Fondazione Mattioli e IRCCS Mario Negri
Nuovo sito sui tumori ginecologici
Più informazione sul tumore dell’ovaio
di Giuditta Bricchi
Una ricercatrice al lavoro
In occasione del Convegno “Il tumore dell’ovaio: una visione a 360 gradi”,
organizzato al Circolo Filologico di Milano
(29 ottobre 2013), è stato
presentato il sito www.fondazionemattioli.it
realizzato per
un pubblico non specializzato
dall’IRCCS-Istituto ‘Mario Negri’ e dalla Fondazione Nerina e Mario
Mattioli Onlus. Il sito promuove una corretta informazione sui tumori
ginecologici e sui metodi della
ricerca scientifica per mettere a punto nuove terapie. I tumori ginecologici
sono un problema rilevante per le donne, come indicano i circa 15 000 nuovi casi
diagnosticati ogni anno in Italia.
Informazione corretta e aggiornata
Il sito raccoglie informazioni che
prima si potevano trovare in modo
sparso su diversi siti, molti dei quali dedicati ai medici. Esso rappresenta un
punto di riferimento per cercare informazioni corrette ed aggiornate.
Il linguaggio adottato è semplice ed immediato. Dedicato alla popolazione
in generale e in particolare alle donne e alle pazienti, il sito è coordinato da
un gruppo multidisciplinare di cui fanno parte ricercatori e ginecologi
oncologi. In esso si trovano informazioni sull'apparato genitale femminine,
sul vaccino HPV, sui tumori dell'apparato genitale femminile (ovaio,
utero, collo dell'utero). Le sezioni dedicate ai tumori sono suddivise in
numerosi sottocapitoli che trattano la frequenza della malattia, i fattori di
rischio, le cure, il follow-up e le prospettive della ricerca.
Uno dei laboratori di ricerca
Multidisciplinarietà e ricerca clinica
Come sottolinea Paola Mosconi,
Presidente della Fondazione Mattioli e Responsabile del Laboratorio per il
Coinvolgimento dei Cittadini in Sanità dell’IRCCS-Istituto Mario Negri,
nel sito sono presentati in modo semplice e divulgativo le
caratteristiche della ricerca pre-clinica e della ricerca clinica. La
complessità della ricerca scientifica non deve spaventare; è molto
importante che i cittadini ne conoscano le procedure,
per capire l’evoluzione dei
risultati ottenuti. La ricerca pre-clinica e la ricerca clinica devono
continuamente comunicare tra loro per capire la potenzialità di ogni nuovo dato
reso disponibile dalla ricerca stessa. La multidisciplinarietà è fondamentale
per ottenere risultati che arrivino quanto prima alla persona malata.
La Fondazione Mattioli
Dal 1995 la Fondazione Nerina e Mario Mattioli Onlus, in stretta collaborazione
con il Dipartimento di Oncologia dell’IRCCS-Istituto Mario Negri,
contribuisce a sviluppare e
catalizzare la collaborazione inter-disciplinare e favorire il rapido
trasferimento di conoscenze tra laboratorio e clinica, nella speranza di
ottenere benefici per tutte le pazienti affette da tumori dell’apparato genitale
femminile, con particolare attenzione al tumore dell’ovaio. Tra i molteplici
obiettivi scientifici e terapeutici della Fondazione vi è anche quello di
fornire una corretta, ma al contempo semplice e chiara informazione sui tumori
ginecologici.
Il tumore all’ovaio
Il tumore dell’ovaio si presenta più frequentemente nelle donne fra i 55 e i 65
anni di età, quasi in menopausa o in post-menopausa. Rappresenta il sesto tipo
di cancro più comune nelle donne europee. Esso è la prima causa di morte per
tumore nella sfera genitale femminile e quarta causa di morte per tumore nella
popolazione femminile. In Italia ogni anno si verificano circa 17 nuovi casi su
100.000 donne. Purtroppo
nella maggioranza dei casi il tumore si diagnostica quando è in fase
avanzata, cioè quando ha superato la capsula dell'ovaio e si è diffuso ai
tessuti circostanti. Il problema - sottolineano gli esperti - è che solo nel 25%
dei casi il tumore ovarico viene diagnosticato in una fase precoce, quando con
un intervento chirurgico corretto le possibilità di guarigione sono intorno
all'80-90%. ll restante 75% delle pazienti, invece, scopre il tumore in stadio
già avanzato, quando ha intaccato anche altri organi dell'addome. Di queste
malate solo il 30-40% guarisce, mentre il 60% può solo sperare di trasformare il
tumore in una malattia cronica con cui convivere. In questi casi l'aspettativa
di vita si aggira intorno ai tre anni. Uno dei problemi più importanti nel
trattamento del tumore ovarico è dato dal fatto che può ripresentarsi dopo un
certo periodo di tempo.
L’impegno della ricerca
Durante il convegno si è fatto il
punto sullo stato della ricerca clinica sul tumore all’ovaio, facendo emergere
il lavoro di squadra che si è organizzato nell’arco degli anni e che
permette oggi di affrontare questo tumore in modo
multidisciplinare,
attraverso studi di ricerca sperimentale e
studi clinici collaborativi di ampie dimensioni. “Le cellule tumorali del
carcinoma ovarico – ha riassunto Maurizio D’Incalci, Capo del Dipartimento di
Oncologia dell’IRCCS-Istituto Mario Negri, rispondono, a seconda delle pazienti,
in modo diverso ai trattamenti farmacologici. Al riguardo si ipotizza che vi
siano dei fattori biologici, al momento ancora poco conosciuti, che determinano
una maggiore o minore efficacia dei farmaci. Si tratta, in altri termini, di
capire dove risiedano i punti deboli delle cellule tumorali, per poterle meglio
aggredire con terapie personalizzate.” Per vincere la malattia la strada è
ancora lunga, ma la ricerca procede. D’incalci
ha ribadito l’importanza di
avvicinare cittadini e pazienti alla ricerca, per farne capire la
necessità di rigorose metodologie e per migliorare il trattamento di tumori
letali come quello dell’ovaio.
La diagnosi precoce
Un punto fondamentale per combattere il tumore ovarico è la diagnosi in fase
iniziale, soprattutto per le donne che hanno un rischio più alto di sviluppare
questa forma di tumore. Nei pochi casi in cui viene diagnosticato precocemente,
si registra una sopravvivenza a 5 anni di oltre il 90%
delle pazienti. Il tumore ovarico viene scoperto tardi perché manca uno
strumento di screening efficace e accurato per diagnosticarlo, come la
mammografia per il tumore della mammella o il pap test per il tumore del collo
dell’utero. In generale, quando il tumore è piccolo e limitato all’ovaio, la
donna non ha sintomi specifici. Esistono
due test diagnostici: la misurazione della concentrazione nel sangue di
antigene specifico per questo tumore (CA-125) e l’ecografia transvaginale, ma
anche questi test risultano aspecifici. Il percorso diagnostico comincia dal
medico di famiglia che indirizza allo specialista ( ginecologo). Le procedure
comunemente utilizzate per la diagnosi richiedono
l’esame pelvico che comprende la visita ginecologica, integrata dalla
visita rettale. Questo esame permette di apprezzare l’utero, le ovaie, la
regione pelvica e la presenza di modificazioni di forma e volume e la presenza
di eventuali masse. L’ecografia pelvica, tramite l'utilizzo di apparecchiature a
ultrasuoni, consente di definire e descrivere l’aspetto delle ovaie.
Alleanza Contro il Tumore Ovarico (ACTO)
Prendendo esempio da quanto accade
in altri paesi, nel 2010 è stata creata in Italia l’associazione ACTO - Alleanza
Contro il Tumore Ovarico
http://www.actoonlus.it/ per
combattere la malattia. L’ iniziativa è stata promossa da un gruppo di donne
colpite da carcinoma ovarico e da medici oncologi che si occupano di tale
patologia. “Confrontando le nostre
storie - spiega Flavia Villevieille Bideri, presidente di Acto - ci siamo rese
conto che, nella quasi totalità dei casi, la malattia è diagnosticata quando ha
già raggiunto uno stadio avanzato, il che contribuisce a farne il tumore
ginecologico con il più basso tasso di sopravvivenza. Uno dei motivi per cui
questo male viene diagnosticato tardi, è senza dubbio la scarsa conoscenza della
malattia da parte dei medici non specialisti, ma anche il fatto che la maggior
parte delle donne ignora persino l'esistenza del tumore alle ovaie. Come per il
tumore al seno o per il tumore del collo dell'utero, l'informazione e la
consapevolezza da parte di noi donne della serietà del problema rappresentano il
primo passo per affrontare la battaglia contro la malattia. La nostra idea
è stata quella di unire le forze, non solo economiche, in una vera e
propria alleanza in cui pazienti, ricercatori, medici, strutture sul territorio,
imprese, uomini e donne di buona volontà si uniscano e collaborino ciascuno con
le proprie competenze al progetto comune contro il cancro all'ovaio. Un progetto
in cui le pazienti giochino un ruolo attivo nel definire le priorità, impostare
il lavoro e valutare i risultati lungo tre linee di azione: promuovere la
conoscenza del tumore ovarico e promuovere iniziative sul territorio volte a
favorire la diagnosi tempestiva; facilitare l'accesso a informazioni utili e a
cure di qualità; promuovere e stimolare la ricerca perché trovi al più presto
l'arma finale.” Nel sito vengono
riportate le testimonianze di chi è stato colpito dalla malattia e vuole
dare aiuto e conforto alle altre donne.
Coinvolgere pazienti e cittadini
Da qualche anno viene segnalata l’importanza di coinvolgere pazienti e loro
rappresentanze nella
discussione
e nelle decisioni sui temi
della ricerca. Il laboratorio di
ricerca per il coinvolgimento dei cittadini in sanità dell’Istituto Mario Negri
con il progetto “PartecipaSalute” sta affrontando da tempo questa tematica e ha
avviato una collaborazione con l’associazione ACTO.
Dal primo settembre 2012 è partito inoltre
il progetto europeo ECRAN (European Communication Research Awareness
Needs) (http://ecranproject.eu), coordinato dall'Istituto Mario Negri. Il
progetto promuove l’informazione sulla ricerca clinica indipendente presso i
cittadini europei, sviluppando differenti materiali informativi ed educativi.
Tra i materiali messi on-line per
aiutare i cittadini e i pazienti a conoscere meglio i metodi della ricerca
clinica vi è un video di animazione
molto divertente e coinvolgente. Il filmato, in soli 5 minuti e in 23 lingue
diverse, aiuta il pubblico a comprendere quali sono le procedure che vengono
seguite durante una sperimentazione clinica.
Con ECRAN un cartone animato sulla
ricerca clinica
Il video informativo racconta la storia di James Lind, chirurgo navale scozzese,
che nel 1747 si trovava a bordo di
una nave della Royal Navy con molti marinai malati di scorbuto. Molte erano
allora le idee contrastanti e le domande senza risposta relative alla cura dello
scorbuto, malattia a quel tempo mortale. Lind decise di affrontare il problema
sottoponendo i suoi pazienti a sei diversi possibili rimedi. La sperimentazione
messa in atto dimostrò come le arance e i limoni, rispetto agli
altri rimedi, erano di gran lunga la cura migliore. Inconsapevolmente
Lind, per cercare la terapia migliore, mise in pratica un vero e proprio
studio clinico. Le sue idee hanno rivoluzionato la comprensione di come
verificare se un trattamento è efficace o no. Il suo lavoro ha salvato non solo
la vita dei marinai della sua nave, ma ha gettato le basi per i moderni studi
clinici (studi randomizzati e controllati).