uxoricidio o semplicemente omicidio?
Nel
quadro, la storia di un tentato femminicidio, raccontato nella Bibbia, nel Libro
di Daniele. Susanna, bella e pia ragazza, viene notata da due vecchi che
frequentano la casa di suo marito mentre fa il bagno nel suo giardino. Costoro
sono appena stati nominati giudici e, infiammati di lussuria, si fanno sotto con
proposte infami, minacciando di accusarla presso il marito di averla sorpresa
con un giovane amante se non si concede a loro. Al rifiuto di Susanna l'accusano
pubblicamente di adulterio. Portata davanti al tribunale viene riconosciuta
colpevole e condannata a morte mediante lapidazione, ma a questo punto si fa
avanti Daniele:
«Siete così
stolti, Israeliti? Avete condannato a morte una figlia d'Israele senza indagare
la verità! Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di
lei». »
Questo
intervento di Daniele, che poi interroga personalmente i due calunniatori e ne
fa emergere l'inganno, costituisce anche l'inizio del suo percorso pubblico di
profeta. La reputazione di Susanna viene restituita all'onore e la fama di
Daniele cresce fra il popolo
Dipinto di
Artemisia Lomi Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 1653)
di Magali Prunai
L’accademia della crusca, istituto per la conservazione, protezione e corretto
uso della lingua italiana, ha deciso di rispondere a questo quesito lo scorso 25
novembre in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Agli esperti è stato chiesto il perché della necessità di indicare il sesso di
una vittima di un reato e perché non si può usare un “banalissimo” uxoricidio o,
addirittura, un più generico omicidio.
Partiamo, innanzitutto, dall’analizzare le diverse figure di reato.
L’omicidio, nel nostro codice penale, è analizzato nella parte dedicata ai
delitti contro la vita e l’incolumità personale. L’articolo 575, rubricato
“Omicidio”, recita “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la
reclusione non inferiore ad anni ventuno”. Pertanto, possiamo indirettamente
concepire una definizione della fattispecie di reato in esame come il cagionare
la morte di un uomo (inteso in senso generico, tanto uomo che donna). Il codice
penale, negli articoli successivi, specifica ancora di più il reato analizzando
le circostanze aggravanti, l’infanticidio, l’omicidio del consenziente,
l’istigazione all’omicidio.
All’articolo 577 ultimo comma, rubricato “Altre circostanze aggravanti.
Ergastolo”, il codice recita “la pena è della reclusione da ventiquattro a
trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella,
il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo, o contro un affine in linea
retta”. L’uxoricidio è l’omicidio del coniuge di sesso femminile, la moglie, ex
articolo 577 ultimo comma del codice penale.
Il femminicidio è, nello specifico, “qualsiasi forma di violenza esercitata
sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice
patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne
l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla
schiavitù o alla morte” (Devoto-Oli, 2009).
Già solo elencando le diverse definizioni potremmo ritenerci soddisfatti e
rispondere al perché dell’uso della parola femminicidio e non uxoricidio,
omicidio. E’ genericamente omicidio qualsiasi azione che abbia come conseguenza
la morte di un soggetto da parte di un altro soggetto. E’ uxoricidio il
provocare la morte della propria moglie, è infanticidio provocare la morte di un
bambino. E’ femminicidio provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da
parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, conseguente al
mancato assoggettamento fisico e psicologico della vittima.
La parola “femminicidio” vuole essere pregna di significato, ricordare quando in
Italia era consentita l’uccisione della propria moglie, sorella, figlia per
riparare un’offesa arrecata all’onore in quanto, si diceva, la lesione
dell’onore era più grave del delitto riparatore. Abbiamo dovuto aspettare il
1981, con la legge numero 442, per veder abrogato l’articolo 587 del codice
penale rubricato “Omicidio e lesione personale a causa di onore” [“Chiunque
cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne
scopre l’illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato
dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da
tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze,
cagiona la morte della persona, che sia in illegittima relazione col coniuge,
con la figlia, con la sorella. Se il colpevole cagiona, nelle stesse
circostanze, alle dette persone, una lesione personale, le pene stabilite negli
articoli 582 (lesione personale, da
tre mesi a tre anni) e 583 (circostanze
aggravanti, se la lesione personale è grave da tre a sette anni; se la
lesione personale è gravissima da sei a dodici anni) sono ridotte a un terzo; se
dalla lesione personale deriva la morte, la pena è della reclusione da due a
cinque anni. Non è punibile chi, nelle stesse circostanze, commette contro le
dette persone il fatto preveduto dall’articolo 581 (percosse)”].
Il problema, alla base della questione, è il voler riconoscere che da sempre la
figura della donna è stata considerata più come un oggetto sul quale tutto è
possibile fare che come un essere umano, che gode di diritti e meritevole di
tutela in quanto tale e non perché soggetto più debole.
Alla base del concetto di femminicidio c’è una rivoluzione culturale. Sembra
assurdo, ma solo nel 1981 si è posto un primo tassello a questo scopo e ancora
oggi, fine 2013, la mentalità non è ancora cambiata del tutto.