CITTA’ UTOPICHE E MONDI IDEALI
di Magali Prunai
La
Città
ideale è un dipinto
tempera
su tavola
(67,5x239,5 cm) di autore ignoto, databile tra il 1480 e il 1490 e conservato
nella
Galleria Nazionale delle Marche
a
Urbino.
L'opera, una delle immagini simbolo del
Rinascimento italiano,
vide la luce alla raffinata corte urbinate di
Federico da Montefeltro
ed è stata alternamente attribuita a molti degli artisti che vi gravitarono
attorno: tra i nomi proposti ci sono
Piero della Francesca,
Luciano Laurana,
Francesco di Giorgio Martini.
Altri studiosi sono propensi ad attribuire l'opera all'ambiente della Firenze
laurenziana ed alla riflessione in corso intorno all’opera di
Vitruvio,
individuando l'autore in
Giuliano da Sangallo
e nella sua scuola, arrivando a ipotizzare una collaborazione di Botticelli. Non
mancano attribuzioni anche a
Leon Battista Alberti,
del quale sarebbe l'unica prova pittorica.
La città ideale per l’uomo è un argomento che nella storia del pensiero
filosofico, ma anche architettonico, è stata lungamente approfondita e studiata.
Una città costruita secondo criteri di razionalità e un’impostazione scientifica
tali da rendere sempre più fattibile l’aspirazione dell’uomo ad avvicinarsi al
cielo, con lo scopo ultimo di tenere unita l'umanità. Questa concezione la
troviamo soprattutto nella Bibbia, nel libro della Genesi, quando si parla del
mito della Torre di Babele. Una torre costruita sul fiume Eufrate con lo scopo
di portare l’uomo sempre più vicino a Dio e di non disperdersi nel mondo come
Esso aveva comandato. Mito che nel corso dei secoli da mera leggenda religiosa
ha assunto sempre più connotati filosofici, tanto da stuzzicare la mente di
sommi pensatori della nostra storia.
Il
primo a parlarne è sicuramente il filosofo greco Platone, (a sinistra) vissuto
ad Atene a cavallo fra 400 e 300 a.C., nella sua opera “La Repubblica (Πολιτεία,
Politéia).
Lo Stato ideale e la sua città ideale, per Platone, è fondato su un
concetto di giustizia estremamente sviluppato per l’epoca.
La giustizia non si può circoscrivere nell’individuo, ma va ricercata
all’interno dello Stato. Con la crescita e lo sviluppo dello Stato si assiste
alla nascita e sviluppo di un concetto di giustizia sempre più sofisticato.
Perché nasca lo Stato deve nascere prima la città, la quale si forma
inizialmente da piccoli centri abitati da contadini e artigiani, i quali vivono
del frutto del loro lavoro, consumano pasti non pretenziosi e vestono e vivono
semplicemente. La polis si allarga, vi si introducono ricchezze, lussi e nuove
figure lavorative, come i mercanti e i soldati.
Dalla prima aggregazione urbana al suo sviluppo viene fatto notare come
progressivamente la civiltà degeneri fisicamente e moralmente. E’ così che nasce
l’idea di uno Stato ideale, basato su un’educazione ideale del cittadino.
Sull’imposizione allo stesso di fare un determinato lavoro, utile alla città e
alle esigenze degli altri cittadini, nel quale è necessario specializzarsi. I
cittadini sono divisi in tre categorie: artigiani, classe più bassa che ha lo
scopo di procurare beni materiali; i guardiani, che proteggono lo Stato; i
governanti o filosofi, che guidano lo Stato con maggiore saggezza. La classe non
è stabilita per nascita, ma da un’educazione selettiva attraverso la quale si
indirizza l’individuo al suo naturale posto nella società scoprendo, fin
dall’infanzia, le sue attitudini.
Il giovane viene, infatti, educato all’arte del combattimento e alla musica. Se
si dimostra degno potrà passare al ciclo di studi successivo, basato
sull’apprendimento della matematica e dell’astronomia. I più meritevoli saranno
innalzati allo studio della filosofia e della dialettica, al fine di diventare
bravi e saggi governanti. I filosofi sono la razionalità e rappresentano tutti e
non solo il singolo, gli interessi di uno. Ed è per questo che Platone mette
loro a capo del suo mondo ideale, governato da una perfetta armonia fra la
giustizia e le parti che compongono lo stesso. Teoria molto diversa da quelle
più moderne del contratto sociale.
Nella prima metà del 400 a.C. un altro grande studioso pubblicò un’opera
filosofica dedicata alla civiltà e al suo vivere in agglomerati urbani: S.
Agostino nel suo “De Civitatae Dei”
(La città di Dio).
S. Agostino (a destra) affronta la costituzione dello Stato e la sua città
perfetta da un punto di vista religioso. La città è divisa in due aspetti:
quello del male, la città fondata da Caino che, in quanto contadino, ha un
rapporto più stretto con la terra e quindi più lontano da Dio; e quello del
bene, città fondata da Abele che, in quanto pastore, non è stanziale, non
sfrutta direttamente la terra e quindi più orientato verso il cielo e verso Dio.
L’uomo, il cives, il cittadino, non sceglie se vivere nell’una o nell’altra
città, ma abita nel mezzo scegliendo ogni giorno da che parte schierarsi. Ed
ecco che anche per S. Agostino, perché vi sia una città ideale, è necessaria una
perfetta armonia fra i due mondi. Se Platone parlava di armonia fra giustizia e
parti dello Stato (argomento ancora molto attuale), Agostino vede tutto in una
chiave più cristiana e auspica a una armonia, a una perfetta convivenza fra bene
e male. Non si parla più dell’educazione al bello, alle arti e di affinare
l’intelletto con la filosofia per formare la classe dirigente del mondo ideale.
Per Agostino dipende tutto dalla Provvidenza divina, ivi compresa la propria
salvezza.
Non molto lontana da Platone è la città utopica di Tommaso Campanella, esposta
nella sua opera “Civitas Solis idea republicae philosophica” o “Città del Sole”.
Nella città di Campanella (immagine sotto) la vita di ogni giorno è
scandita da orari e compiti ben precisi. Si lavora solo quattro ore, durante le
quali lavoro manuale e intellettuale combaciano perfettamente, dopo di che si
passa ad attività ludiche tutte finalizzate alla cultura e alla crescita
intellettuale degli individui. L’educazione comincia nella primissima infanzia,
a tre anni si comincia ad apprendere il sapere attraverso giochi e l’ammirazione
delle sette mura che difendono la città.
La
città del Sole si trova su un’isola, è circolare ed è protetta da sette mura
chiamate coi nomi dei pianeti. Attaccarla è impossibile, perché vorrebbe dire
tentare di espugnarla sette volte. Il suo governo è affidato a un principe
sacerdote, chiamato Sole, che per essere tale deve essere erudito, curioso e
possedere qualità intellettuali notevoli. Per essere eletto governatore è
necessario aver compiuto almeno 35 anni di età, i nostri 50 o 60 se si pensa
all’aspettativa di vita media della società seicentesca in cui scrive l’autore,
perché così considerato più saggio e prudente. Il principe sacerdote è aiutato
da altri tre principi, uno che si occupa della pace e della guerra, uno che si
occupa della conoscenza e uno che si occupa dell’educazione, del lavoro e della
procreazione. Anche per Campanella, perché vi siano le condizioni di vita
ideale, è necessaria una perfetta armonia di tutte le parti dello Stato.
Cosa differenzia questi modelli utopici di vita dalle dittature moderne? La
domanda è lecita, ma la risposta è piuttosto semplice. Né Platone, né s.
Agostino, né Campanella parlano di un obbligo a seguire le regole di chi ha
preso il comando in maniera legittima secondo i “diktat” delle loro civiltà
utopiche.
Il cittadino può scegliere se aderire o
meno a queste regole scegliendo fra bene e male, come nel caso di s. Agostino, o
se abitare o meno nella città utopica, la città del Sole. Nel caso di Platone il
mondo conosciuto dovrebbe essere organizzato secondo le sue teorie, ma questo
significherebbe l’aver raggiunto un livello di perfezione nel convivere sociale.
Un livello di perfezione che quasi possiamo riscontrare nelle teorie anarchiche
di Bakunin, (foto a destra) secondo il quale la perfezione dello Stato sarebbe
nel raggiungimento di una civiltà tale da parte dell’individuo per cui l’avere
regole costituite sarebbe
superfluo.
Una bella utopia, da migliore dei mondi possibili per dirla alla Voltaire.
L’idea della città ideale venne studiata particolarmente durante il
Rinascimento, con l’idea delle “signorie cittadine”. La città torna il fulcro
della vita del cittadino, determinata da un perimetro preciso all’interno del
quale dovevano convergere aspirazioni precise: intellettuali e architettoniche.
Il loro equilibrio era espressione della mentalità e della cultura del tempo.
In Italia possiamo trovare alcune città costruite secondo le teorie di
perfezione testé esposte. Fra queste la più famosa è, sicuramente, Urbino, con
il suo Palazzo Ducale. Una costruzione grandiosa che si apre sulla monumentale
piazza cittadina e un cortile d’onore interno rigorosamente dalla forma
geometrica.
Altre
città che possiamo ricordare sono Pienza, in Toscana, "ristrutturata”, per
ordine di papa Pio II Piccolomini, (a sinistra, il profilo di Pio II in un
medaglio nella loggia comunale di Pienza) seguendo un piano prospettico ben
preciso per far rientrare in perfetta armonia le forme semplici e geometriche
rinascimentali con quelle medioevali. A Ferrara, prima ad avere un piano
regolatore grazie agli Estensi, signori della città, la necessità di nuove mura
e abitazioni portò alla parziale costruzione di un nuovo assetto stradario
basato sull’antica Roma, una città a scacchiera.
Città a scacchiera che possiamo vedere esposta nel Palazzo Ducale di Urbino. Si
tratta, infatti, di un dipinto di dubbia paternità nel quale si rappresenta il
modello di assoluta perfezione architettonica. Una scacchiera dove il pavimento
delle strade si interseca con marmi policromi che riflettono e amplificano la
struttura della città. I suoi edifici, come i pezzi degli scacchi, sono ordinati
e disposti a intervalli regolari, non devono superare i tre piani di altezza e
sono simmetrici e trasversali rispetto al centro che culmina in un edificio
rotondo, per sua natura perfetto. Il cerchio, infatti, al suo interno racchiude
il tutto e all’esterno lascia il vuoto.
PUFFI, BORG
E LA COLLETTIVITA’
“Noi siamo Borg, voi sarete assimilati. Ogni resistenza sarà inutile”.
Questa frase, famosa alle orecchie degli appassionati di Star Trek, viene
ripetuta ogni volta che i Borg, una specie di cyborg o “droni”, abbordano una
nave stellare e la conquistano. I Borg provengono da tutte le regioni dello
spazio, assimilano tutti i suoi abitanti che incontrano trasformandoli in uomini
robot che condividono, attraverso la collettività chiamata anche alveare,
pensieri, azioni e nozioni di ogni tipo e genere.
L’essere come individuo singolo viene meno, tutti sono in grado di fare tutto e
tutti sono importanti, ma non essenziali, per la vita della collettività. I Borg
non hanno bisogno di regole codificate, pensano tutti insieme e tutti insieme
decidono come comportarsi. Il loro scopo è quello di raggiungere la perfezione
attraverso l’assimilazione di sempre più specie e delle loro relative
conoscenze. Ma, comunque, a capo dell’intera collettività c’è un “drone”
particolare, chiamata Regina Borg, che può avere pensieri propri e influenzare
quelli dell’intero alveare. Insomma, i Borg sono tutti uguali e vivono tutti in
simbiosi ma c’è sempre e comunque qualcuno a capo che è più uguale degli altri,
per dirla alla Orwell.
La società Borg ricorda, con un po’ di fantasia, quella del villaggio dei Puffi,
fumetto creato dal belga Peyo negli anni ’50.
In una foresta incantata, in casette create nei funghi, vivono dei pupazzetti
piccolini, tutti blu: i Puffi. Questi strani esseri rappresentano in piccolo una
civiltà perfettamente organizzata, dove ognuno è uguale all’altro e ha un
compito specifico da portare avanti nel corso della sua esistenza.
Il Puffo inventore deve inventare prodigi tecnici per permettere, ad esempio, a
quello cuoco, chiamato anche golosone, di cucinare per tutti gli altri. Ogni
Puffo è uguale all’altro, è essenziale per la sopravvivenza di tutta la specie
ma, come i Borg, non pensa autonomamente. A capo della collettività, della
comune, vi è un vecchio saggio: il grande Puffo. L’unico, fra tutti i Puffi, ad
essere diverso. E’ vestito di un colore diverso dagli altri e ha la barba, cosa
che gli altri maschi della specie non presentano. Il colore differente di
pantaloncini e cappello e la barba rappresentano la diversità e la superiorità
del capo. Lui è il più vecchio, lui è il più saggio, lui decide per tutti.
Alcune
teorie “fantascientifiche” hanno voluto vedere nel villaggio dei puffi una
rappresentazione di una “comune”:
si vive a contatto della natura sfruttando il lavoro di tutti, il grande Puffo
vestito di rosso e con quel barbone bianco ricorda tanto il caro Karl Marx (a
sinistra) e Gargamella (a destra), il nemico giurato della civiltà che vuole
trasformarli tutti in oro, altro non è che la rappresentazione del capitalismo.
Se Peyo, al secolo Pierre Culliford, volesse o meno ricreare una piccola società
comunista e farla funzionare alla perfezione non lo sappiamo. Sicuramente
possiamo azzardare a dire che dietro ai Puffi vi è, comunque, una
rappresentazione della società dell’epoca e, forse, anche di quella attuale.
Tutti abbiamo un compito nella società, tutti dobbiamo svolgerlo per permettere
ad altri di svolgere il proprio e difficilmente pensiamo con la nostra testa, ma
più di frequente parliamo con le parole e i pensieri di altri.
Siamo tutti dei Puffi? Viviamo nel sogno di Gargamella, come i Puffi, o siamo
tutti degli uomini-droni?
Nessuna delle tre. I Puffi, anche se non in grado di essere autonomi, vivono
coscienziosamente, nel rispetto del passato e del futuro. I Borg assimilano
tutte le nozioni il più possibile necessarie per diventare sempre più perfetti.
La nostra società, attualmente, soffre di un altro male: l’amnesia. Il non
ricordare quello che è accaduto ieri, farà sì che oggi si ricommetta lo stesso
errore e che domani ci ritroveremo in una condizione di assoluta miseria
spirituale, culturale …
“Colui che non è in grado di darsi conto di tremila anni rimane al buio e vive
alla giornata.” Johann Wolfgang Goethe[1]
[1][1]
Wer nicht von dreitausend Jahren sich weiß Rechenschaft zu geben, Bleib
im Dunkeln unerfahren, Mag von Tag zu Tage leben.