Dalla belle époque al dopoguerra
Si volta pagina
I cambiamenti nelle abitudini e nei costumi
Imposti dalla nuova era
di Magali Prunai
Molte parole si sono scritte e dette sulle ragioni politiche, molta dietrologia
si è fatta sulle azioni di ogni singola nazione per spiegare e giustificare il
suo intervento o la sua neutralità. Poco si è parlato, invece, di come la guerra
ha cambiato drasticamente il modo di vivere della popolazione europea,
soprattutto dei giovani.
Siamo
ai primi del ‘900, il mondo è diviso in quattro blocchi fondamentali: l’impero
Austro-ungarico, governato dall’ormai anziano imperatore Francesco Giuseppe I;
l’immenso impero Russo, sotto il giogo dello Zar Nicola che presto verrà
destituito dalla Rivoluzione d’ottobre; l’impero Ottomano e la Germania
dell’imperatore Guglielmo II. Quattro imperi che si contendevano il potere e che
si estendevano su aree geografiche molto estese, talmente estese da mantenere
difficilmente il controllo su tutta la popolazione e con malcontenti sempre più
frequenti. L’attentato di Sarajevo, considerato un pretesto per scatenare una
sanguinosa guerra di trincea che durerà ben cinque anni, ha come motivazione
ufficiale proprio lo scontento delle popolazioni periferiche e un primo pallido
desiderio di autodeterminazione dei popoli.
Mentre ai confini degli imperi serpeggiava lo sconforto e un sentimento di
indipendenza era sempre più crescente in tutti i livelli sociali, anche se in
misura diversa; nelle capitali e nelle zone centrali la vita scorreva lenta e
immobile. C’erano i poveri, che lavoravano e morivano di fatica, invisibili al
mondo; la nuova borghesia, che già dall’ottocento tentava di affermarsi ai
livelli più alti della società detenendo il potere economico; e infine c’era la
nobiltà, che viveva in maniera parassitaria, nel lusso e nello sfarzo senza
curarsi, per lo più, di quanto accadeva se non in maniera superficiale, giusto
per avere argomenti di conversazione in qualche salotto dove passare alcune ore
il pomeriggio.
La chiesa di Santa Maria degli Angeli, comunemente chiamata chiesa dei
Cappuccini (Kapuzinerkirche) è una chiesa di Vienna con annesso monastero
dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, fondata nel 1617 e dedicata nel 1632.
Allo scoppio della guerra la vita cambia, e cambia per tutti. I giovani, di
qualsiasi livello e condizione sociale, vengono richiamati alle armi e spediti
al fronte. In trincea le differenze sociali non esistono, tutti vestono una
stessa divisa e tutti rischiano la prigionia o la morte per la stessa ragione.
Nel 1918, a conflitto concluso, gli imperi non esistono più. Il mondo si
sgretola, si divide, si separa e la gioventù che rientra a casa è spaesata,
persa in un mondo che non riconosce e non conosce più.
L'interno della cripta
Partiti poco più che ragazzini, si pensi ad esempio ai ragazzi del ’99 spediti
al fronte a soli 15 anni, ritornano uomini fatti e vissuti. Le atrocità della
guerra, morti, gente mutilata, le urla delle battaglie e il rombo degli
strumenti di guerra, sono impressi nelle loro menti e là rimarranno per sempre.
Ritornati in patria si ritrovano persi e abbandonati dal proprio Stato, che non
esiste più così come loro lo avevano lasciato. I quattro imperi non ci sono più,
le convenzioni sociali alle quali erano abituati sono state messe da parte,
cambiate dalla guerra. Chi torna non sa come riambientarsi e, soprattutto, non
sa cosa fare. Non ha finito gli studi e ora è impensabile riprenderli, non ha un
lavoro e, molti, non sono mai stati abituati a lavorare. Una generazione intera
che si ritrova a sentirsi e ad essere vecchia prima del tempo. Il mondo è
cambiato sotto ai loro occhi, senza però che potessero approfittare di questo
cambiamento. Ventenni, trentenni che rimpiangono il passato, che desiderano
tornare indietro perché il futuro non ha niente da offrirgli. La situazione non
è molto diversa, in fin dei conti, a quella attuale del nostro mondo. I grandi
imperi assolutisti sono stati rimpiazzati da quelli economici e la grande guerra
è stata sostituita da una crisi economica che, per ora, non vede ancora una vera
e propria conclusione.
Joseph
Roth (foto a sinistra; nella foto a destra, la divisa insaguinata che indosa
Francesco Ferdinando al momento dell'attentato), ne “La Cripta dei Cappuccini”,
esprime bene questo sentimento quando il suo protagonista, un giovane nobilotto
nulla facente prima della guerra, si ritrova a tornare in una Vienna impoverita,
dove si sente inadeguato e le cui abitudini cambiano drasticamente. Ritorna nel
ristorante che frequentava sempre, con tutta la sua compagnia di amici nulla
facenti come lui, e quando si siede a tavola si rende conto che deve pagare per
la prima volta nella sua vita la consumazione, che non verrà più segnata su un
conto destinato a rimanere insoluto vita natural durante. E il suo senso di
forte appartenenza al passato, di estraneità al presente si manifesta
completamente quando, una sera, passando davanti alla Cripta dei Cappuccini
ormai chiusa chiede di poterla visitare. Il guardiano, commosso dal fatto che un
giovane voglia rendere omaggio alla tomba dell’amato vecchio imperatore, lo
lascia entrare e lui si sente parte di quel tempo sepolto nella Cripta, un tempo
che non potrà mai tornare. Il mondo va avanti ma lui, e tutti quelli come lui,
sono rimasti ancorati a quell’epoca, a quel modo di vivere ed essere. Non hanno
vissuto i cambiamenti ma ci si sono ritrovati in mezzo e per questa ragione si
sentono morti prima del tempo. Sono corpi che camminano, ma dentro sono vuoti.
La morte, che un giorno inesorabile arriverà, non farà altro che porre fine a
una vita già terminata da tempo, concluderà semplicemente il movimento di un
corpo vuoto che procede per inerzia, senza passione, senza scopo.