A 90 anni dall’assassinio

di Giacomo Matteotti

 

“UCCIDETE PURE ME,

MA L’IDEA CHE E’ IN ME

NON L’UCCIDERETE MAI”

 

Il deputato socialista sequestrato e assassinato il 30 maggio 1924 – Il suo cadavere fu ritrovato il 16 agosto nella macchia della Quartarella, vicino a Riano Flaminio, 25 Km a nord di Roma

 

 

di Magali Prunai

 

 

«Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni».  Queste le parole con cui il deputato socialista Giacomo Matteotti (fono a sinistra)  contestava in Parlamento la validità delle elezioni del 1924. Era il 30 maggio, scomparso ai primi di giugno il suo cadavere venne ritrovato il 16 agosto.

«Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». Mai parole furono più profetiche. Finito il suo discorso di protesta contro i fascisti e i loro metodi per ottenere voti avvertì i suoi compagni di partito che quella volta la vendetta sarebbe stata esemplare.

Il pomeriggio del 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti uscì di casa e si diresse verso Montecitorio passando per il lungotevere Arnaldo da Brescia. Qui, secondo la testimonianza di due ragazzini che assistettero al fatto, si trovava parcheggiata un’auto scura, una Lancia Lambda, con a bordo alcuni membri della polizia politica. Quando il deputato passò accanto alla macchina ne scesero due persone che gli balzarono addosso ma, non riuscendo a trascinarlo nell’automobile, dovette intervenire una terza persona che lo stordì con un pugno. Matteotti riuscì, comunque, a lanciare fuori dal finestrino dell’auto in corsa il suo tesserino da deputato che venne ritrovato da alcuni  contadini nelle vicinanze del Ponte del Risorgimento. Accoltellato a morte, il suo cadavere venne nascosto in una buca scavata nelle vicinanze di Riano, un comune a 25 km da Roma.

L’undici di giugno i giornali riportavano la notizia della scomparsa del deputato e il dodici partirono le prime indagini, portate avanti dal magistrato Mauro Del Giudice il quale, insieme al giudice Umberto Guglielmo Tancredi, individuò fin dall’inizio l’assassino in Amerigo Dumini. Nel giro di poco tutti i rapitori vennero individuati ed arrestati, ma per intervento di Mussolini le indagini vennero fermate e Del Giudice fu prima allontanato da Roma e poi costretto al pensionamento forzato.

In questo stallo totale della giustizia i socialisti unitari vicini a Filippo Turati denunciarono la non volontà di proseguire le indagini e di scoprire le radici dell’ambiente di provenienza di questi delinquenti. Per tutta risposta venne organizzata una manifestazione di sostegno al fascismo a Bologna e il 24 giugno il Senato riconfermò la fiducia a Mussolini. L’opposizione si riunì per protesta nella sala dell’Aventino rifiutandosi di partecipare a qualsiasi lavoro parlamentare finché il governo non avesse chiarito la sua posizione rispetto all’omicidio Matteotti. In luglio, approfittando dell’assenza dell’opposizione, vennero approvati nuovi regolamenti restrittivi sulla stampa.

Il corpo di Matteotti fu ritrovato per caso il 16 agosto dal cane di un brigadiere dei carabinieri nella “macchia della Quartarella”, nel comune di Riano. Riconosciuto dai parenti il corpo rimase per alcuni mesi al cimitero di Riano. Mussolini dispose perché venissero celebrati dei funerali imponenti da tenersi nel comune di nascita di Matteotti per non dare troppo nell’occhio, ma i familiari rifiutarono la presenza di un qualsiasi membro del partito fascista o della milizia fascista.

I cognati di Matteotti si recano a riconoscere il corpo del congiunto

 

 

Fin dalla notizia  della scomparsa e poi dalla scoperta del cadavere l’idea che il diretto responsabile fosse stato Mussolini s’insinuò sempre di più nell’opinione pubblica. Il giorno dopo il discorso di Matteotti, infatti, il presidente del consiglio scrisse su “Il popolo d’Italia” che la maggioranza era stata fino a quel momento troppo paziente e che una risposta verbale non bastava per la dichiarazione del deputato socialista. Secondo una delle ricostruzione fatte successivamente, dopo il discorso di Matteotti Mussolini avrebbe domandato estremamente adirato al capo della polizia perché il deputato fosse ancora in circolazione e che in base a questa domanda venne ordinata la sua uccisione.

 

Il Monumento a Giacomo Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, a Roma

 

 

A gennaio del 1925, comunque, il presidente del consiglio in un suo discorso alla Camera respinse l’accusa che lo vedeva implicato nell’omicidio e, pronunciando un discorso di difesa del fascismo, si assunse ogni responsabilità politica, morale e storica se gli italiani non vedessero in esso “la migliore gioventù italiana”. 

«Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi».

Questo discorso lo salvò dall’opinione pubblica al momento vacillante e riuscì, così, a vanificare l’azione di Matteotti che con le sue parole aveva cercato di far nascere una serrata opposizione in Parlamento e probabilmente anche per le strade del nostro paese. Ma non lo salvò, anzi lo condannò ancora di più, quando venne arrestato dai partigiani mentre era vigliaccamente in fuga nel 1945.

Il Galileo