Strane storie tramandate oralmente
nella Siena del passato
Scherzi atroci e racconti fantastici
popolano la notte di una città medioevale
di Giuseppe Prunai
Quando ero un bambino mia nonna era delegata dalla famiglia a raccontarmi le
favole prima di
addormentarmi.
Siccome la vegliarda, la “sora Maria”, non aveva molta pazienza e molta voglia
di fare sforzi di memoria, di immaginazione e di fantasia, leggeva le favole in
un libro, “Le novelle della nonna” di Emma Perodi (foto a sinistra).
La Perodi (1850- 1918), giornalista
e scrittrice, soprattutto autrice di libri per l’infanzia, nelle sue
“Novelle della nonna” raccolse una serie
infinita di leggende e di racconti fantastici
uditi percorrendo di punta e di taglio
il Casentino. Nelle “Novelle” ci sono racconti da brivido, dei veri e propri
noir, popolati di fantasmi di
cavalieri caduti in battaglia a Campaldino che nelle notti di luna piena
spronavano i destrieri, visiera dell’elmo
calata e lancia in resta,
sulle creste dell’Alpe di Catinaia, la catena montuosa che separa il Casentino
(che è il bacino idrografico dell’Arno) dalla Valtiberina (il bacino idrografico
del Tevere): Falterona e Fumaiolo l’uno di fronte all’altro sulle cui vette,
nelle notti di luna piena, si davano convegno le streghe. Oppure narrano di
armigeri e di arcieri, protetti dai merli del castello Guidi di Poppi, che
lanciano frecce ed olio bollente sugli assalitori e annegano i prigionieri che
non potevano pagare riscatto nelle gelide acque del lago di Marena, che più che
un lago sembra un enorme fosso, stretto e lungo com’è.
Racconti goticheggianti, veri e propri horror, più adatti ad un lettore adulto
che ad un bambino. Ma ai suoi tempi e anche nei decenni successivi era di moda
terrorizzare i ragazzi, soprattutto al momento di andare a letto perché così
nascondevano la testa sotto le coltri, si addormentavano e stavano buoni fino al
mattino.
Storie fantastiche circolavano in ogni dove. Si parlava di fantasmi, come adesso
si parla di alieni o di cerchi nel grano.
A Siena, dove sono nato ed ho vissuto per molti anni, qualcuno pretendeva di
vedere spettri di guerrieri medioevali che si agitavano dall’alto di Porta
Camollia, di gentildame in armi, con elmo e corazza, che si aggiravano nei
pressi del famoso fortino dal quale le donne senesi parteciparono alla difesa
della città, di armigeri che facevano capolino dai merli dei palazzi. O di donne
di malaffare, più o meno discinte, che vagavano per Via di Fichereto (nomina
consequentia rerum): una strada non più
esistente, inglobata in orti e proprietà
private, che correva lungo le mura tra Fontegiusta e la Magione dei Cavalieri di
Malta, sempre nel rione di Camollia. Del
resto, secondo alcuni linguisti, questo nome, Camollia (in antico Kamullia),
significherebbe “luogo delle belle donne”.
Ma le storie fantastiche di una città che si apprendono vivendoci sono infinite.
Alcuni sono scherzi di cattivo gusto, non riconosciuti e non ammessi per non far
la figura degli imbecilli e poi, passando di bocca in bocca, di generazione in
generazione, arricchendosi ogni volta di un particolare, assurgono al rango di
semiverità, di leggenda. Ovviamente, metropolitana.
Nella zona sotto la Piazza del Mercato, dove adesso è un parcheggio un tempo c'era un fontanile, poco più che un lavatoio dove le donne andavano a fare il bucato
Una notte, un ceramista che aveva fatto molto tardi in una piccola fornace
situata sotto la Piazza del Mercato, stava tornando a casa, accompagnato da due
giovanotti che portavano una grande cesta con vasi e mattonelle appena sfornati.
Il ceramista era un signore piccolo di statura, indossava ancora il camice
bianco da lavoro, sfoggiava una barbetta da capra, aveva occhi penetranti, un
aspetto mefistofelico. Il gruppetto si imbatté in alcune donne, inginocchiate
dinanzi ad un fontanile, che stavano ripetendo una nenia lugubre che sembrava un
mantra.
- Cosa fate?
- Recitiamo una novena al Santo Vecchio Simeone perché ci dia tre numeri da
giocare al lotto
- Ecco i numeri: ruota di Cagliari,
23,69,77. Tre numeri che secondo la kabbalah hanno precisi riferimenti sessuali.
Emozione delle donne che credettero di trovarsi al cospetto dell’uomo giusto di
Gerusalemme che riconobbe il Messia nel giovinetto Gesù presentato al Tempio.
Ringraziamenti a non finire e qualcuna delle megere tentò di baciare il
gabbano bianco del presunto Santo Vecchio.
Il bello è che i tre numeri uscirono per davvero e in molti credettero alla
magica apparizione, descritta dalle donne che vi assistettero aggiungendovi ogni
volta qualcosa. Ma l’episodio non fu né
magico né un’apparizione perché il supposto Santo Vecchio Simeone
era un artista senese, uno dei ragazzi
con la cesta era suo figlio e l’altro il sottoscritto. Da dalle parti di
Malborghetto ne parlano ancora.
Ma di scherzi ben riusciti che nel
tempo assurgono immeritatamente al rango di manifestazioni paranormali se ne
raccontano a bizzeffe nelle piccola città.
Una notte, un gruppo di amici, giovanotti scioperati – adesso si chiamerebbero
“bamboccioni” – decise di farsi una scorpacciata di uva in un vigneto alla
periferia nord di Siena. Entrarono
in silenzio nella vigna, ma un cagnaccio da pagliaio ne avvertì la presenza e
prese ad abbaiare svegliando il contadino che comparve minaccioso con una
doppietta spianata. Allora, alcuni di quei giovanotti presero delle lenzuola
appese nell’aia ad asciugare, se le misero addosso e incominciarono a cantare
una nenia: “quando eravamo vivi, mangiavamo uva e fichi; adesso che siam morti
vaghiamo per questi orti”. Il
contadino non ebbe esitazioni. Dimenticando la tradizione popolare secondo la
quale se si spara ad un fantasma il fucile esplode, scaricò la doppietta contro
i presunti fantasmi, ma la canna destra del vetusto catenaccio si aprì a
ventaglio lanciando addosso al tiratore una miriade di schegge.
Dopo una ventina di anni, mi capitò di
passare nelle vicinanze di quella vigna, cenai in un’osteria nei paraggi e,
conversando con il titolare, spostati il discorso sull’episodio che, dissi,
avevo appreso alcuni
anni prima da un amico. L’oste si fece
il segno della croce e mi raccontò che il contadino aveva riportato solo ferite
leggere ma che da allora era perseguitato dai fantasmi che gli facevano ogni
sorta di dispetti per vendicarsi.
Ma la leggenda metropolitana per eccellenza, me la raccontò mia nonna.
Teatro degli avvenimenti, sempre a Siena, le Logge di Papa, un ampio loggiato
ordinato da papa Pio II Piccolomini
(1405-1464) dedicato ai suoi
parenti. “Pius II gentilibus suis piccolomineis” si legge sul frontone, proprio
dinanzi al palazzo Piccolomini, che adesso ospita l’Archivio di stato.
Le realizzò nel 1462, l’architetto
e scultore senese Antonio Federighi
(1420 – 1483) al quale si debbono molte altre opere d’arte custodite in città,
fra cui le statue della Loggia della Mercanzia (simile alle Logge del Papa), il
coronamento della cappella di Piazza del Campo ed una tarsia del pavimento
marmoreo del Duomo di
Siena, nella quale è ritratta la Sibilla Eritrea (fotyo a destra).
Adesso, la parete di fondo è tirata a calce, ma in altra epoca a qualche bello
spirito venne in mente di dipingervi un trompe-l’oeil: un grande portale al
centro e ai lati trifore e bifore, qualcuna anche con i vasi di fiori sul
davanzale. Imprecisata l’epoca dei fatti. La nonna parlava di metà
ottocento. Altre persone a conoscenza della storia,
la collocavano nel ‘700 o nel ‘600.
Un forestiero arrivò a Siena Era un mercante di prodotti agricoli, soprattutto
granaglie. Aveva degli appuntamenti con alcuni proprietari terrieri con i quali
si riprometteva di fare buoni affari. Ma il giorno del suo arrivo lo dedicò alla
visita della città che non conosceva. A sera, dopo una lauta cena, girò ancora
per Siena finendo alle Logge del Papa, le cui cancellate restavano aperte.
Entrò, si sedette su un sedile di pietra e stette ad ammirare il palazzo che
aveva di fronte. Ad un certo punto – raccontò il giorno dopo – arrivò una
carrozza dalla quale scese una signora, vestita un po’ fuori moda, che si
diresse verso il portale dipinto nella parete delle logge. La porta si aprì e
mentre la misteriosa signora sta
per
entrare inciampò e sarebbe caduta se il forestiero, che si era alzato in pedi al
suo passaggio, non l’avesse sostenuta. Ringraziamenti, presentazioni, invito ad
entrare e a bere un cordiale. Si accomodarono in una sorta di boudoir.
Lui era un mercante e la signora una
ricca proprietaria terriera. Cominciarono a discutere di prezzi: il grano un
tanto allo staio, l’olio tanto la soma, il vino tanto al barile, la legna tanto
lo stero*. Tra
un bicchierino di vinsanto e l’altro,
il mercante contrattò l’acquisto di svariati prodotti. Si era fatto tardi
e la signora e il forestiero si dettero appuntamento per la mattina dopo per
recarsi alla fattoria per ispezionare la merce ed accordarsi per il pagamento e
la spedizione (a sinistra: lo stemma Piccolomini).
La mattina il mercante si recò alle Logge. Sostò perplesso dinanzi al finto
portale cercando un campanello. Non trovandolo, cominciò a bussare sul portale,
cioè sul muro. Fu notato da alcuni passanti che gli chiesero cosa stesse
facendo. Quando l’uomo spiegò che cercava la signora, i risolini cominciarono a
sprecarsi e qualcuno cominciò a chiedersi se non fosse ubriaco o matto e chiamò
le guardie. Dinanzi alle proteste e al convinto racconto del forestiero, tutti
si stringevano nella spalle. Poi a qualcuno venne un’idea. Tra il lato destro
delle logge e la vicina chiesa di San Martino, c’è uno slargo sul quale si
affacciano le porte di alcuni magazzini. Entrano in uno di questi, alle spalle
della parete di fondo delle logge e vi trovarono un divano mezzo sfondato, un
tavolinetto con due bicchierini e una bottiglia con dei residui di vinsanto.
E qui la storia finisce, almeno nella versione della nonna. Un’altra persona
anziana, mi raccontò altri dettagli secondo i quali il forestiero, riabilitato
agli occhi di chi lo derideva, chiamò una carrozza e si fece portare via da
Siena dicendo che non avrebbe mai
più messo piede in quella città popolata di fantasmi.
“Res inusitatae accidunt”, accadono fatti strani scrive Lucrezio prima di
narrare una serie di incredibili prodigi: ed è proprio la sua sentenza iniziale
a dare un minimo di credibilità alla narrazione di storie incredibili, come
quella del forestiero che fece l’incredibile incontro. Ma in certi contesti
urbani di antiche città medioevali cariche di mistero, storia e leggenda, realtà
e fantasia, normale e paranormale finiscono per fondersi ed acquistare insoliti
spessori.
Nessuno crede a questa storia, è certamente una leggenda. Però…….
*Staio, soma, barile, stero sono unità di misura in uso anticamente in Toscana.
Lo staio di semi o granaglie corrispondeva a 24,36 litri, il barile equivaleva a
33,43 litri e la soma a 66,86 litri. Lo stero (misura della legna da ardere
tuttora in uso in alcune regioni) corrisponde ad una catasta di un metro cubo.