Riflessioni a ruota libera
Sul linguaggio dei media
di Giuseppe Prunai
I presidenti del Senato e della Camera comunicano a Giorgio Napolitano la rielezione
Praesidens iterum
avrebbero detto gli antichi romani per salutare la rielezione di Napolitano.
Praesidens iterum, presidente per la
seconda volta. Due parole in latino, cinque in italiano. Ma noi italiani, è
risaputo, siamo filologi, nel senso
etimologico della parola, cioè amanti delle parole. E ne usiamo tantissime,
molte più del dovuto, alcune anche
a sproposito.
Ma questo è un po’ il guaio di quasi
tutte le lingue romanze. Hanno un vocabolario amplissimo, una struttura
grammaticale e sintattica complessa che consente di descrivere qualsiasi cosa,
anche le sue sfumature, con la massima precisione, di comunicare al meglio un
concetto ma sanno anche essere, a comodo, fumose, imprecise, di difficile
interpretazione, a doppio senso. Ma questo, dirà qualcuno, accade anche in
latino. Quando facevamo il liceo, ci siamo tutti scornati con il responso di non
ricordo quale sibilla che, ad un soldato che la interrogava sulla propria sorte,
vaticinò: Ibis
redibis non morieris in bello. Una
sentenza la cui interpretazione dipende dalla posizione della virgola:
Ibis redibis non, morieris in
bello cioè andrai, non tornerai, morirai in guerra; oppure
Ibis redibis, non morieris in bello
che si traduce: andrai e tornerai, non morirai in guerra. Ma questo era il
linguaggio di un’indovina che leggeva il futuro, non nei fondi del caffè, in
quel tempo sconosciuto a Roma e dintorni, ma nelle viscere degli animali o nel
volo degli uccelli. Il linguaggio corrente, il linguaggio del popolo, era molto
più diretto. E qui, l’elenco degli esempi, rischia di assomigliare a quello del
telefono.
Al giorno d’oggi, un esempio di linguaggio corrente va ricercato nei giornali,
soprattutto in quelli telematici, scritti per essere letti velocemente e
velocemente compresi senza dover ricorrere ad acrobatiche interpretazioni. Ciò,
ovviamente, non toglie valore a quei commenti fatti di linguaggio fra le righe.
Ma si tratta di messaggi indirizzati a destinatari ben precisi.
Dopo la rielezione del presidente Napolitano, abbiamo dato una scorsa ad alcuni
quotidiani italiani on line per esaminare i titoli degli articoli che riferivano
della seduta del Parlamento dalla quale era uscita la fumata bianca.
Ricordiamo che il titolo è una sorta di
lied nella quale è concentrata la notizia. Più è breve, più è efficace. La
concisione del titolo è essenziale e può fare la fortuna di un articolo,
soprattutto quando si tratta di una vicenda già nota, come la rielezione di
Napolitano, che tutti già
conoscevano tramite radio, TV e notiziari web.
Nei giornali, ci sono dei redattori specializzati nella formulazione dei
titoli. Molte volte, un titolo è il prodotto di un lavoro a quattro o più mani
nel senso che un redattore lancia un’idea, un altro la perfezione, un altro
ancora la stravolge e la sintetizza in tre o quattro parole.
Ma la lingua italiana, come le consorelle romanze,
consente una simile concisione? Permette di riassumere in tre, quattro
parole al massimo un fatto qualsiasi dell’attualità? Vediamo un po’ come hanno
titolato alcuni giornali on line, cominciando dai titoli più sinettici.
Il Secolo XIX:
“Napolitano è presidente”
L’Adige:
“Giorgio Napolitano bis”
Il Mattino, Il Gazzettino di Venezia, Il Corriere Adriatico e Il Sole 24Ore
usano lo stesso titolo: “ Napolitano rieletto presidente”
Il Corriere della Sera:
“Napolitano: bis storico”
La Stampa:
“Lo storico bis di Napolitano al Colle”
Il Messaggero:
“Napolitano rieletto presidente” e poi continua in una seconda riga parlando
della “prova cruciale” a cui è chiamato
La Repubblica:
“Elezione del Presidente della Repubblica. Rieletto Napolitano: “Voto espresso
liberamente”
Il Tempo:
“ L’Italia nelle mani di Napolitano”
Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione:
“Napolitano rieletto presidente – Per la prima volta in Italia un secondo
mandato al Colle”
La Gazzetta del Mezzogiorno:
“Napolitano: bene, bravo, bis”
Il Giornale di Sicilia:
“Napolitano presidente, storica rielezione al Quirinale”.
Come si vede, alcuni si limitano alla pura notizia della riconferma del
presidente uscente, altri azzardano cosiddetti titoli di merito, cioè accennano
un giudizio politico a poche ore dal voto delle Camere riunite, uno solo
riferisce la notizia in tono sarcastico. La lunghezza minima è di tre parole,
quella massima di dieci.
Stringati, in genere, anche i giornali stranieri. Citiamo solo i tre media che
ci sono sembrati più significativi. Il francese
Le Figaro titola: “Le Président
Napolitano réélu” (quattro parole); Il tedesco
Bild Zeitung: “Staatschef Napolitano
(87) wiedergewählt” (tre parole, quattro con quell’ottantesette con la quale si
indica l’età del presidente). Telegrafico, il sito della
BBC “Napolitano re-elected” (due
parole soltanto). Ma l’autorevole
Le Monde non rinuncia ad un
titolo di merito nel quale sostanzialmente si afferma che l’asse
D’Alema-Renzi ha rieletto Napolitano per salvare Berlusconi. Un’affermazione
forte, che riferiamo per dovere di cronaca e della quale il quotidiano si assume
la responsabilità. Insomma un giudizio politico inequivocabile che già introduce
il testo, che comincia con le stesse parole del titolo. Pigrizia del redattore
che ha titolato facendo copia-incolla della lied del testo o volontà di un
giudizio tranchant?
Come sempre, il linguaggio della BBC è il più diretto e il più breve, quanto a
tempi di trasmissione. Ma il modello BBC, con buona pace dei suoi estimatori e
degli imitatori, non funziona con la lingua italiana
e nel nostro paese abituati come siamo ad un linguaggio più forbito e
prolisso. Tutti i soloni che hanno
tentato di predicare ai redattori dei Giornali Radio e dei Telegiornali l’uso
degli stilemi dell’emittente britannica, non hanno mai avuto fortuna.
Troppo diverse le strutture delle due lingue, troppo diversa la lunghezza
delle parole. La composizione media della parola inglese è, infatti di una
sillaba e 20 (perché le lingue sassoni tendono al monosillabismo). La parola
italiana ha, invece, una lunghezza di due sillabe e 25, praticamente il doppio.
Consentitemi a questo punto, un aneddoto. Un direttore del GR Rai, era così
innamorato del modello inglese che inviò un redattore a Londra per studiarlo per
poi insegnarlo ai colleghi. La costosa iniziativa fu un fiasco e fu chiosata in
chiave umoristica da molti
giornalisti che, passando nei corridoi dinanzi alla stanza del direttore e
dell’inviato a Londra, intonavano la canzone che cantavano Arbore e Buoncompagni
nel programma “Alto gradimento”: No, non è la BBC….”
Il problema dei redattori del giornale radio è da sempre quello di tenere desta
l’attenzione degli ascoltatori. L’attenzione è la capacità di concentrarsi su un
argomento, di comprenderlo, di trattenere l’informazione udita. Dicono a ragione
gli psicologi della cognizione che l’attenzione diminuisce con il passare dei
minuti. Se rappresentiamo l’attenzione con un grafico, ricorrendo agli assi
cartesiani, abbiamo una retta in discesa costellata di brevi guizzi, di picchi
in salita. Corrispondono alle lied delle varie notizie. Più la lied è forte, è
accattivante o contiene una notizia che ha del sensazionale, più alto è il picco
in salita. Ma poi l’attenzione scende di nuovo. E’ per questo che la notizia, il
servizio, l’intervista radiofonica deve essere breve. Un messaggio breve ha
maggiori probabilità di essere compreso e trattenuto.
E’ per questo che la notizia breve standard del Gr è di circa cinque righe, cioè
circa 398 battute, spazi inclusi. Perché anche gli spazi, che corrispondono a
pause più o meno lunghe, hanno una durata temporale. Le notizie della BBC, sono
di circa tre righe, cioè 242 righe, spazi inclusi. Ovviamente gioca la brevità
della parola della lingua inglese e la maggiore concisione della lingua. Ma la
brevità è speso ottenuta a scapito della qualità del testo e, soprattutto della
lettura. Un minuto di lettura veloce, con la cadenza dei vecchi annunciatori
(cioè lettura in modo monotono, nella suddivisione logica della parola mono
tono) equivale a circa quindici righe. Ma se chi legge modula, come si dice in
gergo, cioè utilizza una lettura espressiva, in un minuto riuscirà a leggere al
massino dodici o tredici righe. Sarà più lento, ma più efficace perché la
velocità di lettura non facilita la comprensione del messaggio.
Il linguaggio è un sistema estremamente complesso. Per brevità, si dice che si
tratta di un sistema binario fatto di parola e immagine. In realtà si tratta di
un modo di comunicare che investe tutti e cinque i sensi: oltre all’udito e alla
vista, interessa anche il gusto, l’olfatto e il tatto. In alcuni casi, anche il
cosiddetto “sesto senso”, cioè l’intuizione. Se priviamo il linguaggio di uno di
questi elementi, abbiamo un modo di comunicare artefatto, monco. Ma il nostro
cervello ripristinerà gli elementi mancanti.
A differenza di quanto accade in TV, dove parola e immagine sono complementari,
anzi l’immagine prevarica la parola rendendola, a volte, superflua, alla radio e
nei giornali stampati la parola parlata o scritta evoca un’immagine. Anzi, deve
evocare un’immagine altrimenti il testo parlato o scritto avrà fallito il suo
scopo. Più veloce e diretto sarà il linguaggio parlato o scritto, più veloce
sarà l’immagine evocata nella mente dell’ascoltatore o del lettore. Un’immagine
che può andare dal semplice flash al film completo.
Di quest’idea, almeno per ciò che riguarda la radio, i maggiori teorici
dell’informazione parlata. Dal Marinetti del “Manifesto futurista della radio”,
al giornalista Ermanno Amicucci (sottosegretario alla corporazioni e poi
direttore della Gazzetta del Popolo) che al debutto del primo “Giornale
parlato”, nel 1929, tracciò il profila del giornalista radiofonico, a
Pirandello, a Brecht, a Majakowsckij, a Gadda. E l’elenco potrebbe continuare.