Scrittori dimenticati
Pratolini, Meoni, Bilenchi:
tre nomi da ricordare (ma sono centinaia)
di Giuseppe Prunai
Perché di tanti, troppi scrittori
che hanno avuto successo ed importanza nel panorama letterario del Paese si
perde traccia a pochi anni dalla loro scomparsa? Perché la morte di uno
scrittore è duplice, fisica e culturale ad un tempo?
I nostri concittadini, quelli che molto pomposamente vengono chiamati “gli
italiani” (ma esistono davvero gli italiani?) –
è risaputo – hanno la memoria corta. Ma c’è chi da sempre ha lavorato
perché la gente avesse la memoria corta.
Conviene a chi è al mestolo che la gente dimentichi uomini, cose e situazioni
del passato perché dal passato si trae insegnamento per il presente, perché il
passato ci può vaccinare contro tentazioni autoritarie ed eversive.
Nelle foto sopra, lo scoprimento della lapide in ricordo di Pratolini, in Via del Corno, a Firenze. Al centro Aurelia Pratolini, a sinistra il presidente del consiglio comunale, Giani (foto uff. stampa comune di Firenze)
Qual è l’ arma per mantenere nella gente la memoria corta? Prima fra tutte,
l’incultura e l’ultimo ritrovato, anche se non recente,
le TV spazzatura: quel continuo bombardamento di immagini fine a se
stesse, che non inducono a riflessioni critiche, quegli sceneggiati dove la
parte estetica dei corpi femminili e maschili ostentati prevale sulla
narrazione, dove il linguaggio parlato è semplicemente rudimentale, dove il
messaggio etico è al contrario, dove vengono esaltati i valori negativi.
E poi c’è la scuola, del tutto
inadeguata a dare una formazione storica a chi la frequenta, dove
lo studio della storia è ridotto ad una
mera successione di fatti e di date senza un collegamento tra di loro, senza una
logica dipendenza. Fatti e date destinati a scomparire dalla mente dello
studente nel giro di poche settimane.
Per averne la prova, basta seguire il programma televisivo di Raiuno,
“L’Eredità”, magistralmente condotto da Carlo Conti, dove i concorrenti
sbagliano le risposte a quiz elementari. Ad, esempio: quando furono introdotte
le leggi raziali? I concorrenti hanno a disposizione quattro date e regolarmente
indicano quella sbagliata. Oppure ignorano l’anno dell’Unità d’Italia o della
Presa di Roma. Oltre, naturalmente, a sbagliare le risposte sulla coniugazione
dei verbi irregolari, sui superlativi assoluti o sulla declinazione di alcuni
aggettivi.
Situazioni analoghe a quelle evidenziate dal vecchio programma di Raitre “La
principessa sul pisello”.
Ma
la cosa, allora, non fece molto scandalo perché si trattava di un programma di
nicchia, in onda oltretutto su una rete che, almeno all’epoca, disponeva di un
numero di ripetitori inferiore alle altre due. Gli errori grossolani dei giovani
intervistati (gente che confondeva Leopardi con Carducci, Manzoni con Ariosto,
non sapeva collocare nel tempo episodi come il Congresso di Vienna o
l’attentato di Sarajevo e non conosceva a cosa si riferissero date come il 20
settembre o il 25 aprile) allora scandalizzarono soltanto un gruppo di
intellettuali, come al solito inascoltati. Diversa,
adesso la reazione all’ignoranza dei concorrenti dell’Eredità, trasmissione
nazionalpopolare, diffusa dalla rete ammiraglia della RAI-TV. Se ne comincia a
parlare sui giornali, lo stesso Conti ha talvolta delle reazioni che vanno al di
là del suo distaccato à plomb.
Ciò premesso, ci si meraviglia ancora se scrittori di una certa fama ed
importanza del nostro passato recente siano ormai sconosciuti ai più. Poi, ogni
tanto qualcuno si ricorda di un
autore, scopre una targa sulla casa dove è nato o ha vissuto a lungo evocando
nei più il fantasma di Carneade, e tutti
si chiedono chi sia stato quel signore, lo riscopre un editore e ci tira su un
po’ di soldi riciclando un po’ di fondi di magazzino o ristampando velocemente
qualche romanzo che all’epoca ebbe successo e magari ne trassero anche un film.
E’ accaduto con Vasco Pratolini (19
ottobre 1913 – 12 gennaio 1991) . Qualcuno si è ricordato del
centenario della nascita e
ha pensato bene di scoprire una lapide sulla casa di Firenze dove lo scrittore
abitò: Via del Corno, Quartiere di Santa Croce, la strada dove si muovono i
personaggi di “Cronache di poveri amanti”. Il convegno che è stato dedicato a
Pratolini in Palazzo Vecchio è servito a rievocare
la Firenze fra le due guerre e quella dell’immediato dopoguerra, la
Firenze dei caffè letterari. Le Giubbe Rosse e Donnini
dove si riunivano gli scrittori,
Paszkowski regno dei pittori, Gilli regno incontrastato dei critici con la puzza
sotto il naso.
Ma gli sfondi dei romanzi di Pratolini, apparentemente ancorati al quartiere,
vanno al di là della mura di quel microcosmo cittadino. E’ il caso di “Metello”
dove protagonista sono le lotte operaie di fine ‘800
(e parlando di Metello, difficile dimenticare il film di Mauro Bolognini con un
giovanissimo Massimo Ranieri ed una giovanissima Ottavia Piccolo. A destra, una
scena del film), di “Cronache familiari” e “Cronache di poveri amanti” dove è la
cornice storica a prendere il sopravvento, quella
del passaggio dal fascismo alla democrazia. Ma ciò che sembra affascinare
Pratolini è l’antieroe, l’eroe negativo. Quello tratteggiato in burletta ne “Le
ragazze di San Frediano” che nella sua arroganza con le giovani
e con il suo continuo esibizionismo
quasi patologico nasconde il complesso che gli deriva dall’avere i genitali
infantili. Mentre in “Un eroe del
nostro tempo” la bassezza d’animo dell’ex repubblichino esaltato dal mito della
forza bruta sfocia nel delitto feroce e gratuito.
Restando nello stesso filone del neorealismo, citiamo un altro scrittore
dimenticato, il pratese Armando
Meoni
(foto a sinistra) (18 gennaio 1894 – 23 novembre
1984). Di lui restano alcuni titoli importanti, come “L’Età proibita”,
“Fuori e dentro le mura”, romanzi pubblicati a puntate su La nuova antologia, e
“La ragazza di fabbrica”, conosciuto a livello internazionale in cui affronta il
tema della maternità illegittima, vissuta come tormento e purificazione. Ma
Meoni, più che al romanzo, si dedicava al racconto e alla novella, due generi
letterari praticamente scomparsi, che pubblicava sulla terza pagina della
Nazione e su Nazione Sera.
Come non parlare di Romano Bilenchi (9 novembre 1909 -
18 novembre 1989). Di lui si ricorda, in genere la sua partecipazione
allo Strapaese e la sua direzione del Nuovo Corriere, quotidiano fiorentino,
fiancheggiatore del PCI. Fu come direttore del “Nuovo” che Bilenchi cercò il
dialogo con il mondo cattolico e nel 1955, in piena guerra fredda,
riuscì a convincere il sindaco cattolico
di Firenze, Giorgio La Pira, ad organizzare
nel capoluogo toscano un confronto tra i sindaci delle città del Patto di
Varsavia e quelle della NATO. Alla fine dei colloqui, i sindaci firmarono in
Palazzo Vecchio un patto d’amicizia. Si trattò di un’iniziativa che ispirò a La
Pira i successivi
“Colloqui Mediterranei”. La Pira, che
definiva il Mediterraneo “un lago di Tiberiade ingrandito” intuì il valore e il
ruolo geopolitico dello “spazio mediterraneo” come punto nevralgico della pace
mondiale.
Di Bilenchi (foto a destra) restano alcuni titoli come “Vita di Pisto”, “Il
capofabbrica”, “La siccità”, “La miseria” e “Il bottone di Stalingrado” con il
quale, nel 1972, vinse il Premio Viareggio. Tutti testi che si riallacciano al
filone neorealista del primo novecento. Ma restano anche tanti articoli, in cui
cultura e politica si intrecciano e in cui si delinea il ruolo
dell’intellettuale moderno nella vita civile.
Chi scrive non è un critico letterario, è solo un lettore appassionato che non
si avventura in giudizi estetici e che procede in modo del tutto asistematico,
più che altro epidermico nel ricordo di cosa hanno determinato certi scritti e
certi autori della propria formazione culturale.
Ma tanti, troppi
sono gli scrittori dimenticati e per
ricordarli ci vorrebbe una vera e propria antologia. Buttiamo un po’ di nomi
alla rinfusa: Giuliotti, Papini,
Tozzi, Cicognani, Palazzeschi, Malaparte, tanto per restare in Toscana. E poi
c’è l’ignorato filone della letteratura surrealista italiana. Un filone non
molto vasto, che però sconfina con tanti altri indirizzi letterari tanto da
risultare di difficile analisi.
Cercheremo, di tanto in tanto, di rimediare perché anche così si contribuisce a
preservare il grande patrimonio culturale, storico, scientifico e politico del
nostro Paese.