Lotta all’AIDS

L’obiettivo è:

 eradicare il virus

dall’organismo dei contagiati

A colloquio con il Nobel per la medicina 2008 Françoise Barré-Sinoussi che lotta contro la pandemia

 

di Luisa Monini

 

 

E’ lei: Françoise Barré-Sinoussi*  la scienziata che, con fermezza e perseveranza, a distanza di 31 anni dalla individuazione del virus dell’HIV (Human Immunodeficiency Virus) che nel 2008 la portò al Nobel per la Medicina, continua la sua lotta alla pandemia tra le più gravi che la storia ricordi e verso la quale non è stata ancora trovata la cura definitiva  mentre pregiudizio e stigma ne ostacolano la prevenzione, l’unica vera arma oggi a disposizione per interrompere la catena della trasmissione interumana. La Melbourne Declaration presentata dal Nobel nel recente congresso internazionale sull’ AIDS in Australia e anticipata a Lindau al 64mo Meeting dei Nobel Laureate, sintetizza in poche righe il pensiero della scienziata e di tutti quelli che, come lei, da anni combattono l’ HIV e tutto ciò che da un punto di vista sociale, politico, culturale ed economico, impedisce  ai pazienti di vedere riconosciuti i propri fondamentali diritti umani. “Per sconfiggere L’HIV e raggiungere l’ accesso universale alla prevenzione, al trattamento e alla cura “ si legge nella Dichiarazione  “nessuno dovrebbe essere discriminato a causa del sesso, dell’ età, della razza, dell’origine etnica, della disabilità, della religione, del paese d’ origine, dell’orientamento sessuale, dell’ identità di genere, dello status di prigioniero o detenuto, dell’ uso che fanno o hanno fatto di droghe illecite o del fatto che vivono con l’ HIV.”

Atteggiamenti repressivi che, secondo la scienziata, non fanno altro che favorire la diffusione del virus che, di fatto, a 31 anni dalla sua scoperta, continua a colpire milioni di persone al mondo. I numeri sono impressionanti: circa 14 milioni sono le persone malate di AIDS trattate con farmaci antiretrovirali; almeno altri 15 milioni di pazienti necessiterebbero di cure e il 30-50% delle persone infette non sanno di esserlo. L’AIDS però, grazie alle terapie, nel corso degli anni è cambiata e, da catastrofe planetaria si è trasformata in una malattia cronica. Anche le persone sieropositive sono cambiate e oggi sono soprattutto gli eterosessuali, piuttosto che i tossicodipendenti e gli omosessuali, ad essere colpiti dal male. Persone che, consapevoli dei grandi successi della ricerca, si aspettano di vivere a lungo e bene. A Lindau, il Nobel ha tenuto la sua lettura Sulla strada verso la cura dell’ HIV illuminando le menti degli oltre 600 giovani ricercatori presenti nella InsenHalle e, soprattutto, il futuro dei milioni di malati ancora oggi in attesa della cura definitiva. Perché sconfiggere l’AIDS, secondo Barrè Sinoussi, oggi si può.

Françoise Barré-Sinoussi (a sinistra) con la nostra inviata Luisa Monini

“Abbiamo attualmente a disposizione due possibili strategie d’azione” ha spiegato il Nobel “la cura funzionale che blocca il virus impedendogli di diffondersi ulteriormente all’interno delle cellule dell’ospite e la cura che lo eradica definitivamente dal corpo del paziente”. Mentre però la scienziata è convinta che la cura funzionale che impedirebbe ai pazienti di prendere un cocktail di farmaci antiretrovirali per il resto della loro vita, è realizzabile, la cura che eradica il virus dal corpo è una sfida più  dura ma non impossibile. La difficoltà nasce dal fatto che il virus rimane latente, anche per molti anni, dentro cellule di importanza strategica nel processo di difesa immunitaria sulla cui superficie è presente il recettore CD4 sul quale  il virus si aggancia per poi penetrarle; in questo modo il sistema immunitario non potrà più individuarle. Queste cellule  rappresentano la riserva del virus e possono causare un rebound virale non appena si sospende la terapia. “Abbiamo capito che il virus deve essere stanato dai serbatoi dentro i quali si nasconde. Solo così lo si potrà combattere definitivamente”. Il Nobel racconta di aver chiesto ad alcuni pazienti che tipo di terapia avrebbero desiderato per curare il loro male e che la loro risposta è stata che avrebbero voluto un trattamento da poter interrompere. “Con la cura funzionale” spiega Barrè Sinoussi“ questo diventa possibile perché nell’ organismo del paziente persistono piccole quantità di virus che però rimangono controllate senza assunzione di farmaci .Questa sorta di equilibrio tra l’ospite e il virus esiste già in natura; noi scienziati dovremmo solo essere in grado di indurlo artificialmente ”.

A questo proposito F.B.S. ricorda le principali ricerche che con il suo team sta conducendo nell’Istituto Pasteur da lei diretto “Stiamo studiando un gruppo di 14 pazienti, i Visconti patients (Virological and Immunological Studies in Controllers after Treatment Interruption) che furono trattati con ART (terapia antiretrovirale) subito dopo aver contratto l’infezione e che dopo tre anni, d’ accordo con il loro medico, hanno smesso le cure. Attualmente sono 9 anni che sono senza trattamento, si sentono perfettamente bene, e sono in grado di controllare da soli la replicazione del virus che è molto bassa. La nostra ricerca mira a caratterizzare meglio il meccanismo che sottende la loro abilità nel controllare il virus. Comunque” sostiene il Nobel” questi dati rinforzano l’ idea che il trattamento molto precoce è certamente una buona soluzione, anche se molto impegnativo su larga scala perché è praticamente impossibile identificare immediatamente le persone che si infettano.

C’è un’ altra categoria di pazienti” continua la scienziata “ che stiamo seguendo, gli Elite Controllers. Si tratta di persone HIV positive che, pur non avendo mai ricevuto un trattamento con ART, sono in grado di controllare naturalmente l’ infezione. Abbiamo evidenziato in loro una forte risposta immune delle cellule CD8 associata al profilo genetico di tipo HLA B57 o HLA B27 che sembra facilitare il controllo del virus. Quello che stiamo cercando di dimostrare è perché le loro cellule sono in grado di controllare le infezioni senza alcun trattamento”. Ma la ricerca che affascina di più il Nobel è quella riguardante le cellule dendritiche, così chiamate per la loro forma arborescente, anch’esse facenti parte del sistema immunitario, in grado di intrappolare il virus soprattutto nei linfonodi. Grazie alla loro notevole esposizione antigenica, interagiscono attivamente con le altre cellule del sistema immunitario, innescando così la risposta immunitaria innata ed attivando quella acquisita. “Un gruppo del mio team sta studiando l’innata immunità e l’interazione tra i Linfociti Natural Killer (importanti nel riconoscimento e distruzione delle cellule infette dal virus N.d.R.) e le cellule dendritiche, focalizzando l’ attenzione sull’ impatto di queste interazioni sul controllo dell’ infezione HIV  nel sangue e al livello delle mucose, anche uterina. Per ora “sostiene il Nobel “si tratta solo di studi in vitro che però suggeriscono che queste cellule, in grado di controllare l’infezione dell’ HIV nelle altre cellule ivi incluse le CD 4, possano essere prese in considerazione per sviluppare strategie vaccinali contro l’ HIV. La speranza è che, grazie ai differenti filoni di ricerca in corso, si riesca ad individuare i  meccanismi che sottendono il controllo immunologico dell’ infezione HIV in modo che si possa indurre lo stesso controllo “ artificialmente “ in individui che ne sono privi, grazie ai farmaci di nuova generazione. Nel suo ruolo di presidente della Società internazionale dell’ AIDS, il Nobel ritiene suo preciso dovere promuovere la collaborazione ai massimi livelli  tra i ricercatori di tutto il mondo affinché trovino le migliori cure per trattare e prevenire l'HIV. “ Abbiamo raggiunto risultati importanti ma dobbiamo prendere in considerazione altre soluzioni per il futuro. Sono tali e tanti i progressi fatti in questi anni nella lotta all’ HIV che una generazione libera dal virus è a portata di mano”. Secondo la scienziata non c'è nessun motivo di rinunciare a una cura che possa indurre una remissione permanente soprattutto perché oggi esiste un numero crescente di dati che indicano che è possibile fermare l'AIDS.“ E' meraviglioso avere oggi gli antiretrovirali, ma sarebbe ancor più meraviglioso riuscire a mettere fine alle cure, per il paziente e per il bilancio dei governi” sostiene il Nobel. Quindi,”Go ahead”. Andiamo avanti.

 

*Françoise Barrè Sinoussi è direttore dell’Unità di Regolazione delle infezioni retro virali presso l’ Istituto Pasteur di Parigi. Nel 2008 è stata insignita del Premio Nobel per la Fisiologia o Medicina con Luc Montagnier per la loro scoperta dell’HIV nel 1983. Nel 2012 è stata nominata presidente della società internazionale dell’ AIDS.

 

 

 

NOTA

In Italia le nuove infezioni da HIV sono in diminuzione: secondo la relazione annuale del Centro operativo AIDS del’ISS nel 2010 sono stati 5,5 ogni centomila abitanti. Un dato solo parzialmente positivo: a calare, infatti, sono solo i contagi avvenuti per scambio di siringhe contaminate, mentre rimane altissimo e invariato il numero di casi dovuti a rapporti sessuali non protetti - soprattutto tra eterosessuali - che rappresentano l’80,7% di tutte le nuove segnalazioni. In tutto, le persone che convivono con il virus (già malate di AIDS - la malattia causata dal virus dell'immunodeficienza umana che indebolisce il sistema immunitario – e non) si aggira intorno alle 157mila. La relazione conferma anche un altro preoccupante trend: oltre un terzo delle persone colpite scopre di essere sieropositivo nello stesso momento in cui apprende di avere l’AIDS, per di più in fase avanzata, con una seria compromissione del sistema immunitario. Attualmente, infatti, si stima che una persona su quattro non sappia di essere infetta (un dato che condividiamo con il resto dell’Europa Occidentale).

Il Galileo