Il tortuoso cammino di uno
dei “ragazzi di via Panisperna”
lo scienziato che scelse l’URSS
Ricorre il centenario della nascita del fisico italiano Bruno Pontecorvo,
allievo di Fermi, trasferitosi in piena Guerra Fredda nell'Unione Sovietica. Fu
autore di importanti ricerche sul decadimento del muone e sui neutrini.
di Irene Prunai
Il 1° settembre 1950, agli albori della guerra fredda, il fisico nucleare Bruno
Pontecorvo (foto a sinistra), nel corso di una
vacanza,
fece improvvisamente perdere le sue tracce, insieme alla famiglia. Inizialmente
si pensò ad un nuovo “caso Majorana” e la sua fuga creò un vero e proprio
terremoto politico in Europa e negli Stati Uniti: Pontecorvo era infatti uno
scienziato noto in tutto il mondo per le sue ricerche nell’ambito della fisica
nucleare. La storia della sua scomparsa è uno dei misteri più affascinanti
legati all'era atomica e alla guerra fredda. Sulla storia rimangono molte
domande senza risposta, e se per alcuni è stato una spia che ha rivelato
importanti segreti atomici ai russi, per altri è stato un idealista pronto a
mettere le sue conoscenze a servizio dell’Unione Sovietica.
Nato a Marina di Pisa il 22 agosto 1913 da una famiglia benestante di origine
ebraica, Pontecorvo frequentò in età molto giovane il biennio di ingegneria a
Pisa e a soli 18 anni si iscrisse al terzo anno della facoltà di fisica
all’università di Roma. Lì conobbe Enrico Fermi e Franco Rasetti e ben presto
diventò “il cucciolo” dei “ragazzi di via Panisperna”. Poco più che ventenne
Pontecorvo è già maturo per debuttare nella comunità scientifica internazionale.
Gli scienziati del suo calibro sono contesi dalle maggiori potenze mondiali e
gli interessi aumentano quanto più la situazione politica mondiale prende quella
forma che noi tutti conosciamo. Fu così che nel 1936, per sfuggire alle
persecuzioni raziali, decise di trasferirsi a Parigi dove lavorò con
Joliot-Curie. Ebreo e comunista, nel 1938 aveva preso la tessera del Pci, nel
1940 fu costretto a lasciare Parigi ormai occupata dai tedeschi. Arrivato negli
Stati Uniti, grazie a una borsa di studio, lavorò per una società petrolifera a
Tulsa, in Oklahoma, mettendo a punto una nuova tecnica di introspezione dei
pozzi petroliferi, basata sul tracciamento dei neutroni: è la prima applicazione
pratica delle scoperte del gruppo di via Panisperna. A causa delle sue idee
filocomuniste fu però escluso dalla partecipazione al Progetto Manhattan per la
costruzione della bomba atomica e forse fu per questo che nel 1948, a guerra
conclusa, decise di partecipare al progetto della bomba atomica inglese,
ottenendo così il passaporto britannico. Ma anche gli inglesi dimostrarono di
fidarsi poco di lui. Alla sua connotazione di noto comunista si aggiunsero altre
circostanze: aveva conosciuto nel corso delle sue trasferte scientifiche Alan
Nunn May e Klaus Fuchs, due fisici condannati rispettivamente in Inghilterra e
in America per spionaggio a favore dell' Urss.
Siamo arrivati all’ultimo atto della storia di Pontecorvo e qui avviene il colpo
di scena. All’improvviso non si hanno più tracce dello scienziato né della sua
famiglia. Ma se la sparizione sorprende, la destinazione è facile da immaginare.
In macchina con la famiglia, lo scienziato raggiunge l'Italia. Dopo alcuni giri
per salutare i parenti, da Roma prende un aereo per Stoccolma. Dove si
imbarcherà per Helsinki. Nel tratto successivo, Helsinki-Leningrado, i
Pontecorvo si dividono. La moglie e i figli normalmente seduti in un'
automobile, Bruno nascosto nel bagagliaio di un’altra auto.
La famiglia Pontecorvo verrà trasferita a Dubna, una cittadina a un centinaio di
chilometri dalla capitale dove risiede l’aristocrazia della Fisica sovietica.
Pontecorvo è privato delle sue generalità e per i tutti diventa semplicemente
“il professore” o “Bruno Maksimovic”. Il suo cognome verrà riconosciuto dopo
cinque anni in occasione di una conferenza stampa indetta per lui nella sede
dell’Accademia delle Scienze.
Ora Pontecorvo è un cittadino sovietico a tutti gli effetti e in quanto
scienziato ha diritto a molti privilegi.
Nel ’68, pur condannando l’invasione della Cecoslovacchia, non aderisce alle
proteste dei comunisti italiani e non prende posizione né a favore né contro
Sacharov, il grande fisico dissidente. Quando Miriam Mafai lo intervisterà nel
’90, ormai vecchio e affetto dal morbo di Parkinson, dichiarerà: “Ora può
sembrare inspiegabile, incredibile, ma ci ho creduto.” Ma quando la giornalista
gli chiederà di un eventuale pentimento per la scelta fatta quarant’anni prima,
la sua risposta riassumerà in poche parole una vita: “Ci ho pensato molto, a
questa domanda. Puoi immaginare quanto ci ho pensato. Ma non riesco a dare una
risposta.”