La politica in Tv

Pregi (pochi) e difetti (tanti)

dei dibattiti televisivi

Quando la politica

diventa spettacolo

 

di Mario Talli

 

 

Pochi ormai ricorderanno le Tribune politiche  (si chiamavano proprio così) che si svolgevano alla Tv di una volta, diciamo a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, quando la televisione, nata da poco ed entrata in un numero ancora esiguo di case, era in bianco e nero, la Rai aveva un solo canale e non esistevano le reti commerciali. Le immagini erano quasi fisse e i protagonisti immobili, come ingessati: sullo sfondo, dietro ad una specie di cattedra sommariamente sagomata, il leader politico con ai lati l'addetto stampa e il giornalista che fungeva da moderatore. Di fronte erano sistemati i rappresentanti della carta stampata, appollaiati su cinque o sei  file di una tribuna sistemata a semicerchio, sulla falsariga dei banchi del Senato e della Camera. (nella foto a sinistra in alto, Jader Jacobelli; in quella a destra in basso Ugo Zatterin: i due conduttori storici di Tribuna Politica)

Poiché, come si è detto, non erano molte le case dotate di un apparecchio televisivo, la gente vi assisteva dalle case del popolo, dai circoli ricreativi di varia natura e anche da quei bar che avevano attrezzato una sala e sistemato su un trespolo quello scatolone ancora un po' misterioso che era l'apparecchio televisivo. Naturalmente, le sale si riempivano quando alla Tv comparivano Mike Bongiorno con “Lascia e raddoppia” o i primi spettacoli leggeri, ma anche le Tribune politiche  avevano i loro affezionati spettatori.

Lo schema era molto semplice: il giornalista rivolgeva in modo sintetico la domanda al leader di turno che si prendeva il tempo necessario per la risposta, alla quale l'interrogante poteva brevemente replicare.  Lo schema era talmente semplice che talvolta poteva diventare anche noioso (il risultato in ogni caso dipendeva dal tipo di domanda e ancor più dall'abilità di colui che rispondeva), ma nel complesso funzionava. In ogni caso consentiva all'uomo politico di esprimere compiutamente il proprio pensiero su una determinata questione, al giornalista (se bravo e soprattutto coscienzioso) di evidenziare eventuali inesattezze e contraddizioni; allo spettatore, infine, di farsene un'idea sufficientemente chiara.

Tutt'altra cosa avviene negli attuali dibattiti politici che la televisione ci propone con una intensità, una perseveranza e una modalità tali da far insorgere il legittimo sospetto che lo scopo non sia quello, lodevole, di chiarire le idee al cittadino elettore, bensì soprattutto quello di esibirsi a fini essenzialmente autoreferenziali e di promozione, sia da parte dei personaggi politici che  da parte dei giornalisti – in cui compiti, sia detto per inciso, sarebbero ben diversi da quello di fungere da domatori in quella sorta di caravanserraglio dove agiscono attori che spesso  non sanno neppure interpretare a dovere la parte.

Quando è cominciato il nuovo corso dei dibattiti politici in televisione? E' stato un processo graduale, sviluppatosi di pari passo con l'avvento della televisione commerciale. Un percorso che  ha accompagnato il proposito preciso e quindi non casuale di svalutare l'importanza e la stessa natura dell'agire politico.

Il primo ma decisivo passo fu di mettere a confronto, o meglio di mescolare, sugli schermi delle televisioni di consumo gli uomini politici con interlocutori tra i più occasionali ed improbabili. Soggetti reclutati nel sottobosco del mondo dello spettacolo o provenienti dai luoghi più imprevisti, del tutto ignoranti e spesso anche disinteressati rispetto alla politica, meglio se anche un po' strani ed eccentrici in modo richiamare l'attenzione del pubblico su di loro e di svalutare, per questo solo fatto oltreché per il raffronto ragionevolmente improponibile, il personaggio politico di turno, che pur di apparire accettava, con malcelato imbarazzo, una contaminazione innaturale sotto ogni punto di vista.    

Col passare del tempo le modalità si sono, diciamo così, evolute, la parte riservata allo spettacolo è diventata più raffinata, al confronto verbale è stata aggiunta la documentazione visiva e sonora nella forma dell'inchiesta giornalistica, ma non sempre l'effetto finale è quello che dovrebbe essere, cioè il confronto finalizzato all'approfondimento dei problemi e al chiarimento delle posizioni dei politici presenti rispetto ai medesimi. Non di rado la discussione trascende in offese reciproche e contumelie.

Naturalmente le trasmissioni che la televisione dedica al dibattito politico non sono tutte uguali. Molto dipende dallo scopo che si propone chi le concepisce e le organizza e dallo stile di questa nuova specie di giornalista, il giornalista intrattenitore,  impersonato dal conduttore della trasmissione.

Senza dilungarci in un esame più ampio e approfondito, si potrebbe arrivare ad una prima conclusione, osservando che generalmente funzionano meglio ai fini di un risultato cognitivo soddisfacente ed anche -  perché no - educativo, le trasmissioni in cui il giornalista è alle prese con un solo interlocutore (alla Biagi), o con due, come generalmente avviene presso la brava Lilli Gruber.            

Si obietterà che scontri molto duri avvenivano anche durante i dibattiti politici televisivi d'antan. E' vero. Ma era assai raro che lo scontro, anche acceso, trascendesse nell'offesa personale. Eppure a quel tempo le contrapposizioni politiche erano anche più dure di adesso, a motivo della guerra fredda, della violenta contrapposizione tra Oriente e Occidente e delle rigide  demarcazioni ideologiche. 

Le domande dei giornalisti erano spesso rivolte con piglio polemico e talvolta anche esplicitamente accusatorio e l'uomo politico rispondeva a tono, oppure faceva finta di non aver avvertito l'intento provocatorio. Palmiro Togliatti (foto a sinistra) alla provocazione rispondeva in modo gelido, ma senza mai omettere il ragionamento. Amintore Fanfani, (foto qui sotto) alla cattiveria delle domande opponeva la battuta sarcastica caratteristica dei toscani. Giancarlo Paietta non era toscano, ma essendo un uomo passionale e sanguigno non si faceva certo intimidire dalla polemica altrui: anzi, sembrava ci provasse gusto a rispondere per le rime.

Le diversità di comportamento tra i protagonisti dei dibattiti televisivi di ieri e quelli di oggi dipende ovviamente da molti fattori. In generale potremmo dire che la società nel frattempo è cambiata e con essa sono mutati anche i comportamenti umani. Ma due possibili concause ci pare sia possibile isolarle.

La prima è rappresentata dall'esigenza assoluta di fare spettacolo, perché lo spettacolo paga in termini di ascolto e quindi di pubblicità e inoltre accarezza l'ego in qualche caso fuori misura del conduttore o domatore che dir si voglia. La seconda concausa è tutta riferibile alla politica. Negli anni Cinquanta e Sessanta le accuse di una parte contro l'altra erano senza esclusione di colpi, in dipendenza delle circostanze storiche che abbiamo richiamato, ma avevano quasi sempre il pregio dell'autenticità. I protagonisti dei dibattiti di allora si guardavano in cagnesco, ma sostanzialmente in qualche modo si rispettavano perché sapevano che le rispettive posizioni derivavano da concezioni diverse, talvolta opposte  della realtà e della storia, ma autenticamente vissute. Da questo punto di vista la situazione odierna è del tutto diversa. Le asprezze dialettiche di oggi, le ingiurie personali e le contumelie sono molto spesso il prodotto di contrapposizioni artificiali, costruite ad arte allorché qualcuno intenzionato a “scendere” in politica (si ponga la dovuta attenzione alla parola scendere) reputò di avere assoluto bisogno di inventarsi un nemico per dividere in due grandi porzioni l'opinione pubblica e insediarsi alla testa di una di esse.

 Nella foto a sinistra: Giancarlo Pajetta

 

 Il Galileo