Quel giorno lontano

sul filo della memoria

 

di Giuseppe Prunai

 

Avevo 7 anni,  il 25 luglio 1943. Ma a 70 anni di distanza, la mia memoria  non riesce a liberarsi di alcuni flash.

Mio padre, ufficiale di marina di complemento, era stato richiamato e destinato alla base di Tolone, nella Francia occupata dove, l’ 8 settembre, fu catturato dai tedeschi. Mia madre ed io eravamo rimasti soli, con la nonna, ridotta in una sedia a rotelle. Quando entravano in azione  le sirene dell’allarme aereo, mia nonna urlava a mia madre: pensa al bambino, io resto qui. Noi correvamo nel ricovero e al cessato allarme ripercorrevamo la strada a ritroso, sperando di trovare ancora la casa e la nonna.

L'ultima seduta del gran cosngilio del fascismo in cui fu votata la sfiducia a Mussolini

 

 

La sera, in gran segreto, mia madre ascoltava Radio Londra, a volume bassissimo e mi raccomandava di non dire niente a nessuno perché, mi spiegava, c’era da finire in carcere. Le leggi fasciste, infatti, prevedevano, per gli ascoltatori di Londra, due mesi di arresti con la condizionale e mille lire di ammenda. Io non capivo nulla di quanto diceva il Colonnello Harold Stevens, ma ero affascinato da quei quattro colpi di tamburo, tre brevi e uno lungo, che annunciavano la trasmissione. Si è fantasticato a lungo su quella sigla. Si parlato del tamburo di Drake. Secondo la leggenda, il suo suono avrebbe evocato il famoso corsaro, pronto a combattere di nuovo se l’Inghilterra fossa stata in pericolo. Si è parlato delle prime quattro note della quinta sinfonia di Beethoven. Personalmente, sono più propenso a credere che si trattasse di una lettera dell’alfabeto Morse, la V che corrisponde, appunto, a tre punti e una linea. Si è detto che fosse la V di Victory, che Churchill mimava con  l’indice e il medio della mano destra. Ma è probabile che la spiegazione sia ancora più semplice: ai tempi della radiotelegrafia, i marconisti facevano precedere le loro trasmissioni da una serie di una decina o più V per dare modo ai corrispondenti di sintonizzare al meglio i ricevitori e prepararsi ad accogliere il messaggio.

 

L'esito della votazione del 25 luglio nel verbale della riunione

 

 

La sera del 25 luglio, poco prima delle 23, quando ci preparavamo ad andare a letto (i vestiti ed una borsa con i soldi e qualche gioiello vicini, pronti a scappare in caso di allarme), le trasmissioni dell’EIAR (era questo il nome della RAI di allora) furono interrotte dalla voce dell’annunciatore Giovan Batista Arista, che più o meno 25 anni dopo, sarebbe stato il mio caporedattore al Giornale Radio unico (quello prima delle riforma del 1976). (nella foto a sinistra, Benito Mussolini)

Fu interrotto il programma musicale, si sentì l’uccellino della radio che annunciava che le trasmissioni procedevano a reti unificate, e poi la voce di Titta Arista:

“Attenzione, attenzione”

Oh Dio, cosa è accaduto. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, del 10 dello stesso mese, c’era da aspettarsi di tutto.

“Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo ministro e Segretario di Stato, presentate da S.E. il Cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato Capo del Governo, Primo ministro e Segretario di Stato, S.E. il Cavaliere Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio”.

-         Mamma, che vuol dire dimissioni?

-         Che il Duce se ne va.

-         E allora, che succede?

-         Chi lo sa? forse finisce la guerra.

Ma poi, la doccia fredda: “La guerra continua”, disse Badoglio.

C’era il coprifuoco, non tutti ascoltavano la radio e la notte passò tranquilla. Ma la mattina dopo, i venditori di giornali, gli strilloni diffusero la notizia con il loro tam tam.

-         La dimissioni del Duce – Mussolini arrestato – Badoglio capo del governo…

La gente si riversò in strada sventolando le bandiere tricolori con lo stemma sabaudo, ci fu qualche scontro con sparuti gruppetti di fascisti, quei pochi che non se l’erano squagliata, le “ultime raffiche”, rimasti a guardia delle Case del fascio e delle casermette della Milizia che la gente invase saccheggiandole e devastandole.

Insomma, euforia, cortei spontanei come non  ne avevo mai visti, abituato com’ero alle sfilate di tipo militare, tutti rigorosamente inguainati in una divisa da operetta. E canti mai uditi: il Piave, Fratelli d’Italia, l’Internazionale.

Quell’anno, avevo una tata che ogni mattina mi portava ai giardini pubblici. Come ogni giorno, mi presentai con il pallone sotto braccio, con il quale giocavo con altri ragazzi. Ma quel 26 luglio, il parco  era deserto e la signora Maria, così si chiamava, mi portò a vedere i cortei della gente.

-         Così da grande ti ricorderai di questo giorno

E quando ripenso alla decisione della tata, mi viene in mente il Ferdinando Martini di “Confessioni e ricordi” che da bambino assisté ad alcuni eventi storici del Risorgimento grazie a Tommaso Cogo, il servitore che aveva l’incarico di portarlo a spasso.

Al ritorno, la tata volle sedersi su una panchina dei giardini perché era stanca morta ed io ne approfittai per dare qualche calcio al pallone che finì per infilarsi sulla lancia dell’unico cancello in ferro che non era stato donato alla patria.

A 70 anni di distanza, il mio ricordo di quel 25 luglio è anche quello del pallone irrimediabilmente sfondato.

 

Il Galileo