A proposito di un libro sulla
religiosità di Giacomo Puccini
Forse è vero che moriremo
tutti democristiani
di Mario Talli
Una curiosa locandina della Società dei cacciatori di
Valdinievole, con sede in Pescia, con foto di Giacomo Puccini, del presidente
della soietà, ed uno schizzo del Castello di Uzzano dove - avverta la didascalia
- nel 1897 venne composta la Boheme e il Progetto sulla caccia
Giacomo Puccini ha sempre avuto fama di uomo gaudente. Donnaiolo e marito
infedele, estimatore della buona cucina e di altri sollazzi, infine amante della
caccia e perciò nemico giurato di quelle altre creature di Dio che sono gli
animali: insomma un vero e proprio viveur. Naturalmente Puccini si è
prima di tutto guadagnato meritata fama di grande musicista, probabilmente
l'ultimo importante compositore italiano tra l'Ottocento e il Novecento e senza
dubbio anche il più moderno di quella bella compagnia.
Perché nell'incipit abbiamo privilegiato il Puccini gaudente rispetto
all'artista inestimabile? Lo abbiamo fatto per far risaltare ancora di più il
contrasto tra l'uomo che tutti ritenevamo finora di conoscere e quello che ci
viene invece rivelato da un libro che ha per titolo “La religiosità in
Puccini” , di cui è autore Oriano De Ranieri, giornalista di lungo corso ora
in pensione, due lauree, una recente in Scienze
religiose, infine uomo che cerca di vivere con coerenza la propria fede.
Perfino Simonetta Puccini, la nipote del Maestro, nella prefazione parla
di “scoperta sorprendente”. *
Ma non è
del libro che intendiamo parlare. Di esso diremo soltanto che è imperniato su
una meticolosa ricerca biografica,
testimoniale ed epistolare e su un'accurata lettura e “riascolto” delle
composizioni pucciniane. Vogliamo invece soffermarci sulle riflessioni che ha
suscitato in noi la presentazione che ne è stata fatta in un salone del palazzo
dove ha sede a Firenze il Consiglio regionale della Toscana.
Insieme all'autore, alla signora Puccini e a un valente critico musicale,
a parlare del libro c'erano uomini politici e giornalisti tutti di estrazione
rigorosamente democristiana, anche se attualmente attestati, per forza di cose,
su sponde diverse. (Diverse, ma pur sempre immancabilmente confinanti).
Dunque, l'oggetto della discussione, come suggerito dal titolo, era la
religiosità del grande compositore di Bohème, di Tosca, di
Butterfly e di altri capolavori. A prima vista si sarebbe potuto pensare che
i vari relatori o almeno qualcuno di essi si sarebbe mostrato almeno un po'
sorpreso, così come è accaduto a noi e ad altri del pubblico presente, al
cospetto di questa inconsueta rappresentazione dell'uomo Puccini, finora noto a
tutti quanti per le sue attitudini
mondane piuttosto che per quelle riferibili alle cose dello spirito. A
prescindere, ovviamente, dalla poesia, dal sentimento, e dalla trascinante
bellezza della sua musica.
Non è stato così. Nessuna sorpresa hanno manifestato i relatori. Che anzi
si sono ingegnati per indagare i più reconditi recessi dell'animo pucciniano e
della sua musica – alcune pagine della Fanciulla del West e di Suor
Angelica - congiuntamente ad
alcuni episodi della sua biografia esistenziale – le frequentazioni della
sorella monaca, la affettuosa confidenza con un sacerdote dei suoi luoghi natali
che lo aveva visto crescere e diventare adulto, l'invocazione del Padreterno in
punto di morte – allo scopo di dimostrare la sua effettiva e profonda
religiosità.
Più equilibrato ci è parso, al confronto,
l'autore del libro, il quale si è premurato di avvertire nella
introduzione che non era sua intenzione tentare una “acquisizione religiosa
postuma” di Puccini, riproponendo
“un'operazione tanto di moda in questo
periodo nella stampa cattolica”. Suo scopo era quello di “sottolineare
semplicemente un aspetto della vita e dell'opera di un grande musicista dai
mille volti, in cui l'aspetto religioso è stato molto importante”.
Il punto che ci interessa e che ci ha sollecitato queste riflessioni è
proprio questo: sarà forse colpa
della
Controriforma, ma in questo nostro benedetto Paese le dosi di autentica
cristianità in molti di
coloro che in un modo o nell'altro si richiamano al Cristo si fa fatica ad
intravederle. E' anche vero che il Redentore è particolarmente esigente; seguire
tutti i suoi precetti non è facile, ma una ormai lunga esperienza – pregio quasi
unico dell'età - ci ha insegnato che molti di coloro che a Lui si richiamano
neppure ci provano o ci provano molto parzialmente. Potremmo anche dire che sono
“cristiani minimalisti” o, se si preferisce, “a bassa intensità”.
Non vogliamo essere fraintesi. Non abbiamo nessuna ragione per affermare
che i recensori della biografia pucciniana presso la sede del Consiglio
regionale toscano non siano persone degne di rispetto. Anzi, lo diamo per
scontato. Tre di questi li conosciamo bene da molto tempo e lo possiamo
testimoniare di persona. Quello che vogliamo dire – e non è facile dirlo – è che
in quella riunione di persone dabbene si percepiva nell'aria una “tonalità”
(stiamo pur sempre parlando di Puccini e
quindi di musica) di gaudiosa
soddisfazione nel confermarsi, gli uni e gli altri, che dopotutto i credenti,
pur se peccatori, possono a buon diritto autoproclamarsi sempre e comunque
cristiani e, in aggiunta, se vogliono, democristiani.
Come si diceva è una suggestiva e insinuante questione di “tonalità”, di
come si legge e si interpreta uno spartito: nel nostro caso piuttosto che
prendere di petto il peccato e magari
contrapporgli la virtù cristiana del perdono a seconda dei casi invocato
o concesso, si preferisce attutire il peccato, annacquarlo, stemperarlo in un
esile finale di concerto dove tutto si confonde e si consuma.
Qualcuno ha vaticinato che in Italia moriremo tutti democristiani. Deve
essere proprio vero.
*
Oriano De Ranieri: "La religiosità in Puccini
-"La fede nelle opere del Maestro" Zecchini Editore.