NUOVA FRONTIERA

PER IL CUORE INFARTUATO

Intervista al Prof. Mauro Giacca, ricercatore presso l’International Center Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB), di  Trieste, autore di uno studio pubblicato su Nature (dicembre 2012) nel quale ipotizza la rigenerazione del muscolo cardiaco infartuato

 

 

 

di Renata Palma

 

 

 

L' International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) di Trieste. Il Centro è situato presso il Parco Scientifico “AREA Science Park”

Alcuni organi del nostro corpo dimostrano l’incapacità di riparare il danno subito. Accade per il cervello, l’occhio (retina), l’orecchio (le cellule sensoriali di quello interno), il pancreas (le cellule beta) e il cuore. 

Le malattie cardiovascolari, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, sono la prima causa di morte al mondo. Ogni volta che questo organo perde cellule contrattili, solitamente per l’occlusione improvvisa di un’arteria coronaria, che causa un infarto, oppure in maniera più cronica, quando le cellule cardiache muoiono per esempio a causa della pressione arteriosa troppo elevata, o come conseguenza di un’infezione virale, la capacità del cuore di riparare il danno è minima. Al posto dei cardiomiociti si forma un tessuto connettivo, fibroso, spesso una vera e propria cicatrice.

 

Farmaci biologici innovativi per il trattamento dell’infarto del miocardio o dello scompenso cardiaco. Gli obiettivi finali sono quelli di stimolare la formazione di nuovi vasi sanguigni, proteggere il cuore da ulteriori episodi di ischemia o stimolare la rigenerazione delle porzioni di cuore danneggiate.

 

Non essendo più in grado di funzionare in maniera efficiente, il cuore si sfianca; il paziente lamenta di avere le gambe gonfie, prova affanno quando fa uno sforzo, respira male sdraiato, prova un senso progressivo di debolezza. È il quadro clinico dello scompenso cardiaco, una condizione che ogni anno è diagnosticata a più di 15 milioni di persone al mondo.  Ne soffre il 2-3 per cento della popolazione generale, il 10-20 per cento di chi ha più di 70 anni. La prognosi è molto severa: più della metà dei pazienti muore entro cinque anni dalla diagnosi, una condizione quindi molto più grave della maggior parte dei tumori.

Il quadro descritto è allarmante, soprattutto perché la medicina sembra avere poche armi per contrastare la degenerazione dei tessuti. I farmaci per pazienti con scompenso cardiaco sono stati sviluppati almeno vent’anni fa, e non agiscono sulla rigenerazione delle cellule cardiache. Non ci sono nemmeno farmaci in grado di stimolare la rigenerazione dei neuroni in pazienti con Alzheimer o Parkinson, o di cellule della retina o cellule beta del pancreas. Né sembra facile concepire che farmaci tradizionali possano essere sviluppati per queste condizioni, perché la rigenerazione dei tessuti è un processo complesso, difficilmente attivabile da una semplice molecola. Per questo molte speranze sono riposte nello sviluppo di farmaci biotecnologici, cioè basati su proteine, in particolare, fattori di crescita; su acidi nucleici, DNA, RNA o cellule come per esempio quelle con proprietà staminale, in grado di instaurare programmi biologici che ripristinino i tessuti danneggiati”. Chi parla è Mauro Giacca, ricercatore presso l’International Center Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB), con sede a Trieste.

 

 

Cellule contrattili del cuore. Cardiomiociti prelevati dal cuore neonatale, ancora in grado di proliferare. In verde: apparato contrattile della cellula; in blu: nuclei; in magenta: nuclei dei cardiomiociti in fase di attiva duplicazione del DNA.

 

Come siete arrivati a questa ricerca?

Analizzando i risultati raggiunti con l’uso di staminali embrionali nell’uomo, processo molto complicato e discusso, ci sembrava poco realistico pensare che un farmaco tradizionale, ovvero una molecola relativamente semplice, potesse innescare un processo complesso come la rigenerazione. Ci siamo quindi posti la domanda: la nuova classe dei farmaci genetici, basata cioè su segmenti di DNA o RNA, potrebbe essere in grado di attivare programmi biologici complicati, come appunto quelli coinvolti nella formazione dei tessuti? E’ di qui che siamo partiti. In fondo, sono i geni che durante lo sviluppo embrionale dettano le regole della formazione degli organi; logico quindi pensare di usarli anche per stimolare la riparazione nei tessuti adulti. La possibilità dell’impiego degli acidi nucleici come veri e propri farmaci è stata resa possibile dall’enorme sviluppo della terapia genica, una rivoluzionaria modalità terapeutica concepita alla fine degli anni ottanta, inizialmente per la cura delle malattie ereditarie. Se possiamo pensare di curare le malattie causate da un difetto genetico inserendo all’interno delle cellule una copia normale del DNA che invece è mutato nei pazienti, come sembra ormai efficace in molte situazioni, perché non sfruttare le stesse tecnologie per iniettare anche altri tipi di acidi nucleici, in particolare RNA con funzione regolatoria, nel caso specifico in grado di rimettere in moto la replicazione dei cardiomiociti anche nel cuore adulto? (nell'immagine a sinistra:Effetto dei microRNA sulla proliferazione dei cardiomiociti. In alto: cardiomiociti prelevati dopo la nascita, non piu’ in grado di proliferare. In basso: gli stessi trattati con uno dei microRNA in grado di rimettere in moto la proliferazione. In blu: nuclei; in magenta: nuclei dei cardiomiociti in fase di attiva duplicazione del DNA; in verde: cardiomiociti)

 

 

Nel suo studio, pubblicato su «Nature» a dicembre 2012, che Le è valso anche un brevetto nazionale e presto un’estensione internazionale,  apre uno spiraglio ai tanti pazienti cardiopatici circa la possibilità di indurre la rigenerazione del cuore infartuato senza usare le cellule staminali. Ho capito bene?

La possibilità di indurre la rigenerazione del cuore stimolando la capacità delle cellule cardiache già differenziate a riprendere la proliferazione è basata su due considerazioni. Durante lo sviluppo embrionale e poi fino alla nascita, il cuore è un organo che assolve alla sua funzione di pompa e allo stesso tempo contiene più del 35 per cento dei cardiomiociti in fase di attiva replicazione. Questa proliferazione si interrompe alla nascita, per motivi quasi del tutto ignoti, e la successiva crescita del cuore avviene tramite l’ingrandimento del citoplasma delle cellule esistenti. Inoltre, nelle specie in cui la rigenerazione cardiaca avviene anche nell’adulto il processo non è sostenuto dalle staminali, ma dalla proliferazione di cardiomiociti adulti.  Il modesto ricambio di cardiomiociti, che si verifica normalmente in un cuore durante la vita adulta, non è alimentato dalle staminali, ma dai cardiomiociti adulti che possono proliferare, anche se in maniera insufficiente a riparare un infarto. Quando pensiamo alle potenzialità rigenerative delle cellule staminali, dovremmo però anche domandarci di quanto possa essere accessibile una medicina basata sul loro uso, specialmente quando il problema è rappresentato dalle malattie cardiovascolari, che colpiscono un terzo dell’umanità e in cui l’80 per cento dei pazienti vive nei paesi meno avanzati. Sviluppare una procedura che preveda il recupero di staminali dal cuore, la loro espansione in laboratori avanzati e certificati e la loro reintroduzione mediante sofisticate procedure non sembra sostenibile in termini di accessibilità e costi.

 

Effetto dei microRNA in grado di stimolare la replicazione dei cardiomiociti. A sinistra: cuore normale; a destra: cuore trattato con uno dei microRNA in grado di stimolare la proliferazione delle cellule cardiache. In verde: apparato contrattile della cellula; in blu: nuclei; in magenta: nuclei dei cardiomiociti durante il processo duplicazione del DNA. La parete del cuore trattato con il microRNA si mostra ispessita, quale risultato dell’aumentata proliferazione cellulare.

 

 

Come stimolare, dunque, il programma di proliferazione dei cardiomiociti? E che cosa sono i microRNA?

Da qualche anno sappiamo che il nostro DNA, oltre a contenere i geni che codificano per circa 20.000 proteine diverse, include anche qualche migliaio di geni che producono filamenti di RNA con funzioni di regolazione. Prima nel nucleo e poi nel citoplasma, questi RNA subiscono una serie di tagli enzimatici che ne riducono le dimensioni fino a generare piccoli RNA di 21-22 nucleotidi, a doppio filamento, chiamati microRNA. Ciascun microRNA si associa quindi agli RNA messaggeri della cellula che portano una sequenza complementare e, con vari meccanismi, blocca la produzione delle proteine da questi codificate. Dato che un microRNA può avere come bersaglio centinaia o migliaia di diversi RNA messaggeri cellulari, ciascuno di questi RNA può regolare interi programmi cellulari complessi, quali l’identità funzionale di una cellula, la sua morte o sopravvivenza, il suo livello di proliferazione. La scoperta di questo meccanismo molecolare di regolazione dei geni, chiamato interferenza a RNA, è valsa nel 2006 ai suoi scopritori, i ricercatori Andrew Fire e Craig Mello, il premio Nobel per la medicina o la fisiologia. Partendo da queste considerazioni, Ana Eulalio e Miguel Mano, nel mio laboratorio all’ICGEB, hanno cercato di capire se, in una collezione di quasi 1000 microRNA umani, ce ne fossero alcuni capaci di stimolare la proliferazione dei cardiomiociti. E hanno scoperto 40 microRNA che possono stimolare la proliferazione dei cardiomiociti isolati dal cuore di topi e ratti neonati, anche cardiomiociti umani, ottenuti dalle cellule staminali. L’effetto di questi microRNA è impressionante: le cellule cardiache continuano a proliferare una volta prelevate e, dopo solo qualche giorno, riempiono le piastre in cui sono coltivate. C’è un duplice interesse in questa scoperta. Da un lato è importante capire come questi microRNA funzionano, qual è il programma genico modificato con la loro somministrazione. A questo proposito, diversi di questi microRNA sono espressi ad alti livelli nella vita embrionale, quando il cuore ancora prolifera, mentre poi scompaiono subito dopo la nascita. L’altro motivo di interesse è legato alla possibilità di sfruttare direttamente le proprietà dei microRNA per stimolare la rigenerazione del cuore dopo un infarto. A sostegno di questa possibilità, avevamo scoperto che, in maniera sorprendente, alcuni microRNA identificati rimettevano in moto la proliferazione anche dei cardiomiociti prelevati da cuori adulti. 

 

Il laboratorio di high throughput screening (screening ad alta processivita’) dell’ICGEB. Qui e’ stato eseguita la ricerca che ha condotto all’identificazione di 40 microRNA che stimolano la proliferazione delle cellule cardiache

 

Sintetizzando si tratta di un nuovo meccanismo che controlla la proliferazione delle cellule del cuore. Il passaggio successivo qual è stato?

Più ambizioso. Volevamo capire se i microRNA identificati promuovevano anche la riparazione del miocardio dopo un infarto. Lorena Zentilin dell’ICGEB ha modificato due virus per veicolare i geni che codificano per i microRNA nel cuore, in modo da consentirne una produzione continuata nel tempo. Come vettore è stato usato il virus adeno-associato (AAV), innocuo, facilmente modificabile grazie all’ingegneria genetica ed efficace per il trasferimento dei geni nel cuore (oltre che in cervello, retina e muscoli). Quando Zacchigna, con l’aiuto di Matteo Dal Ferro, cardiologo clinico della struttura diretta da Gianfranco Sinagra all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste, ha iniettato i vettori in grado di veicolare due microRNA nel cuore dei topi dopo un infarto, i risultati non ci hanno deluso. L’infarto era ridotto di dimensione, la parete cardiaca, anziché assottigliata da una cicatrice, conteneva ancora una grande quantità di tessuto contrattile e, soprattutto, la funzione cardiaca, misurata con l’ecografia, era quasi simile a quella di un cuore normale.

 

Senza creare esagerate aspettative i risultati incoraggianti conseguiti finora porteranno dei progressi nella medicina clinica a medio o lungo periodo?

I microRNA potrebbero essere usati come farmaci genetici, in grado di rimettere in moto la proliferazione cardiaca, e quindi somministrati nelle condizioni in cui il cuore perde parte del suo tessuto contrattile, come nell’infarto e in diverse cardiomiopatie. È ancora presto per capire se e quando i microRNA identificati potranno trasformarsi in farmaci iniettabili.  C’è ancora molta strada da fare prima di arrivare alla sperimentazione clinica. Ma, a differenza di qualche anno fa, oggi il traguardo della rigenerazione cardiaca sembra ragionevole da inseguire. 

Una Veduta dell’ICGEB di Trieste

Il Galileo