Nacquero così le grandi case di produzione, le mayor, Warner Brothers, Metro
Goldwin Mayer, Century Fox, quella dello stesso Disney, tutte quante
facenti capo a personaggi
dotati di intraprendenza e di
danaro che in breve tempo si
imposero sul mercato mondiale e quasi tutte ancora vive con i loro marchi
inconfondibili, nonostante la concorrenza della televisione e dell'informatica.
(Nella foto a sinistra, i
Le
armi con cui fu combattuta questa guerra pacifica di conquista furono la
confezione di storie capaci di coinvolgere il grande pubblico, assecondandone i
gusti o anche indirizzandone il gradimento mediante la creazione e la successiva
insistente riproposizione di prototipi che col tempo avrebbero ottenuto una
popolarità sempre maggiore. Per attuare questa vasta operazione, i produttori
d'oltre oceano ricorsero spesso all'opera di scrittori famosi trasformati per
l'occasione in soggettisti e sceneggiatori. Ma il mezzo forse più efficace fu
l'invenzione e la coltivazione dello Star system, il sistema “divistico”, da cui
trassero profitto anche gli editori di riviste popolari a grande tiratura
incentrate sulla vita reale o presunta, soprattutto sentimentale, delle prime
grandi stars hollywodiane, delle quali è perfino superfluo citare i nomi tanto
sono tuttora ben presenti, con le loro sembianze fascinose,
nella mente degli spettatori dai trenta o quarant'anni in su.
Se l'organizzazione
dell'industria cinematografica americana ne spiega e ne giustifica pienamente il
successo, basandosi sulla realizzazione di una produzione filmica suddivisa
anch'essa in “generi” (l'avventura, il dramma, la commedia sentimentale, la
guerra ecc.), tuttavia essa
aggiunge a tutto questo un'altra caratteristica che la rende diversa da tutte le
altre cinematografie mondiali: la “universalità” dello stile e del linguaggio.
Ossia, anche se i generi sono diversi, il linguaggio e lo stile sono unici, cioè
quelli capaci di coincidere con il gusto dello spettatore medio. Le
cinematografie europee si caratterizzano invece per aver proposto nel
corso degli anni almeno una volta
film espressione di una tendenza artistica e culturale ben riconoscibile, spesso
specchio di un preciso momento storico. Il cinema francese con la Nouvelle vague
, quello italiano a cavallo
degli anni '40 e '50 con il filone neorealistico e così via.
Una scena di Ladri di biciclette
Naturalmente, come
ognuno ben sa, non mancano anche
nel cinema a stelle e strisce opere artisticamente rilevanti, di denuncia e dal
forte profilo politico e sociale, ma quella imponente produzione non è mai
riuscita (probabilmente non ci ha neppure provato)
a proporre film contrassegnati da una cifra stilistica ben distinta e
riconoscibile
Ma
perché, vien fatto di chiedersi, in questo settore gli Stati Uniti sono anche
oggi una potenza imperiale, il cinema americano continua a dominare
incontrastato sugli schermi pubblici e domestici di quasi tutto il mondo?
Neppure la globalizzazione, che in tutti gli altri settori produttivi costringe
anche loro fare i conti con nuove
potenze economiche tipo l'India e la Cina, ha scalfito questa lunga supremazia.
Sarebbe interessante cercare di analizzarne le ragioni. La somministrazione di
un prodotto che continua a riproporre inalterati nel tempo ingredienti
spettacolari di sicura presa popolare, è senz'altro una di queste ragioni, ma
probabilmente ce ne sono anche altre che forse hanno a che fare con la politica.
Non si capisce altrimenti, limitandoci all'Italia,
come mai le nostre televisioni pubbliche e private
- da tempo la Tv è il
principale cliente dei produttori e dei distributori di film -
assai raramente ricorrano alle produzioni di altri paesi, anche quando
queste si segnalano per aver realizzato un certo numero di veri e propri
capolavori. Chi non ha acquistato l'accesso ad un segnale criptato, ad esempio,
ben difficilmente potrà sperare di visionare un film premiato in uno dei
numerosi concorsi internazionali. A giudicare da quello che il cittadino comune
e stanziale, cioè che non va spesso all'estero, può vedere normalmente si
sarebbe portati a concludere che non esistano altre copiose e interessanti
produzioni cinematografiche oltre a quella statunitense.
E' evidente che le responsabilità maggiori, per quanto concerne il nostro
Paese, ricadono sulla azienda
televisiva statale fra i cui compiti vi è quello non secondario di somministrare
qualità e cultura. Ultimamente, Rai
5 e Rai Storia hanno mostrato di muoversi in questa duplice direzione. Speriamo
che non rimanga un segnale effimero.