Cosa non è stato fatto
cosa bisogna fare
Indispensabile la presenza del geologo per la prevenzione e per il contrasto
delle calamità naturali
di Gian Vito Graziano
Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi
Che questo Paese abbia bisogno di geologi per la prevenzione dei rischi, per il
monitoraggio del
territorio,
per le risorse idriche e per quelle energetiche sembra che ci si stia pian piano
accorgendosi.
Il Presidente del Consiglio Letta prima, il Presidente Renzi dopo, ma anche il
Presidente della Camera Boldrini, ciascuno nei propri discorsi di insediamento
al Parlamento, hanno citato il contrasto al dissesto idrogeologico fra le
priorità del Paese.
Più volte prima di loro era stato il Presidente della Repubblica Napolitano a
richiamare la politica italiana ai temi del territorio ed alla sua urgente messa
in sicurezza. Nell'audizione che il Presidente Napolitano volle concedere al
Consiglio Nazionale dei Geologi nel febbraio 2012 fu chiara la sua visione
illuminata del problema, espressa poi pubblicamente a Vernazza qualche mese
dopo, quando, in un accorato appello alla politica italiana, egli invitò Governo
e Parlamento a porre il problema della difesa del suolo tra le priorità di un
Paese in forte crisi economica, aggiungendo, non senza utilizzare toni forti,
che la ormai cronica mancanza di fondi invocata dalla politica, ne evidenziava
l'incapacità di individuare le vere priorità per distinguerle da quelle che non
lo sono.
Il miglioramento dell'ambiente e la messa in sicurezza del territorio sono stati
poi inseriti tra gli obiettivi dell'Agenda possibile del Gruppo di lavoro in
materia economico-sociale ed europea istituito dal Presidente della Repubblica
(Punto 4.7 della relazione finale).
E' forse la prima volta che questo accade nella storia della nostra Repubblica,
ma mentre accade, non cessa tuttavia un certo ostracismo nei confronti della
geologia, soprattutto da parte di certi importanti settori tecnici della
pubblica amministrazione, livelli centrali dello Stato, che prima di altri e più
di altri dovrebbero sapere che è ormai tempo di superare la vecchia e ormai
superata visione monopolistica delle competenze e delle professioni.
Ardito Desio impiegò quaranta anni della sua vita di scienziato per affrancare
la geologia dall'ambito generico delle Scienze Naturali, mettendo l'Italia al
passo con i paesi sviluppati. Nati nel 1963, noi geologi rimaniamo una categoria
ancora troppo giovane e numericamente troppo debole per poter essere radicata
nel tessuto sociale, per cui nel Paese con il più alto rischio idrogeologico
d'Europa e con le più diffuse condizioni di dissesto del territorio, nonché
caratterizzato da una pericolosità sismica che seppure di diverso grado
interessa l'intera penisola, le politiche di razionalizzazione e di contenimento
della spesa dei governi che si sono alternati negli ultimi anni non sono mai
passate attraverso le professionalità qualificate.
L'intervento dello Stato conseguente al verificarsi degli eventi calamitosi si
dispiega sostanzialmente in tre fasi, quella degli interventi di emergenza,
quella della ricostruzione e quella, non meno importante, dello sviluppo, inteso
come occasione per intervenire sulla situazione preesistente per dotare il
territorio di infrastrutture e di nuova funzionalità, rinvigorendo per quanto
possibile la locale struttura abitativa ed economica. E' proprio questa fase
ultima quella che consente di concedere finanziamenti, che in passato si sono
susseguiti per decine di anni sulla base di vecchie e nuove leggi di spesa,
persino quando l'emergenza rappresentava ormai un lontano ricordo, e che hanno
finito per assumere il carattere di assistenza. Se da una parte si può ritenere
comprensibile che durante l'emergenza la stima dei fabbisogni sia approssimativa
e difficilmente valutabile, dall'altra questo non appare accettabile per gli
interventi dell'ultima fase, che richiederebbero la massima oculatezza in
riferimento all'effettivo fabbisogno e che, senza le dovute professionalità,
rischiano paradossalmente di inserire nuovi elementi di criticità sul territorio
locale.
Un più illuminato e saggio impiego della professionalità dei geologi non solo
avrebbe potuto prevenire e mitigare i tanti disastri che hanno devastato il
nostro territorio, che sprofonda sotto i colpi di un temporale o di terremoti,
severi si, ma che da qualche decennio non raggiungono neanche i 6.0 gradi
Richter di magnitudo, ma avrebbero potuto persino consentire la programmazione
della spesa e la verifica della sua efficacia, evitando, come troppe volte è
accaduto, che i finanziamenti vengano concessi senza alcun tipo di controllo.
E' sin troppo evidente poi che l'utilizzo in fase di emergenza delle scarse
risorse disponibili ha reso inefficaci le politiche di prevenzione, soprattutto
perché il continuo ricorso a procedure straordinarie, con una progressiva
frammentazione di competenze e di strumenti, hanno appesantito il sistema di
pianificazione e di programmazione degli interventi, rendendolo molto poco
efficiente. Con la conseguenza ulteriore di esportare all'estero l'immagine di
un Paese che perde continuamente di credibilità.
Il geologo non è certo l'unica figura che si occupa di programmazione e gestione
dell'uso del territorio, ma rappresenta l'anello di congiunzione fra le
professionalità ingegneristiche, naturalistiche e quelle afferenti alle scienze
umane, ma è tuttavia l'unica capace di leggere le dinamiche del territorio e la
sua evoluzione morfologica, di analizzare e di definire modelli ed ipotizzare
scenari di evoluzione, in altre parole capace di applicare i saperi alle
esigenze tecniche ed alle istanze di sicurezza.
E' una figura specializzata nel riconoscere, prevedere e quantificare, con
rigore statistico, quelle incompatibilità fra gli insediamenti e le dinamiche
del territorio, causa della maggior parte degli eventi calamitosi che si
verificano sul nostro territorio.
Il geologo è oltretutto una figura dinamica, capace di adattarsi più facilmente
di altre alle innovazioni scientifiche e tecnologiche, perché fonda la propria
credibilità nel nutrirsi di scienza, di quelle Scienze della terra, che
dovrebbero essere e che purtroppo non sono, fondamento della struttura economica
e sociale della nostra nazione.
Le Scienze della Terra hanno avuto un ruolo progressivamente più rilevante per
la capacità di dare risposte in termini di istanze di sicurezza sismica,
idrogeologica, vulcanica, ma anche in termini di sviluppo energetico, di
bonifiche e recuperi ambientali, di valorizzazione dei beni naturali e della
geodiversità, di salvaguardia delle risorse e tanto altro ancora. Questo lo si
deve soprattutto all'attività di una comunità, quella geologica, che tra
ricerca, scienza e professione si è saputa affermare con straordinaria
autorevolezza.
E’ ormai chiaro a tutti come in tanti ambiti la geologia, garantendo forme di
interesse pubblico, occupi un ruolo importante e strategico, con le sue
conoscenze e le sue applicazioni tecnologiche, che non sono da meno anche nel
contesto della gestione e dello sfruttamento delle risorse.
Eppure ancora oggi si continua a voler affermare, anche sotto il profilo
normativo, standard di progettazione che estremizzano l'approccio
ingegneristico, senza pensare di inserire compiutamente l'opera nel suo contesto
fisico e senza valutarne le interazioni. E sappiamo che la maggior parte delle
criticità rilevate nella costruzione delle grandi opere, ma anche in quelle
medie e piccole deriva da una modellazione geologica ora errata, ora scadente,
ora persino assente.
Nel prendere atto che nell'ultimo trentennio la normativa tecnica ed urbanistica
abbia formalizzato la cogenza degli studi geologici, come non sospettare che
essa non sia derivata da una vera coscienza, ma che sia forse imposta a valle
delle pressione mediatica conseguente ai disastri, almeno a quelli più gravi,
che ci hanno colpito.
Altrimenti come spiegare che la Regione Lazio sopprime il proprio Servizio
Geologico Regionale, come spiegare che la cartografia geologica in Italia è al
palo o che si stia discutendo della sopravvivenza del servizio geologico
dell'Ufficio Dighe del Ministero delle Infrastrutture.
Malgrado l'importanza e l'impellente necessità del ruolo, la presenza dei
geologi nelle pubbliche amministrazioni è appena accennata, quando non
accuratamente evitata, e questa considerazione è tanto più vera quanto più ci si
avvicina alle realtà locali, che sono poi quelle cui spetta la gestione
ordinaria e sostenibile del territorio e dei suoi rapporti con la popolazione
che ci vive.
La maggior parte dei dipartimenti per la difesa del suolo e delle coste,
comunali, provinciali e persino regionali, così come quelli per la sostenibilità
ambientale, sono quasi sempre appannaggio di professionalità che poco o nulla
hanno a che fare con la formazione culturale derivante dalle complesse
discipline delle Scienze della Terra. Questa carenza amministrativa e ancor
prima culturale, in una contingenza che vede una drastica contrazione
dell'attività edilizia e del suo mercato, sta rapidamente portando ad una
progressiva rarefazione dell'impiego del geologo in questo settore, nonostante
si debba prendere atto allo stesso tempo che vi è una sempre maggiore richiesta
di laureati in Scienze della Terra in altri campi di applicazione geologica,
come quelli dell'ambiente e dell'energia. Le immatricolazioni, dopo una lunga
fase di depressione, negli ultimi tre anni hanno mostrato una chiara ripresa,
forse associata al continuo verificarsi di eventi geologici calamitosi e alla
forte presenza mediatica dei geologi e dunque alla conseguente possibile
ricaduta in termini occupazionali. L'Anagrafe degli studenti del MIUR mostra che
il numero di nuovi immatricolati nei corsi di laurea di Geologia in Italia dal
2008 ad oggi ha avuto un incremento del 46%. Tale aumento interessa praticamente
tutto il territorio nazionale e si verifica nel contesto di un generale forte
calo delle iscrizioni universitarie nelle discipline scientifiche.
Ma di contro si assiste agli effetti nefasti della riforma universitaria, con le
sue logiche di ottimizzazione finanziaria dei dipartimenti e dei corsi di
laurea, che hanno già prodotto la chiusura di molti dipartimenti di Scienze
della Terra, imponendo spesso accorpamenti eterogenei che hanno finito per
tagliare drasticamente le risorse disponibili per la ricerca e la preparazione
dei futuri geologi.
Le Scienze della Terra sono un settore scientifico-disciplinare omogeneo (area
disciplinare 04 per il Ministero dell'Istruzione e dell'Università, research
domain PE10 per l'European Research Council), però solo in pochissime sedi
universitarie italiane sussistono i requisiti di numerosità minima imposti
rigidamente dalla legge di riforma e questo preannuncia la scomparsa della
disciplina, perché il dipartimento è l'unità organizzativa fondamentale per
programmare lo sviluppo futuro e finalizzare le attività di ricerca e di
formazione in ambito accademico.
Il caso più eclatante, ma non è il solo, è quello dell'Emilia-Romagna, regione
con grandissimi problemi geologici e con quattro Università, in nessuna delle
quali è sopravvissuto un dipartimento di Scienze della Terra.
Nell'Università più antica del mondo di Bologna, dove nel 1603 Ulisse
Aldovrandi coniò il termine "geologia", oggi non esiste più un dipartimento
esclusivamente dedicato allo studio del territorio, dei suoi dissesti e delle
sue risorse.
La chiusura dei dipartimenti di Scienze della Terra comporta la riduzione
dell'offerta formativa nel settore, con grave pregiudizio per la sicurezza del
Paese e per i tanti giovani che si avvicinano alla disciplina. E' dunque un
segnale molto preoccupante, che evidenzia l'incapacità di comprendere il
conseguente futuro danno economico per la nostra già labile stabilità
finanziaria, di ordini di grandezza molto superiori alle auspicate economie. Ma
è già un problema sociale, ambientale ed economico.
Si impone quindi la difesa sia dell'immenso patrimonio di conoscenze, sia delle
identità di una disciplina e di una categoria, capaci di intervenire nella
riduzione della vulnerabilità sismica degli edifici e dell'immenso patrimonio
architettonico di cui dispone l'Italia, nella messa in sicurezza il territorio a
rischio idrogeologico, nella rigenerazione urbana e dei sistemi naturali, nella
tutela delle acque, nella definizione di nuovi e più moderni modelli di
pianificazione, nella protezione e nel monitoraggio dei complessi sistemi
idraulici anche in funzione dei cambiamenti climatici in atto, nella difesa
delle coste dai crescenti fenomeni di erosione, nella bonifica ambientale di
piccoli e grandi siti contaminati e di delicatissime aree industriali, nella
valorizzazione del paesaggio e della geodiversità, nello sfruttamento delle
energie rinnovabili. Se non si
interviene con decisone, per tutte queste azioni nel nostro Paese bisognerà
importare i geologi dall'estero o magari affidarci ad altre professionalità.
Gli investimenti in questi campi d'azione rappresentano pertanto una
fondamentale azione di Governo, che permetterebbe di garantire gli interessi
primari della collettività e rappresenterebbe una spinta oltremodo salutare
verso quelle misure di sviluppo che tengono insieme competenze scientifiche,
professionalità, esperienza d'impresa ed il ruolo delle pubbliche
amministrazioni. Senza contare poi i benefici in termini di occupazione.
E' per questo che la valorizzazione delle competenze e dell'esperienza dei
geologi, in campi tanto delicati, deve trovare maggiore credito soprattutto
presso le istituzioni pubbliche, proprio perché esse sono indispensabili per la
rinascita del sistema Paese.
Il ruolo che i geologi svolgono, del quale essi assumono in pieno la
responsabilità, è sempre più percepito dall'opinione pubblica come "sociale", ma
non ha purtroppo mai avuto, almeno in Italia, il riconoscimento di quella
imprescindibilità e di quella centralità che la stessa opinione pubblica sta
progressivamente attribuendogli e che già gli viene tributato in quelle aree del
mondo che, prima dell'Italia, hanno dovuto affrontare le problematiche
dell'industrializzazione e dell'inurbamento.
Vi è la necessità allora che i rappresentanti delle istituzioni pubbliche
dialoghino maggiormente con la comunità geologica, intesa come rappresentanza
scientifica e professionale. Vi è anche la necessità di porre su una corsia
preferenziale alcune proposte di legge che potrebbero consentire un primo passo
importante verso la tanto auspicata svolta culturale e che darebbero un segno
tangibile di una volontà di modificare lo stato delle cose. Ad esempio la
proposta di legge presentata dai deputati Mariani e Ghizzoni, in questo momento
al vaglio della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, riguardante gli
"Interventi a sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze
geologiche", che intende estendere alla classe di laurea L-34 delle Scienze
Geologiche il sostegno già previsto attraverso il D.M.I.U.R. n.2/2005 per altri
corsi di laurea scientifici (Matematica, Statistica, Fisica e Chimica),
introducendo agevolazioni in termini di tasse universitarie e fondi ad hoc per
l'orientamento a favore delle discipline scientifiche; la proposta di legge
dispone anche che una quota pari all'uno per cento del fondo della Protezione
Civile per la prevenzione del rischio sismico sia riservata al finanziamento di
progetti di ricerca presentati dai dipartimenti universitari di Scienze della
Terra e che, per la salvaguardia dell'identità di aree disciplinari riconosciute
a livello nazionale e internazionale, gli statuti delle università, nel caso di
settori scientifico-disciplinari omogenei appartenenti alla stessa area
disciplinare, possono derogare dai limiti numerici previsti dalla legge di
riforma.
Da porre in corsia preferenziale, oltre alla mozione 1-00114 presentata dall'On.
Segoni, con la quale impegna il Governo "a promuovere un profondo aggiornamento
ed un'integrazione dei quadri conoscitivi nazionali e degli enti locali,
riguardanti le conoscenze geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e
sismiche, allo scopo di produrre nuovi strumenti urbanistici e cartografici
geotematici relativi alla pericolosità geomorfologica, idraulica e di
microzonazione sismica, finalizzati ad un più razionale governo del territorio",
le proposte di legge, sempre dell'On. Segoni, "sullo svincolo del patto di
stabilità per le spese degli enti territoriali relative al ripristino,previsione
e prevenzione del rischio idrogeologico e sismico" (AC 1233) e sulle
"agevolazioni fiscali per la realizzazione di interventi volti alla riduzione
del rischio idrogeologico e sismico" (AC 1578), quest'ultimo conosciuto come
istituzione del Geobonus.
Ed ancora la proposta di legge della Sen. Terzoni riguardante "disposizioni
concernenti l'applicazione di tecniche di ingegneria naturalistica nelle opere
pubbliche".
E non ultima la proposta di legge presentata dall'On. Moscatt, riguardante le
“Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 in materia di
monitoraggio e salvaguardia del territorio per la mitigazione del dissesto
idrogeologico e la prevenzione
dalle catastrofi naturali”, che, a valle della mozione di impegno al Governo
presentata in precedenza dallo stesso deputato, pone in essere, compatibilmente
con le risorse finanziarie e con i vincoli di bilancio, tutti gli atti necessari
per favorire l’implementazione nelle Pubbliche Amministrazioni della presenza
della figura tecnica di geologo, del quale si riconosce "la peculiare
specialistica professionalità" e istituisce la figura del “Geologo di Zona”
all'interno dei vari livelli della pubblica "dove la geologia è davvero
scarsamente rappresentata".
Erasmo D'Angelis, Capo della struttura di missione contro il dissesto
idrogeologico, dunque voce ufficiale del governo, ha dichiarato in questi giorni
che con "un geologo per ogni comune, avremmo risparmiato l'enorme spesa pubblica
utilizzata per affrontare la post emergenza di circa 3 miliardi e mezzo
all'anno"
Quella del geologo di zona non è una novità assoluta, infatti il 23 gennaio 1969
i deputati Sangalli, Vaghi, Mattarelli, Calvetti e Lobianco presentarono
un'analoga proposta di legge, dal titolo
"Istituzione del geologo di zona". Era il 1969, della proposta non se ne
fece nulla e delle conseguenze non occorre neanche accennare.
Di questo il Paese ha bisogno, per cui chiediamo al Governo e al Parlamento di
non relegare queste iniziative nel calderone delle proposte di legge rimaste
tali, ma abbia la consapevolezza di renderle misure efficaci di salvaguardia e
di sviluppo.