Mozia, un quartiere da svelare
Un intero quartiere di età fenicio-punica con la segnatura di abitazioni, strade
e mura perimetrali rivelato, attraverso prospezioni geofisiche, da un team
dell’Ingv
Un complesso sistema di strade, mura, pavimenti, abitazioni, strutture
rettilinee e curvilinee di un antico quartiere nascosto sotto i vigneti, è stato
localizzato nell’Isola di Mozia, di fronte a Trapani. A metterne in risalto
l’immagine, grazie a magnetometri e georadar, un gruppo di ricercatori
dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), in collaborazione
con la missione archeologica di Mozia dell’Università Sapienza di Roma, la
Sovrintendenza ai beni monumentali e ambientali di Trapani e la fondazione
Whitaker. I risultati dell’indagine sono stati recentemente pubblicati sul
Journal of Applied Geophysics.
“I dati geofisici, raccolti con magnetometri e apparecchiature
elettromagnetiche”, afferma Domenico Di Mauro, ricercatore dell’Ingv, “ci hanno
permesso di individuare l’immagine del quartiere urbano presente nell’area a
sud-ovest del Tophet, il santuario a cielo aperto dove anticamente venivano
praticati sacrifici e sepolture. Le geometrie, le dimensioni, la densità degli
agglomerati, tipiche delle strutture delle colonie fenicio-puniche del
Mediterraneo sono state poi confrontate con altre evidenze già scoperte
sull’Isola”.
Mozia, uno dei più interessanti siti dell'archeologia fenicio-punica, esplorato
ancora in minima parte, custodisce le vestigia di una delle più fiorenti colonie
del Mediterraneo. Con un'estensione di quasi 45 ettari, l’isola vantava
un’efficiente organizzazione urbana.
“Lo studio consente di formulare alcune ipotesi sulla popolazione di Mozia al
tempo del suo massimo splendore (IV-V secolo a.C.). A differenza di
quanto stimato dagli storici nel secolo scorso, che calcolavano il numero
di abitanti intorno alle quindicimila unità, si è potuto quantificare un numero
non superiore alla decina di migliaia”, aggiunge il ricercatore.
Ricercatori all'opera
Le prospezioni geofisiche eseguite sull’isola hanno il vantaggio di essere non
invasive e di rapida esecuzione. La strumentazione portatile è in grado di
rilevare i resti archeologici, non ancora rinvenuti, sfruttando le proprietà
magnetiche, elettriche ed elettromagnetiche dei materiali costituenti. Il
contrasto tra queste
proprietà e il terreno può fornire informazioni preziose, in termini di mappe e
immagini, su quanto cercato nel sottosuolo.
“Lo studio rappresenta un ulteriore esempio di applicazione delle metodologie di
indagine geofisica in ambito archeologico, al fine di evidenziare zone ancora
inesplorate”, conclude Di Mauro.