Come è cambiato il modo di fare in formazione, la crisi del settore, il futuro
dell’Ordine dei Giornalisti: ecco i temi affrontati in questa intervista a
Letizia Gonzales, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
di Giuseppe Prunai
Come cambia il giornalismo ai tempi del web e ai tempi della crisi economica che
affligge il settore e numerosi editori fanno la cura dimagrante sulla pelle dei
loro dipendenti. Come cambia l’Ordine che regola giuridicamente e
deontologicamente la categoria? Ed è vero che
le scuole di giornalismo sono delle fabbriche di disoccupati?
Ecco altrettante domande che abbiamo posto a Letizia Gonzales (foto sopra),
presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, il più importante
d’Italia. Ed è la prima donna, dalla costituzione dell’Ordine, nel 1963, a
ricoprire in Lombardia la carica di presidente. Ha lavorato trent'anni in Rcs
Rizzoli e Rusconi in testate come Amica, Eva, Europeo, Capital, Bella, Pratica,
dove ha seguito tutti i settori, dall'attualità alla moda e con quasi tutte le
qualifiche da redattore a vicedirettore. E’ stata tutor al primo Master di
giornalismo dell’Università Statale di Milano e ha tenuto corsi di giornalismo a
Brescia. Da quando è andata in pensione sta dedicando la sua attività al
servizio della categoria. Da sempre Letizia Gonzales ha anche una forte passione
civile che l’ha impegnata in tre storiche istituzioni culturali milanesi: è
stata infatti consigliere della Società del Quartetto, dopo essere stata
consigliere dell’Aim, Associazione interessi metropolitani, e collaboratore
volontario all’ufficio stampa del museo Poldi Pezzoli.
Ecco l’intervista.
D. Difficile la situazione economica del nostro settore. Anche il gruppo RCS sta
facendo una cura dimagrante, qualche collega è in grave difficoltà, per non dire
alla disperazione. Qual è attualmente
la reale situazione e quali le prospettive?
Sulla crisi della categoria sono più informati i colleghi del sindacato. Ordine
e sindacato sono osservatori diversi. Dal mio osservatorio, vedo che la crisi
per il momento è molto forte. Si sperava di trovare delle
soluzioni
tramite internet e la multimedialità però tutti questi settori per il momento
non sono remunerativi. Finché gli editori non troveranno il modo di rendere
economico il web avremo ancora crisi. Difficile dire quando finirà. E’ come
chiedersi quando finirà la crisi economica di questo paese. Certamente è la
peggiore crisi di questi ultimi 40 anni. Mai così tanti colleghi sono senza
lavoro, mai così tanti colleghi sono senza futuro, mai tante case editrici in
crisi profonda.
D. Certe volte si ha l’impressione che gli editori italiani, a proposito di web,
si siano mossi con notevole ritardo. Il motivo è culturale oppure
economico-remunerativo?
Secondo me giocano entrambi i motivi. Ci siamo chiesti a lungo perché gli
editori italiani non avessero provveduto in tempo intanto ad informatizzare le
aziende (i colleghi della carta stampata sono partiti in ritardo in questo
settore), ad aggiornarsi su tutte le nuove tecnologie, tipo web TV, tipo i
nuovi programmi di grafica necessari per il nuovo tipo di editoria. Secondo me,
per una totale mancanza di visione del futuro. Un po’ per risparmiare, e
un po’ per ricevere remunerazioni massime senza prevedere che il paese andava
impoverendosi e quindi sarebbe mancata la pubblicità che è un sostegno vitale
per i quotidiani. Oggi, fra l’altro, credo che anche il mondo della pubblicità
si debba interrogare su quali strumenti utilizzare per i siti web, ovviamente
diversi da quelli della carta stampata.
D. Abbiano introdotto il tema del web e questo mi spinge a chiederti come è
cambiato il nostro mestiere rispetto a quando abbiamo cominciato noi?
Molti di noi non sono mai passati dalla macchina per scrivere al computer
(nella foto a sinistra, uno dei primi PC della Olivetti) perché in certe aziende
hanno continuato imperterriti a scrivere a macchina.
Adesso il mondo dell’editoria è cambiato radicalmente. E’ cambiato il modo di
fare giornalismo, è cambiato soprattutto il linguaggio. Il linguaggio di
internet è breve, essenziale, diretto. Deve catturare subito l’attenzione della
persona affinché questa resti sul sito il più a lungo possibile. Un po’ come
accade per la radio. Il settore dove ci sono stati i maggiori cambiamenti è
quello della carta stampata, perché la TV e la radio hanno cominciato prima
degli editori cartacei a concentrarsi su quello che sarebbe stato il futuro e a
sviluppare internet come mezzo aggiuntivo a completamento dell’informazione.
Nella carta stampata è stato purtroppo un disastro. Oggi i colleghi
informatizzati sono tantissimi, ma forse a loro manca la conoscenza della
deontologia professionale e questo è un altro buco nero che l’Ordine dovrà
riempire.
D. Certe volte si ha la sensazione che sia cambiato soltanto il mezzo di
diffusione dell’informazione e non il suo stile. Però c’è il problema
dell’approfondimento, del commento. E’ rimasto tale e quale a quello
tradizionale o ha subito una modificazione?
Secondo me, il problema dell’approfondimento c’è. Sui mezzi multimediali, non
c’è l’approfondimento, c’è solo la notizia che deve scorrere e anche molto in
fretta. Questo ha portato a dei problemi sulla verifica delle fonti. Molti
ritengono che internet sia la magia in assoluto e non è affatto vero.
Alcuni colleghi che si sono fidati di notizie trovate sul web hanno poi dovuto
rivedere ciò che avevano scritto. L’approfondimento, per il momento, manca, ma
comincia a passare attraverso i blog. I blogger spesso sono dei
giornalisti professionisti di testate che fanno delle riflessioni a
commento di determinati episodi. In questo modo crescerà anche la qualità
dell’informazione su internet. Per adesso, secondo le ricerche che abbiamo fatto
– ed abbiamo presentato un ano fa alla Statale di Milano – è aumentato il popolo
di internet ma in altrettante proporzione era è diminuita la qualità
dell’informazione. Adesso i navigatori cominciano a chiedere un’informazione di
qualità. E questo è un buon segno.
Uno dei primissimi PC della Olivetti
D. Alle scuole di giornalismo (ne esistono di ottime promosse dall’Ordine) si
insegnano le nuove tecnologie?
Assolutamente sì. Come presidente dell’Ordine della Lombardia, sovrintendo i tre
master dell’Università Statale, della Cattolica e dello IULM, ed ho dei contatti
molto frequenti per verificare l’attualità delle materie insegnate. Per i nostri
giovani colleghi è indispensabile saper utilizzare linguaggi diversi, brevi ma
incisivi.
D. Abbiamo parlato delle scuole. Non c‘è il pericolo che, con questa situazione
economica, le scuole di giornalismo diventino una fabbrica disoccupati?
Assolutamente no. Perché i praticanti che escono dalle scuole sono molto meno
dei praticanti che si presentano agli esami per diventare professionisti. Sono
dell’idea che tanto più avanza la tecnologia, tanto più c’è bisogno di cultura.
Quindi, secondo me, le scuole di giornalismo sono essenziali per il nostro
lavoro. Si tratterà di diminuire i praticantati d’ufficio, attraverso dei
controlli maggiori. No, le scuole di giornalismo non sono fabbriche di
disoccupati. Adesso che sta passando il principio della formazione obbligatoria
per tutti, ho chiesto alle varie università di aprire delle vere e proprie
scuole di giornalismo sul modello di quelle che esistono in numerosi paesi,
invece di svolgere gli attuali, costosi master. La risposta è stata che, in base
alla Legge Gelmini, ciò non è possibile.
D. Cambiamo argomento. L’Ordine dei giornalisti. Quando ho cominciato c’era
l’Albo, poi è venuto l’Ordine con l’esame di stato e via dicendo. Siamo in
periodo di transizione. Cosa ci sarà in futuro?
Ci saranno due grandi innovazioni che sono conseguenza del decreto Severino
dell’ottobre 2012 e cioè: tutta la parte deontologica non sarà più materia
del consiglio dell’Ordine, ma sarà materia dei consigli di disciplina composti
da nove colleghi selezionati su una rosa di 18 colleghi che il Consiglio
dell’Ordine segnala al presidente del tribunale di riferimento. Ho un
appuntamento, a breve, con la presidente del tribunale di Milano, dott. Livia
Pomodoro, per sottoporle un elenco di 18 candidati che sono stati selezionati da
tutti i consiglieri di questo Ordine in base ad una serie di criteri di capacità
e di conoscenza. Ci sono rappresentanti della società civile, pubblicisti,
avvocati e magistrati, (e noi riteniamo importante che facciano parte di questa
commissione disciplinare); ci sono colleghe e colleghi, cronisti giudiziari per
la maggior parte, e poi ci sono alcuni colleghi che abbiamo segnalato alla
presidente del tribunale per la loro esperienza e la loro capacità. I membri
della commissione disciplinare non debbono essere inscritti ad un altro ordine,
a nessun gruppo specializzato.
D. Da più anni, qualche politico chiede l’abolizione dell’Ordine dei
giornalisti, affermando che si tratta di una “casta”, e ne chiede la
sostituzione con un’associazione sindacale secondo il modello francese. Corre
l’obbligo di dire, conoscendo bene le associazioni stampa francesi, che se
l’ordine è una casta, l’associazione alla francese è una “cosca”. Come se
n’esce?
L’abolizione dell’ordine è un tema ricorrente non appena cambia un governo
(adesso sono i grillini a farlo). In genere se ne parla non appena sulla stampa
compare un commento poco gradito a questo o quel politico. Secondo me sarebbe un
grandissimo errore perché l’ordine oggi bene o male, tutela la professionalità
dei suoi iscritti. Se non ci fosse l’ordine, chiunque potrebbe fare il
giornalista, senza alcuna preparazione. L’ordine è garante della qualità
dell’informazione, sia nei confronti del giornalisti che ma soprattutto, dei
cittadini. Quanto a fondere ordine e sindacato si rischia di creare dei
potentati di difficile controllo. E poi bisogna ricordare che sono due cose
diverse: il sindacato tutela la parte contrattuale del giornalista, l’ordine ne
tutela la dignità professionale.
D. Vorrei aggiungere alle tue considerazioni, questa: che contrariamente a
quanto afferma qualcuno, la presenza dell’Ordine non vieta a chi non sia
giornalista di scrivere e pubblicare su un giornale.
E’ assolutamente vero. Poi, oggi, i giornalisti non sono più una casta perché i
privilegi sono ridotti ai minimi storici. Quando i “pezzi” vengono retribuiti
due euro e mezzo c’è un po’ da meditare su cos’è la casta. Altro sono i
giornalisti, altro sono alcuni superpagati conduttori televisivi. Ma sono pochi
rispetto al parterre dei giornalisti. L’Ordine ha 102mila inscritti e i
privilegiati saranno forse una ventina, considerando fra i privilegiati anche i
direttori che però, a fronte di un buon compenso, hanno anche numerose e gravi
responsabilità.
L’Ordine non vincola l’acceso alla professione, tutti possono iscriversi purché
facciano l’esame di stato e purché esercitino in esclusiva la professione
del giornalista. Ciò non vieta però a tanti esperti, a tanti tecnici non
giornalisti di scrivere sui giornali i loro commenti. Ricordiamoci che la
Costituzione dice che tutti possono esprimere liberamente il proprio pensiero.
D. Hai introdotto il tema dei pubblicisti: che fine ha fatto questa categoria e
che futuro avrà?
I pubblicisti non sono aboliti e non saranno mai aboliti. Da cinque anni giace
in parlamento una legge che prevede per i pubblicisti un esame di stato come per
professionisti. Il problema è distinguere bene il pubblicista vero da quello che
fa un altro lavoro e non quello giornalistico. I pubblicisti veri, che poi
dovrebbero diventare professionisti, sono quei tanti giovani che non si
iscrivono al praticantato d’ufficio perché non hanno le risorse economiche
e non guadagnano i diecimila o i quindicimila euro che vengono richiesti per
seguire la strada del praticantato d’ufficio. Comunque, sui pubblicisti c’è un
grande dibattito in corso e credo che occorra una maggiore vigilanza, senza
essere punitivi. Il numero dei pubblicisti è attualmente in crescita. Ci sono
sempre meno pubblicisti tradizionali (l’avvocato o il medico che scrive su un
quotidiano) ma molti giovani che non riescono a vivere con i due euro e
mezzo per pezzo e sono costretti a fare un altro lavoro per tirare avanti. E
questo è un tema da affrontare e non da liquidare in quattro battute se si vuole
assicurare un ricambio generazionale fatto di persone competenti.
Uno dei primi pc portatili Olivetti
D. Una volta l’iscrizione come pubblicista era un po’ una fregatura: svolgevi il
lavoro di un professionista, ti davano uno stipendio da miseria e ti rubavano i
contributi previdenziali. E’ ancora così?
No. Adesso c’è l’articolo 36 del ccnl che tutela sotto tutti i punti di vista,
per cui il pubblicista in redazione è esattamente eguale al professionista.
Il guaio è che la assunzioni sono sempre di meno ingrandendo il territorio dei
freelance, dei nuovi liberi professionisti che gli editori non riconoscono in
quanto tali. Mentre si riconosce l’attività di un professionista come un
architetto o un avvocato, non avviene altrettanto nei confronti di un
giornalista libero professionista. Almeno sotto il profilo remunerativo.