Tomo-Etna
E’ il nome del programma scientifico che 60 ricercatori, provenienti da tutto il
mondo, per studiare il ruolo del vulcano nella collisione tra placca africana e
placca euroasiatica – L’esperimento, coordinato dall’Istituto nazionale di
geofisica e vulcanologia, sarà
supportato dalla Marina Militare Italiana
Nei prossimi mesi, tra giugno e luglio avrà luogo in Sicilia, sul Monte Etna e
nella porzione di mare antistante, un esperimento scientifico coordinato
dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) - Sezione di Catania,
denominato “Tomo-Etna”, che vedrà la partecipazione di oltre 60 ricercatori
provenienti da tutto il mondo: Italia, Spagna, Germania, Russia, Stati Uniti,
Irlanda e Messico. La ricerca, realizzata nell’ambito dei due progetti europei
“Mediterranean Supersite Volcanoes (Medsuv)” ed “Eurofleets 2” del Settimo
programma quadro, verrà supportata dalla Marina Militare Italiana.
L’Etna sorge in una regione complessa dal punto di vista geodinamico, dove la
distribuzione delle principali strutture tettoniche (faglie) gioca un ruolo
fondamentale nella dinamica eruttiva. Le sue radici si collocano in una zona di
convergenza, dove si hanno sia moti compressivi, dovuti alla subduzione della
placca ionica al di sotto della Calabria, sia distensivi, dovuti al moto
rotatorio di una porzione della placca africana in collisione con quella
euroasiatica. Ancora oggi i maggiori limiti nella comprensione della dinamica di
questo vulcano risiedono in parte nella mancata conoscenza delle caratteristiche
strutturali del suo basamento e della crosta intermedia e profonda. Infatti,
sebbene l’intera Sicilia sia stata oggetto di campagne pioneristiche di sismica
crostale profonda tra il 1968 e il 1994 e successivamente solo di campagne a
mare (es. progetto CROP), che hanno permesso di ottenere buone informazioni
sulle strutture tettoniche offshore, la conoscenza delle principali faglie
presenti nella terraferma è ancora decisamente carente. Ad esempio, è ancora
poco nota la struttura tettonica che ha generato il terremoto del 1818 di
magnitudo 6.1, ad oggi considerato un evento “anomalo” nel contesto dei
terremoti etnei. Analogamente, risultano ancora poco caratterizzate le grandi
strutture tettoniche regionali che interagiscono con l’Etna, come la fascia
strutturale della scarpata “Ibleo-Maltese” in prossimità dell’Etna e la
struttura denominata “Tindari-Letojanni” che si sviluppa a nord dell’Etna e
prosegue attraversando il Golfo di Patti sino all’isola di Vulcano. In questo
settore della Sicilia, estremamente complesso dal punto di vista geodinamico,
esistono molte ipotesi ma manca ancora un modello definitivo, che spieghi in
modo univoco come interagiscono le grandi strutture tettoniche con il vulcanismo
Etneo.
L’obiettivo dell’esperimento Tomo-Etna, è quello di analizzare le strutture
tettoniche e subvulcaniche della crosta su cui poggia il Monte Etna, comprese le
strutture crostali delle aree adiacenti sia a terra che a mare, attraverso
tecniche di sismica attiva (che sfruttano le onde generate in acqua con aria
compressa) e passiva (mediante la registrazione degli eventi sismici naturali).
La mappa geologica dell'Etna
La nave oceanografica spagnola Sarmiento de Gamboa CSIC-UTM (Spagna) e la nave
greca Aegea contribuiranno alla sperimentazione programmata, unitamente alla
nave idro-oceanografica Galatea della Marina Militare Italiana, e probabilmente
ad una ulteriore unità navale di supporto per la fase relativa alle attività di
sismica a riflessione.
Le attività a mare verranno condotte a distanza dalla costa da un minimo di 3-4
km sino ad un massimo di circa 50 km, e oltre alla parte Ionica sarà interessata
anche l’area del basso Tirreno tra il Golfo di Patti e le isole Eolie. Nel corso
della crociera verrà anche utilizzato un cavo di 240 geofoni lungo 3 km, il
quale servirà per realizzare numerosi profili di sismica a riflessione (per
circa 1400 km), finalizzati a conoscere nel dettaglio le principali
discontinuità della crosta e ricostruire con precisione la topografia del
mantello (MOHO).
I segnali sismici saranno acquisiti a terra tramite le 70 stazioni della rete
sismica permanente dell’Ingv, integrata da una rete temporanea di 100 stazioni
dell’Istituto di ricerca GFZ (Germania) che verranno collocate sia sull’Etna sia
nei territori circostanti, nelle provincie di Catania, Messina e Siracusa. Sul
fondo marino sarà invece disposta una rete di 25 stazioni sismiche (OBS/H, Ocean
Bottom Seismometers), per la registrazione della sismicità artificiale e
naturale.
La rete di stazioni OBS coprirà una zona che si estende dall’area etnea fino
all’arcipelago delle Isole Eolie allo scopo di ottenere, per la prima volta, una
tomografia 3D ad alta risoluzione nell’area marina antistante l’Etna e di
indagare con grande dettaglio le strutture tettoniche regionali che si estendono
dal Tirreno meridionale allo Ionio e che interagiscono con il sistema vulcanico
etneo. Durante le crociere verranno anche utilizzati magnetometri e gravimetri
al fine di realizzare mappe di anomalia magnetica e gravimetrica. Inoltre, per
rilevare gli elementi geologici superficiali delle aree sommerse, saranno
effettuate indagini Multibeam e Side-scan Sonar in aree di particolare interesse
e laddove i dati già esistenti non offrono una risoluzione adeguata.
Le stazioni sismiche impegnate
L’insieme dei dati acquisiti durante l’esperimento permetterà di realizzare,
quindi, un’accurata tomografia dell’Etna, capace di gettare nuova luce nella
comprensione dei processi di risalita magmatici. Grazie a questo esperimento,
che interesserà anche le aree circostanti il vulcano, inclusa la sua parte a
mare prospiciente, sarà possibile anche investigare i meccanismi di
“scivolamento” del fianco orientale del vulcano e, ancora, studiare le diverse
faglie che sono presenti al di sotto della copertura vulcanica e nella parte a
mare. Inoltre, sarà possibile verificare la struttura di rigonfiamento che c’è
nella porzione dei fondali di fronte l’Etna, unitamente all’ipotesi di un
vulcano sottomarino sostenuta da alcuni ricercatori anni orsono.
I risultati attesi avranno un effetto positivo non solo sulla comunità
scientifica vulcanologica, ma anche sulla popolazione che vive ai piedi del
vulcano, visto che questi risultati potranno dare un contributo alla mitigazione
del rischio vulcanico. Infatti, l'attuale vulnerabilità della società alle
eruzioni vulcaniche è fortemente aumentata negli ultimi decenni, come dimostrato
dalle conseguenze delle recenti eruzioni etnee nonostante la loro piccola
magnitudo. In questa prospettiva, pertanto, meglio sono conosciuti i processi
vulcanici più si è pronti a mitigarne l’impatto sul territorio. Infine, la
migliore definizione della complessa geometria di faglie e di unità litologiche
che caratterizzano la crosta in questo settore della Sicilia potrà consentire
una più adeguata ed efficace mitigazione del rischio sismico in una delle aree
sismiche più pericolose d’Italia.