All’ ombra della mimosa
L’ONU e la violenza contro le donne
di Luisa Monini
Franca Viola (sopra) fu la prima
donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore, diventando un simbolo della
crescita civile dell'Italia nel secondo dopoguerra e dell'emancipazione delle
donne italiane. Rapita e violentata da un innamorato respinto,
nel 1965, quando aveva 17 anni, Franca Viola rifiutò di sposare il suo
aguzzino. L’8 marzo, il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, l’ha
nominata Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
Prima del cancro, prima degli incidenti stradali
e delle guerre, si legge su una
rivista giuridica della Facoltà di Legge della Harvard University, ad uccidere
le donne nel mondo o a causarne l’invalidità permanente è la violenza subita,
nella maggior parte dei casi, da parte dell’uomo. E non si tratta di
comportamenti che si registrano solamente in realtà disagiate.
La violenza contro le donne
è endemica nei Paesi industrializzati come in quelli emergenti. In tutto il
mondo le bambine, a qualsiasi ceto sociale esse appartengano, sono spesso
vittime di abusi di vario genere, di atti di violenza inaudita inferti loro
proprio da chi dovrebbe tutelarne
istruzione, salute e futuro. Il vero e grande problema della violenza è di fatto
legato a doppio filo alle complesse dinamiche familiari che si consumano tra le
mura domestiche e che vedono nel ruolo del carnefice, lui: marito, fidanzato,
padre, convivente, ex-coniuge, comunque persona spesso amata da lei che incarna
il ruolo della vittima.
Secondo l’O.M.S., almeno
una donna su cinque ha subito, nel corso della sua vita, abusi fisici o sessuali
da parte di un uomo.
Nel nostro Paese, negli
ultimi dieci anni, le violenze sessuali denunciate sono aumentate di oltre il
22% perché finalmente le donne escono allo scoperto e denunciano i loro
persecutori. Ma il sommerso è ancora enorme! Il fatto è che spesso le donne
vittime non hanno la consapevolezza
di essere tali e il silenzio rappresenta, per la maggior parte di loro, l’ultimo
baluardo di difesa da una realtà
che altrimenti le distruggerebbe per sempre. Una sorta di sindrome di
adattamento che si riscontra anche nelle vittime dei sequestri di persona.
L’ONU,
alla conferenza di Vienna del 1993, ha proclamato i diritti delle donne come
diritti umani a pieno titolo ed ha definito la violenza di genere una violazione
dei diritti umani:
”Qualunque atto di violenza sessista che produca o possa produrre danni o
sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali
atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita
pubblica che in quella privata”.
Da allora ad oggi, altre
conferenze internazionali, altri dibattiti, tante manifestazioni, eppure…il tema
della violenza contro le donne rimane controverso:
la violenza privata contro le donne è o non è
una violazione dei diritti umani?
E soprattutto: perché
continuare a circoscrivere alla sfera privata crimini che violano il principio
fondamentale dell’uguaglianza tra gli esseri umani?
La violenza sessuale è
spesso frutto di una lucida e perversa strategia che mira a stabilire domini e
disuguaglianze. Per spingere le vittime a raccontare gli orrori subiti occorre
che tutta la società civile si impegni in un progetto culturale di cambiamento
e di accoglienza. Troppo facile voltare la faccia e far finta di non sentire né
vedere.
È così che il silenzio delle vittime diventa
silenzio della società.
E viceversa. “La Verità è tanto più
difficile da sentire quanto più a lungo è taciuta” così scriveva Anne Frank nel
suo “Diario” circa 60 anni fa. Così
è ancora oggi! Quando le vittime incontrano qualcuno disposto ad ascoltare,
parlano. Quando incontrano chi sa vedere, mostrano. Quando incontrano chi sa
dare il giusto nome alle ferite loro inferte, riferiscono; anche
ciò che avevano rimosso e sepolto.
Se partiamo da questi
presupposti allora si potranno
finalmente trovare nuove e definitive soluzioni ai problemi legati alla
violenza. Ma, accanto alle cure delle differenti malattie psico-somatiche con le
quali la violenza subita si manifesta, occorre che ci sia un vero e proprio
rinnovamento culturale che miri ad
educare i giovani, uomini e donne,
a una consapevolezza difficile ma necessaria e cioè che accanto a un mondo
in cui le relazioni umane sono regolate dal reciproco rispetto ne esiste un
altro, parallelo, abitato da persone che abusano della disponibilità altrui al
dialogo e alla comprensione per meglio sfruttare e opprimere l’altro. Di questi
individui che, in casi estremi, la criminologia definisce perversi,
dobbiamo imparare a riconoscere l’esistenza e la pericolosità.