Roberto Cresti: “Frammenti di Siena – Un viaggio
tra personaggi, luoghi e aneddoti della storia senese” con
la collaborazione di Maura Martellucci, Betti Editrice, Siena. Pp 212, €
20,00
Recensione di Giuseppe Prunai
Illuminante
il titolo della prefazione del prof.
Duccio Balestracci, ordinario di storia medioevale nello Studio
Senese: “Fra luoghi e luoghi comuni”. Quei luoghi comuni che, tramandati
oralmente nei secoli, di volta in volta arricchiti di dettagli,
finiscono per somigliare ad
inconfutabili verità storiche e invece sono soltanto delle solenni bufale del
tutto autoreferenziali, delle leggende metropolitane prive di fondamento. Anche
se, e non sono in pochi a sostenerlo, all’origine di ogni leggenda c’è sempre un
pizzico di verità. Ma il più delle volte è solo il sospetto di una verità
della quale non si trovano le fonti. Balestracci
dice che Cresti cerca di capire (e far capire) lo spirito della città. Ma non è
molto convinto della parola “spirito” e di quanto questa
ci comunica e preferisce ricorrere al
tedesco “geist”, termine più completo quanto a significati, anche reconditi.
Altri si sarebbero affidati al francese “esprit”
o, tanto per restare in casa propria, all’italiana “essenza” o
“nòcciolo”. Ma in tema di filologia e di
semantica tutto è soggettivo e le discussioni lasciano il tempo che trovano.
Roberto Cresti, appassionato studioso di storia locale, autore o coautore di
varie pubblicazioni che riguardano Siena e il suo territorio, parte lancia in
resta contro le false credenze.
Ciò che colpisce di questo libro è l’abbondante materiale bibliografico e la
grande mole di ricerche d’archivio che debbono aver richiesto
molto tempo ed una discreta dose di pazienza. Il recensore di questo
libro, che per motivi di famiglia conosce abbastanza bene archivi storici e
biblioteche, sa quali siano le difficoltà di una ricerca affidandosi, per
lo più, ad inventari cartacei (non tutto
è informatizzato) redatti nel tardo ‘800
o ai primi del ‘900 che costringono il malcapitato ricercatore
ad esaminare filza su filza e pagina su
pagina a caccia di una notizia interessante.
Anche se la mole di notizie, di dati e di ricerche comporta un eccesso
d’analisi, in alcuni casi a scapito della sintesi (ma è un’abitudine riscontrata
in altri storiografi senesi), la
narrazione (perché di una vera e propria narrazione si tratta) scorre veloce e
piacevole con un unico filo conduttore: la città di Siena di cui il Cresti è
innamorato, anzi – per dirla alla senese – è un “passionista”.
Il Duomo di Siena in una stampa ottocentesca
Uno ad uno, Cresti, demolisce alcuni miti, semina il dubbio, sembra un Francesco
Bacone a caccia di “idola”, delle illusioni e dei fantasmi della nostra mente.
Si sfatano credenze su Duccio di Buoninsegna, su Jacopo della Quercia,
su Santa Caterina e su Sant’Ansano, l’evangelizzatore di Siena.
E si parla, ovviamente, anche di Palio, del palio antico che si correva
“alla lunga”, per le strade principali della città. C’era il premio per il
vincitore, ma anche per chi perdeva: un maialino da fare arrosto. Ma uno dei
perdenti, ritenendosi danneggiato, per protesta rifiutò di ritirare il premio di
consolazione.
E qui, val la pena di aggiungere un aneddoto chissà se ignorato o tralasciato
dall’autore. Nel documento in cui si riferisce l’episodio è scritto “…et non
accipit sues”, non prese il porco. L’amanuense tramutò la lettera “s” in uno
svolazzo orizzontale sopra le altre lettere simile ad una tilde castigliana, la
cui parte finale si incunea tra la “u” e la “e” intrecciandosi con gli altri
segni somigliando, molto vagamente, ad una “n”.
Ad un esame superficiale, la parola fu letta “sunes” e su quel sunes, in
fine ‘800 e primi ‘900 furono versati fiumi d’inchiostro per ipotizzarne il
significato e l’etimologia. L’arcano fu svelato nei primi anni 50 del ‘900
quando negli Archivi di Stato arrivarono le lampade al quarzo per la lettura dei
documenti. Fu Giovanni Cecchini a dare la corretta lettura di quel ghirigoro:
non era un grafema spagnolo ma più semplicemente una lettera “esse” mal
tracciata.